Di fronte alle dichiarazioni di Trump sul divieto di esportare i chip Blackwell più avanzati, è utile smontare con occhio critico quello che è dire, quello che potrebbe fare, e quello che è già in atto.
Trump afferma che il nuovo Blackwell è “dieci anni avanti a ogni altro chip” e che “non lo diamo ad altri”, ribadendo l’intenzione di riservarlo agli Stati Uniti. In altre parole, i chip top-level sarebbero soggetti a restrizioni ancora più stringenti rispetto a quelle già vigenti sotto le politiche di controllo statunitensi.
Ma ci sono molti caveat da considerare. Prima, la cornice legale esistente: gli Stati Uniti hanno già nel 2022 una serie di controlli all’esportazione per i semiconduttori avanzati verso la Cina, attraverso il regolamento “Export Controls on Advanced Computing and Semiconductor Manufacturing Items”. Questo regime impone che l’esportazione di chip ad alte prestazioni o parti correlate a sistemi AI supercomputing verso la Cina richieda licenze spesso negate a causa di motivi di sicurezza nazionale.
Trump potrebbe permettere versioni degradate del Blackwell nei paesi esteri. Nella versione riportata dalle fonti, egli non esclude la vendita di versioni meno performanti verso la Cina, pur mantenendo il divieto sui modelli “più avanzati”. In effetti, Nvidia ha già presentato un chip “B30” per la Cina, con prestazioni ridotte rispetto alla versione globale di Blackwell, nella speranza di ottenere l’approvazione all’export.
C’è un rischio di indebolimento strategico: esperti avvertono che consentire anche versioni moderate del Blackwell in Cina potrebbe erodere il vantaggio competitivo statunitense in AI. Uno studio citato suggerisce che esportazioni significative del B30A potrebbero ridurre il divario di potenza computazionale da 30× a 4× entro il 2026.In più, alcuni nel Congresso vedono l’ipotesi di vendita anche parziale come un rilascio pericoloso di tecnologia dual‐use.
La posizione di Nvidia è ambivalente. Il CEO Jensen Huang ha detto che Nvidia non ha richiesto licenze per i chip cinesi a causa della posizione attuale della Cina, che “non vuole Nvidia lì in questo momento”. Ma Huang ha anche fatto pressione politica, suggerendo che l’isolamento dal mercato cinese rischia di drenare talenti e opportunità: perdere accesso a uno dei più grandi ecosistemi AI nel mondo può essere controproducente.
La restrizione pura non è un’arma invincibile. Il paper “Whack-a-Chip: The Futility of Hardware-Centric Export Controls” mette in evidenza che i controlli sui chip possono essere aggirati attraverso strategie software, ottimizzazioni, ricombinazioni modulari: la Cina e le sue aziende già sfruttano architetture meno “controllate” in modo efficiente. Quindi, anche se il divieto fosse totale, non garantirebbe che Pechino resti bloccata nel lungo termine.
Le parole di Trump attualizzano e forse inaspriscono le già severe restrizioni statunitensi sull’esportazione di chip AI avanzati verso la Cina. Ciononostante, non tutto è chiuso: versioni degradate potrebbero restare nella zona grigia, Nvidia farà lobbying per rimuovere barriere, e l’efficacia pratica del divieto è incerta. (Nel frattempo, se vuoi, posso stimare l’impatto sul mercato globale AI e sugli equilibri geopolitici.)