Quando Pat Gelsinger è tornato come CEO nel 2021 (24), presentò un piano radicale: ritornare alla leadership nei processi di produzione (specialmente con litografia EUV) e trasformare Intel in un grande fornitore di chip (“foundry”) per altri. Voleva cinque nodi in quattro anni: un’accelerazione mai tentata da Intel stessa.
Il problema è che l’esecuzione non ha retto alla pressione. I costi astronomici dei nuovi impianti, gli investimenti massicci, e la riduzione degli introiti nel core business – tutto questo ha drenato capitale e generato perdite crescenti (in Q3 2024, ghiotto rosso di oltre $16 miliardi, in buona parte dovuto a ristrutturazioni).
Sul versante dell’AI, Intel è arrivata in ritardo. Il progetto Gaudi (acceleratori AI) non ha impattato come sperato, mentre Nvidia dominava la corsa con GPU e AMD adattava architetture più elastiche.
Problemi di qualità sui chip, rendimenti deboli sui processi 18A e 16A (con meno del 10 % dei chip prodotti come pienamente funzionanti, secondo fonti anonime) hanno alimentato il sospetto che Intel non stesse recuperando davvero terreno rispetto a TSMC.
Parallelamente, il morale interno è stato decimato dalle continue ondate di licenziamenti: “non sai se sarai eliminato nella prossima tornata 3-6 mesi dopo” ha detto un ex dipendente.
Il risultato: spese gigantesche, risultati operativi incerti, scarsissima fiducia da parte del consiglio, e soprattutto troppi “promessi” non mantenuti sul fronte tecnologico e commerciale.
Chi ha deciso che era il momento dell’uscita?
Il board disse: o ci sono risultati visibili adesso, o cambiamo guida. I segni d’allarme erano concreti: discorsi eleganti sul futuro, ma scarsità di successi tangibili nei clienti, nei volumi e nei margini.
Fonti citate da Reuters riferiscono che al meeting settimanale il board ha espresso che il piano era “costoso”, “non stava funzionando”, e il ritmo del cambiamento non era abbastanza rapido.
Inoltre, qualche conflitto interno emerse: nei mesi precedenti, alcuni dirigenti contestavano che si stava investendo troppo nella visione futura (foundry, AI) trascurando il business dei prodotti esistenti, che continua a generare utili ma stava perdendo rilevanza.
È plausibile che alcuni grandi azionisti (anche istituzionali) alzassero il pressing. In situazioni simili nei gruppi tecnologici, il board è il riflesso dell’umore degli investitori: quando il capitale sottostante si surriscalda, chi guida paga caro il tributo.
Cosa cambia ora: rischio sistemico e incognite strategiche

L’uscita di Gelsinger mette Intel in uno stato di transizione pericoloso. Non solo perde una figura che incarnava la promessa della rinascita tecnologica, ma lascia vuoto il timone in un momento cruciale: competizione sull’AI, corsa ai processi avanzati, dipendenza geopolitica (gli Stati Uniti contano su Intel per non essere dipendenti da TSMC/Taiwan).
S&P ha già declassato il rating creditizio di Intel, citando “recupero lento e incertezze legate ai cambiamenti manageriali” come motivazione. Reuters
Ci sono segnali che Intel stia reagendo: il 13 marzo 2025, la società ha nominato Lip-Bu Tan come nuovo CEO, proveniente da Cadence e già membro del board.
Tan affronta un compito titanico: fare tagli strutturali, probabilmente spingere su una ridefinizione del portafoglio, decidere se mantenere il modello IDM completo (design + produzione) oppure scorporare o vendere attività.
In parallelo, Intel rischia che i ritardi nei processi (18A, 16A) compromettano le ambizioni di recupero tecnologico. Se non riesce a produrre chip con resa competitiva, il modello foundry non sarà sostenibile.
Sul fronte geopolitico, qualunque instabilità in Intel rischia di indebolire la strategia statunitense di autonomia nei semiconduttori. Il board ha scelto di sacrificare l’uomo che incarnava quella strategia, forse per accelerarne una versione “meno visionaria e più pragmatica”.
Gelsinger un disastro o un idealista troppo audace?
Non è semplice dar torto o ragione netta. Gelsinger portava credenziali tecniche rare: architetto del chip 486, ex CTO, ingegnere di razza. Ma la visione richiedeva una esecuzione perfetta, in tempi strettissimi, in un settore in cui TSMC e Samsung avevano già macinato vantaggio tecnologico per anni.
Se ripensi ai casi di “CEO visionari rovesciati dal board”, trovi sempre una dinamica: chi vuole troppo, troppo in fretta, diventa pericoloso quando i numeri – utili, rendimenti, cash flow – rallentano. Il board, che non ha passione tecnologica, valuta secondo metriche finanziarie, non promesse ingegneristiche.
Nel mondo reale non c’è spazio per “credere che il nodo successivo arrivi”. Lui ha puntato su un salto quantico, ha rivoltato il cappotto del management, ha cassato progetti interni non performanti. Il problema è che i salti quantici si misurano con risultati, non con slide nelle conferenze.