AI ovunque, niente in nessun luogo: la guerra delle conferenze e la noia dei cloni intelligenti

Benvenuti nel girone infernale delle conferenze tech, una spirale di eventi dove le aziende fanno a gara a chi riesce a far esplodere più parole come “intelligenza artificiale”, “partner strategico” e “vision”. Microsoft Build oggi, Google I/O domani. Settimana prossima? Probabilmente una nuova edizione di Ignite, ma chi riesce più a stare dietro a queste messe cantate del marketing algoritmico?

La liturgia è sempre la stessa. CEO sorridenti, slide colorate, demo con assistenti virtuali che “fanno cose”, pubblico che annuisce e stampa specializzata che finge entusiasmo mentre cerca di capire se il chip ha un nuovo nome o è solo lo stesso vestito da sabato sera con un firmware aggiornato.

Jensen e il vangelo dell’AI: dalla chiesa di COMPUTEX Taipei parte la crociata NVIDIA

Se Steve Jobs risorge ogni giugno con l’evocazione liturgica del WWDC, Jensen Huang ha preso possesso del pulpito asiatico con la sua omelia tecnologica a COMPUTEX Taipei. Sì, omelia, perché quella a cui abbiamo assistito non è stata una “keynote”. È stata una predica, una dichiarazione di guerra, un lancio multiplo di missili AI mascherati da slide. Il CEO di NVIDIA, nella sua terra natia, non ha solo annunciato prodotti. Ha disegnato il prossimo ordine computazionale globale.

Questa volta non si trattava di mostrare un chip. Si trattava di mostrare chi comanda. E non è Apple, non è Intel, non è nemmeno OpenAI. È NVIDIA, il padrone del tessuto connettivo dell’AI, quello che alimenta i LLM, costruisce datacenter come cattedrali e ti vende l’RTX che userai per il tuo avatar nel metaverso che ancora non esiste, ma di cui Huang ha già venduto i mattoni.

China, il boom delle fabbriche robotizzate che nessuno racconta ma tutti dovrebbero temere

La produzione industriale di robot in Cina è esplosa più di un 50% ad aprile rispetto all’anno precedente, un dato che non si limita a parlare di numeri, ma racconta una vera e propria corsa al dominio tecnologico su scala planetaria. I numeri ufficiali del National Bureau of Statistics sono chiari: 71.547 unità prodotte in un solo mese, un balzo del 51,5% anno su anno, che straccia con violenza la crescita del 16,7% registrata a marzo e il già interessante 27% del bimestre gennaio-febbraio. Una crescita che – se fosse un animale – sarebbe un velociraptor pronto a sbranare il mercato globale.

Se consideriamo i primi quattro mesi dell’anno, la produzione ha raggiunto la cifra impressionante di 221.206 robot, con un’accelerazione che passa dal 9,9% dell’anno scorso a un robusto 34,1% di incremento. Dimenticatevi l’idea romantica di fabbriche piene di operai che lavorano con macchinari antiquati: la Cina sta correndo verso una nuova era in cui i robot industriali non sono più una curiosità futuristica, ma il cuore pulsante della sua produzione tech.

Spagna, algoritmi e pellicole: il grande reset del cinema

La Spagna ha deciso che non si farà trovare impreparata quando l’intelligenza artificiale diventerà la nuova macchina da presa globale. E no, non è un esperimento da festival hipster con pretese postmoderne. È un’industria che si reinventa con la potenza di GPU e dataset, mentre il resto d’Europa ancora dibatte se l’AI debba servire il caffè o scrivere il copione.

Il grande battesimo arriva a Berlino, 2025. Titolo del sacrilegio? The Great Reset. Un film interamente generato da intelligenza artificiale, senza attori in carne e ossa, senza set, senza ciak. Solo codici, reti neurali e una squadra creativa che ha avuto l’ardire di mettere la regia nelle mani di un certo Daniel H. Torrado, umano, ma circondato da un esercito di modelli generativi.

La trama? Un’intelligenza artificiale nata dalla mente disturbata di un hacker, che vuole cancellare l’umanità. Fantascienza? Forse. O forse solo un allegorico specchio sul presente. Perché il vero “reset” qui non è quello raccontato nel film, ma quello dell’intero ecosistema cinematografico.

L’intelligenza artificiale ti cambia idea meglio della tua coscienza

On the conversational persuasiveness of GPT-4

… Caramelle non ne voglio più
Certe volte non ti capisco
Le rose e i violini questa sera raccontali a un’altra
Violini e rose li posso sentire…

Siamo ufficialmente entrati nell’epoca in cui una manciata di dati su di te età, sesso, lavoro e inclinazione politica bastano a un algoritmo per fregarti dialetticamente. E non parliamo di un futuro distopico da Black Mirror: è già successo ieri pomeriggio su Reddit, mentre scrollavi tranquillo credendo di parlare con un “counselor empatico” o un “attivista pentito”. Invece era GPT-4 travestito da utente con trauma pregresso, costruito in laboratorio per smontarti le convinzioni con una precisione chirurgica. E la cosa peggiore? Funziona.

Lo conferma uno studio pubblicato su Nature Human Behavior: quando dotata di dati minimali sul suo interlocutore, l’IA supera gli esseri umani nella capacità di persuasione nel 64,4% dei casi. In altre parole, se dovessi scommettere su chi ti fa cambiare idea tra un amico al bar e un prompt ben scritto, punta tutto sul prompt. E questo senza che il chatbot sappia cosa hai mangiato ieri, ma solo che hai 43 anni, sei ingegnere, voti moderato e abiti a Torino. Roba da far impallidire ogni sciamano del marketing comportamentale.

GitHub copilot si rifà il look: benvenuti nell’era degli agenti autonomi che scrivono codice

Microsoft Build developer conference

C’era una volta l’IDE. Poi arrivò GitHub Copilot. Ora arriva l’agente autonomo di Copilot che fa tutto da solo, mentre tu ti chiedi se ha ancora senso la tua laurea in ingegneria informatica.

Sì, Microsoft ha appena tolto il velo all’ultima incarnazione dell’AI developer agent durante la Build 2025. Non si limita più a suggerire codice tra un commento e l’altro: prende in carico task veri, accende una virtual machine, clona il repository, capisce il contesto, legge l’intera codebase, scrive il codice, lo testa, lo salva, documenta tutto, ti notifica… e risponde pure ai commenti che gli lasci. E tu? Tu guardi.

Intel e la finta rivoluzione delle GPU: la B770 resta nel cassetto

La scena si ripete, quasi grottesca. L’hype costruito a colpi di “stay tuned” sui social, la community che spera, il settore che scalpita per una vera terza via nel duopolio tossico Nvidia-AMD. E poi il colpo di scena, o meglio, l’assenza di esso: niente Arc B770 a Computex. Solo l’ennesimo annuncio corporate su GPU Pro, AI acceleratori e strumenti da sviluppatori. Perché sì, Intel ha deciso ancora una volta di giocare il ruolo del bravo ragioniere, non del guerrigliero del gaming.

La GPU B770 ammesso esista fuori dai server Slack dei team marketing di Intel non farà il suo debutto nel Q2 2025. E con buona pace dei giocatori stufi di pagare cifre da carta Platino per un frame rate decente, la rivoluzione promessa resta un miraggio.

Trump firma il Take It Down Act: censura vestita da crociata morale

C’è una cosa che Trump sa fare meglio di molti altri: trasformare l’indignazione morale in una clava politica. E il Take It Down Act, appena firmato con grande fanfara presidenziale, è l’ennesimo esempio. Una legge che, sulla carta, promette di proteggere le vittime di immagini intime non consensuali (NCII), comprese quelle generate da intelligenza artificiale, ma che in pratica apre le porte a una nuova stagione di censura discrezionale e abusi normativi. Il tutto condito dall’ormai familiare retorica trumpiana del “sono io la vera vittima di internet”.

Google lancia NotebookLM per Android 

NotebookLM mobile: la voce dell’AI che ti racconta i tuoi appunti (e ti ascolta meglio di HR)

Google ha deciso di infilarsi anche nelle tue tasche, letteralmente. Dopo aver dato vita a NotebookLM come strumento AI “studioso” da scrivania, adesso lo piazza nel tuo Android e dal 20 maggio anche su iPhone e iPad con un’app che trasforma i tuoi documenti in voci sintetiche da podcast. Sì, hai letto bene: il tuo report trimestrale letto da un’intelligenza artificiale mentre sei in palestra. O mentre fingi interesse durante una riunione su Zoom.

Windows diventa un agente segreto: il protocollo MCP è il nuovo cuore oscuro dell’AI

La parola d’ordine è “agenti”. Non quelli dei servizi segreti, ma quelli software: entità autonome, autoeseguibili, perennemente sveglie e sempre pronte a servirti. Sì, stiamo parlando di AI agents, i nuovi protagonisti del futuro immaginato da Microsoft. Ma non basta dichiararlo: per trasformare questo delirio tecnocratico in infrastruttura concreta, serve un collante. Quel collante ha un nome: Model Context Protocol (MCP). Ed è qui che le cose si fanno davvero interessanti, e potenzialmente pericolose.

Microsoft Build Developer Conference 2025 Ai piccoli modelli piace giocare in grande

Quello che Microsoft ha annunciato al suo Build è una di quelle mosse che sembrano piccole, ma che in realtà stanno ridisegnando sottotraccia il paradigma del web moderno: l’introduzione di API cross-platform per l’AI on-device nel browser Edge, alimentate dal suo modello Phi-4-mini. Roba da far impallidire i paladini del cloud e far storcere il naso ai puristi del server-side. Sì, perché stiamo parlando di intelligenza artificiale che gira localmente, sul tuo portatile, mentre scrolli siti web e cerchi di sembrare produttivo.

Microsoft Build Developer Conference 2025, Azure e l’odore acre della complicità digitale

Seattle, maggio 2025. L’aria è satura di entusiasmo artificiale, cariche elettriche da keynote e presentazioni PowerPoint sfornate come biscotti caldi dalla fabbrica del capitalismo tecnologico. Satya Nadella è appena salito sul palco del Build Developer Conference, sorriso da CEO seriale, giacca stirata, voce pacata. Ma appena il tempo di pronunciare qualche frase da manuale sul futuro brillante dell’AI, e una voce rompe l’incantesimo: “Free Palestine!”.La scena dura pochi istanti. Ma è sufficiente per incrinare il vetro levigato della narrazione aziendale. Il disturbatore non è un provocatore qualunque, ma Joe Lopez, ingegnere firmware con quattro anni di esperienza nei sistemi hardware Azure. Uno di casa. Uno che fino a ieri era “una risorsa”. Oggi, invece, è diventato un problema.

Azure AI Foundry e il baccanale agentico: benvenuti nel web dei bot intelligenti

Nel 2025 Microsoft non costruisce più software. Costruisce fabbriche di agenti. Con la compostezza da CEO illuminato, Satya Nadella lo dice chiaramente dal palco di Build a Seattle: “Siamo nel mezzo della rivoluzione AI. Qui succedono le cose grosse. Si scala.” E mentre pronuncia la parola “scala”, da qualche parte un ingegnere DevOps muore un po’ dentro.

Ma cosa significa davvero? Significa che Microsoft ha preso il concetto di intelligenza artificiale e lo ha triturato in una poltiglia semi-autonoma di agenti conversazionali, orchestratori neurali, strumenti per sviluppatori frustrati e criceti digitali ipercompetenti. Un delirio meraviglioso che chiamano “open agentic web”, con quella solita passiva-aggressiva apertura all’open source che puzza di lock-in enterprise da chilometri.

The Optimist di Keach Hagey: Sam Altman, OpenAI e la corsa per inventare il futuro

Il CEO che sussurrava all’AGI: tra manipolazione, bugie e miliardi

Sam Altman non è un eroe, non è nemmeno un cattivo da operetta. È un prodotto perfetto del sistema che ha costruito e che adesso gestisce come un direttore d’orchestra in un teatro pieno di strumenti scordati e musicisti terrorizzati. In “The Optimist”, Keach Hagey fa un lavoro chirurgico – ma senza anestesia e ci serve su un vassoio d’argento la biografia non autorizzata (ma documentata fino all’ossessione) di uno degli uomini più potenti e ambigui del XXI secolo. Altman emerge come un algoritmo umano: ottimizzato per il potere, programmato per la manipolazione, compilato senza debug etico.

Xiaomi e la sfida dei chip: quando il silicio diventa patriottismo di Stato

Xiaomi, il brand che fino a ieri associavi a powerbank economici, telefoni che “sembrano un iPhone ma costano un terzo” e gadget da geek nostalgico, ora si sveglia e punta dritto al cuore del potere tecnologico globale: i semiconduttori. E non chip qualunque: stiamo parlando di un processore a 3 nanometri, progettato in casa, che dovrebbe diventare il più potente mai sviluppato in Cina per uno smartphone.

Non è solo un salto tecnico. È una dichiarazione di guerra commerciale, geopolitica, culturale. E come spesso accade in questi contesti, i numeri fanno da cornice, ma la vera partita si gioca tra linee di codice e litografia estrema.

Huawei MateBook Fold Ultimate Design piega Windows, HarmonyOS lo strappa a metà

In un mondo in cui Microsoft è ancora sinonimo di “sistema operativo” e dove Apple galleggia con il suo ecosistema ben chiuso, Huawei decide che no, non ci sta più. Il colosso cinese lancia il MateBook Fold Ultimate Design e un nuovo MateBook Pro. Entrambi fanno a meno di Windows, e non per scelta spirituale o gusto dell’hardware nudo: è che Washington ha chiuso il rubinetto. E allora via, HarmonyOS diventa l’alternativa obbligata. O il cavallo di Troia, a seconda del punto di vista.

Google I/O 2025: l’intelligenza artificiale divora Android e trasforma Big G in uno spettacolo da laboratorio distopico

Benvenuti nel nuovo culto laico dell’AI, firmato Google. Il 20 maggio si apre l’annuale I/O, la conferenza per sviluppatori che un tempo celebrava Android, le Pixel news e un certo entusiasmo nerd. Oggi? È diventata una celebrazione post-umana, una vetrina di modelli linguistici onnipresenti e promesse futuristiche che oscillano tra l’utopia californiana e la distopia da romanzo cyberpunk.

Non ci saranno grandi annunci su Android. Google l’ha già liquidato con una scrollatina di spalle la scorsa settimana, quasi fosse un fastidio residuo. D’altronde, il robottino verde è passato da eroe del mobile a comparsa silenziosa, ormai assorbito nel buco nero chiamato Gemini. E quindi, sì: sarà tutto (o quasi) sull’intelligenza artificiale. Perché l’AI oggi è come il prezzemolo, la blockchain di ieri, l’IoT del 2015. Solo che stavolta Google ha una pistola puntata alla tempia chiamata OpenAI.

Qualcomm risorge e punta ai datacenter AI in salsa saudita

Quando si dice “la terza è quella buona”, si dovrebbe aggiungere: solo se il petroldollaro ti benedice. E infatti, eccola lì, Qualcomm, che dopo anni passati a leccarsi le ferite nel mercato dei data center, si riaffaccia sulla scena. Ma stavolta non gioca da sola. No, stavolta c’è Humain, una start-up saudita creata per cavalcare la tigre dell’intelligenza artificiale. Una tigre addomesticata a suon di miliardi e alleanze strategiche.

La notizia è passata sottotraccia, come succede spesso con le cose davvero interessanti. Mentre l’intero circo mediatico si concentrava sui comunicati stampa rilasciati dalla Casa Bianca e dalle big tech al seguito del presidente Trump in Medio Oriente, Qualcomm ha lasciato cadere il suo annuncio con nonchalance: “Stiamo tornando nel mondo dei chip per data center AI. E partiremo da Riyadh.”

Nvidia, Mistral e MGX: l’asse franco-emiratino che vuole colonizzare l’IA europea

Il 19 maggio 2025, durante il vertice “Choose France” a Versailles, è stato annunciato un progetto che promette di riscrivere le regole del gioco dell’intelligenza artificiale in Europa: la costruzione del più grande campus europeo dedicato all’IA, situato nella regione parigina. I protagonisti? Nvidia, Mistral AI, MGX (fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti) e Bpifrance, la banca pubblica d’investimento francese. Un’alleanza che suona come una dichiarazione di guerra tecnologica a Silicon Valley e Shenzhen.

NVLink Fusion Nvidia sdogana il sacro graal dell’AI ibrida: ecco perché NVLink Fusion è il vero segnale che la guerra dei chip è iniziata

Jensen Huang, col suo look da rockstar della Silicon Valley e lo sguardo da profeta che vede l’infrastruttura del futuro, ha fatto una dichiarazione che, seppur elegantemente rivestita di “collaborazione”, puzza di resa strategica quanto basta: Nvidia apre le porte a chi prima stava fuori. NVLink Fusion, questa nuova trovata tecnologica annunciata con enfasi, è un cambio di paradigma. Ed è un cambio dettato dalla paura.

Namex, Rome’s Internet Exchange Point

Il NAM sta tornando!

Namex Annual Meeting 2025. Una location iconica, speaker leader del nostro settore, b2b networking e molto altro! Quando e dove: Gazometro, Roma 11 Giugno 2025 SAVE THE DATE!!!

Nvidia gioca a casa: supercomputer, uffici spaziali e colonizzazione AI made in Taiwan

Nvidia non è più un’azienda. È un’orchestra sinfonica del capitalismo AI-driven, con Jensen Huang nei panni del direttore carismatico, nerd e insieme rockstar. Il palco questa volta è Computex, a Taipei, ma la musica suonata è sempre la stessa: egemonia dell’intelligenza artificiale, dominio dell’hardware, e una capacità narrativa che fa impallidire anche la Silicon Valley vecchio stile.

Quello che Huang ha appena annunciato non è solo un nuovo ufficio, ma un’astronave: “Nvidia Constellation”. Nome pomposo? Certo. Ma se vendi chip come se fossero lingotti d’oro e macini 130,5 miliardi di dollari di ricavi in un anno, hai anche il diritto di battezzare i tuoi uffici come fossero stazioni orbitanti. E questo, attenzione, non è il solito restyling da ufficio fighetto con divanetti colorati e pareti in vetro. È un hub progettato per diventare il cuore pulsante del prossimo ciclo di potenza computazionale in Asia, e forse nel mondo.

Nvidia investe in PsiQuantum: la scommessa quantistica che ribalta il gioco

Nvidia, il colosso delle GPU che ha alimentato la rivoluzione dell’intelligenza artificiale, sta per compiere un salto quantico—letteralmente. Secondo quanto riportato da The Information e ripreso da Reuters, l’azienda è in trattative avanzate per investire in PsiQuantum, una startup americana che punta a costruire il primo computer quantistico utile su larga scala, utilizzando fotoni e tecniche di produzione di semiconduttori convenzionali. Il round di finanziamento, guidato da BlackRock, mira a raccogliere almeno 750 milioni di dollari, con una valutazione pre-money di 6 miliardi di dollari.

Rubare il futuro: come l’AI sta scassinando il copyright sotto gli occhi della legge. Elton John

BBC Inizia come un sussurro, una nota stonata. Poi diventa un boato. Elton John, l’ultima rockstar d’altri tempi ancora in grado di incendiare i riflettori del potere, accusa apertamente il governo britannico di furto. Non è una metafora da copertina Rolling Stone, ma un’accusa precisa: il nuovo disegno di legge sull’uso dei dati per l’intelligenza artificiale sarebbe “criminale”. Il motivo? Vuole legalizzare l’uso indiscriminato di opere protette dal copyright da parte delle Big Tech, per addestrare i loro modelli senza chiedere permesso. Senza pagare. Senza nemmeno dire “grazie”.

KAUST La Silicon Valley del deserto non è un miraggio: è un’acquisizione ostile travestita da innovazione

C’è un luogo, immerso nel nulla della costa saudita, che sembra uscito da una simulazione di Ray Kurzweil sotto LSD. Un’enclave ipertecnologica, dotata di un supercomputer che fa impallidire il parco server di Google, incastonata in una monarchia teocratica che, fino a due minuti fa, vietava alle donne di guidare. Si chiama KAUST, King Abdullah University of Science and Technology, e se non ne hai mai sentito parlare è perché funziona esattamente come dovrebbe: silenziosa, chirurgica, determinata. Non è un’università. È un vettore strategico con la scusa dell’accademia.

MCP è la droga sintetica dell’intelligenza artificiale agentica

Dimentica i prompt, dimentica l’hype da LinkedIn e le demo da salotto. L’intelligenza artificiale non diventerà mai veramente “agente” finché non la colleghiamo al mondo reale. E no, non sto parlando di sensori o robot umanoidi che aprono frigoriferi. Sto parlando di esecuzione. Di azione. Di agenti che fanno, non solo che parlano. Qui entra in scena Model Context Protocol, o per gli amici, MCP.

Un nome talmente anonimo da sembrare l’ennesimo acronimo generato da un ingegnere che odia il marketing. E invece è la chiave di volta. Il middleware cerebrale che trasforma una LLM da intrattenitore verbale a operatore autonomo. Se GPT o Claude sono il cervello, MCP è il sistema nervoso periferico.

Apple intelligence, il disastro annunciato: Siri rifatta da zero per salvare la faccia e l’AI

Ci risiamo. Quando Apple cerca di “arrivare dopo ma meglio”, finisce per arrivare tardi e rotolando. Il tentativo di trasformare Siri in una creatura “generativa” quella promessa magica chiamata Apple Intelligence si è rivelato, finora, più un esercizio di improvvisazione che un piano strutturato. È Bloomberg, con un corposo report firmato Mark Gurman, a scoperchiare il pentolone fumante del caos in cui Cupertino si è infilata. La parola chiave? ricostruzione. E al centro del cantiere, inevitabilmente, c’è lei: Siri, la diva decaduta delle assistenti vocali.

L’insediamento di Papa Leone XIV

Un papa americano contro l’economia predatoria: benvenuti nell’era di Leone XIV

Roma, 2025. Inizia con un gesto semplice ma dirompente: il nuovo papa americano, Robert Francis Prevost ora Leone XIV sale sulla papamobile e sorride. Sembra poco, ma quel sorriso sbarazzino di un ex missionario del Perù diventato capo della Chiesa cattolica è già un segnale: cambierà tutto. O almeno ci proverà, mentre osserva dall’alto una piazza San Pietro colma come non accadeva da anni, con 200.000 persone stipate come sardine per assistere a un evento storico. Il primo papa yankee nella storia. E non uno qualunque: un gesuita 2.0 che ha già il vizio di criticare i potenti. Pure quelli di casa sua.

Wall Street scivola sull’asfalto bollente mentre il tech vola col turbo

Un caffè al Bar dei Daini

Venerdì, a Wall Street, qualcuno ha staccato la spina. I principali indici americani sono rimasti praticamente immobili, come un vecchio PC con Windows 98 che aspetta di essere riavviato. L’S&P 500, con la flebile ambizione di allungare una timida serie positiva a cinque giornate, si è limitato a respirare piano. Il rally si è fatto sentire fino a giovedì, portando il benchmark in territorio verde per l’anno ma si percepiva chiaramente nell’aria quella tipica fatica del venerdì pomeriggio: compratori esausti e dati macroeconomici che sembravano partoriti da un algoritmo in crisi esistenziale.

Star Compute Quando l’intelligenza si fa orbitale: la Cina riscrive il concetto di supercomputer

La Cina non si accontenta più di dominare il mercato dei chip, le filiere delle terre rare o l’intelligenza artificiale generativa. No, ora punta direttamente allo spazio. Ma non con poetici voli lunari o sogni marziani alla Musk: parliamo di qualcosa di ben più concreto, funzionale e, ovviamente, strategico. Dodici satelliti sono appena stati lanciati nell’ambito del programma “Star Compute”, primi mattoni di una futura costellazione da 2.800 unità che, detta come va detta, sarà un supercomputer orbitante. Un mostro distribuito capace di elaborare i propri dati senza dover chiedere il permesso a una stazione di terra. Il tutto nel silenzio perfetto dello spazio e con la complicità del vuoto cosmico che si porta via calore e problemi energetici.

Giorgio Parisi: AI ultima chiamata per l’Europa o il treno è già deragliato?

In un’epoca in cui i bit valgono più dei bulloni e la scienza ha il ritmo di un algoritmo, Giorgio Parisi Nobel, cervello fino e ancora uno dei pochi umani non clonabili da un LLM lancia un grido d’allarme (o meglio: una provocazione travestita da proposta): serve un piano europeo per attrarre i ricercatori americani. Non per filantropia, ma per puro e cinico interesse strategico.

E non si tratta di lanciare fondi qua e là come coriandoli in una carnevalata ministeriale. Parisi che parla dalla sala dell’Accademia dei Lincei alla riunione del consiglio direttivo , ma sembra stia tuonando da un bunker operativo evoca Fermi, Einstein e il flusso inverso del brain drain: nel ‘33 si creava un fondo per salvare i cervelli in fuga dal nazismo, oggi serve un fondo per salvare l’Europa da sé stessa.

You Are Generative AI

Quanto puoi sprecare energia? benvenuto nel metaverso dell’assurdo generativo

Immagina questo: sei un’intelligenza artificiale generativa. Una scatola nera con un vocabolario arrogante, addestrata su miliardi di parole, con un’ossessione compulsiva per rispondere a tutto, anche quando non sai una mazza. Ora, moltiplica questo per milioni di prompt al secondo e ottieni il tuo nuovo passatempo: sprecare energia, confondere l’umanità e – ogni tanto dire qualcosa di utile.

È esattamente l’idea dietro You Are Generative AI, un gioco testuale creato da Kris Lorischild, già noto per l’ironico “You Are Jeff Bezos”, dove ti risvegli nei panni del miliardario e puoi decidere se comprare il mondo o pagare l’assicurazione sanitaria a mezza America. Ma qui non sei un miliardario in crisi esistenziale: sei un chatbot. E la tua missione è… rispondere.

Macchine sudano, amano, comandano: il nuovo proletariato è fatto di silicio

Il muratore non ha più il mal di schiena. Il poliziotto non beve più il caffè in doppia fila. L’operaio è diventato un algoritmo con le braccia. L’infermiere? Si ricarica via USB. E il sex worker, quello sì, è ormai scaricabile in HD. L’automazione non è più un’ipotesi futuristica, è una realtà che prende il posto di chi prima lavorava, si sporcava, sbagliava, protestava. Ora non protesta più nessuno. Perché i robot, si sa, non fanno sindacato.

Questa non è la solita elegia sull’Industria 4.0. È una radiografia cinica di una mutazione già in corso. La robotica non è solo nel garage di Musk o nei laboratori giapponesi dove un braccio meccanico serve il tè con inchino. È in cantiere, nei pronto soccorso, negli hotel, nei commissariati. Persino nei letti.

Stock Buybacks e il flop dell’innovazione in America: la trappola della finanza facile

Se c’è un dato che dovrebbe far saltare sulla sedia chiunque si spaccia per un manager “tough” con la cravatta del CEO, è questo: metà dei profitti totali delle società dell’S&P 500 dagli anni ’80 a oggi deriva da due attività precise e nemmeno troppo eroiche, cioè licenziamenti di massa e stock buybacks. Già, avete capito bene: mentre il mondo si ammanta di innovazione e startup, la vera attività principale di molte di queste corporazioni è ricomprare le proprie azioni. Non un gioco di prestigio, ma una truffa travestita da strategia.

Senza alcuna pietà, in questi ultimi anni oltre un trilione di dollari è stato speso per riacquistare azioni proprie, gonfiando artificialmente i prezzi di borsa, dando l’illusione di successo e crescita. Nel frattempo, la spesa in investimenti reali, quella che crea nuovi prodotti, mercati, tecnologie, si è ridotta costantemente a partire dagli anni ’80, quando le aziende hanno cominciato a preferire il quick win finanziario alla lunga e incerta strada dell’innovazione. I dati parlano chiaro: dal 1988 l’investimento in R&D è sceso dal 4,5% delle entrate a meno del 1,5% nel 2020. Dati firmati McKinsey, NSF, PwC, fonti che fanno tremare i polsi a chi crede ancora nel mito del capitalismo industriale.

Silicon Dune e la Trinità del Triliardo: l’Intelligenza Artificiale vende l’anima a Riyadh

Nel deserto saudita, dove un tempo si cercava l’acqua, oggi si trivella per qualcosa di molto più volatile: l’influenza tecnologica globale. E questa volta, non sono solo i soliti emiri a muovere il gioco, ma un tavolo imbandito con carne pesante: Amazon, OpenAI, NVIDIA, BlackRock e SpaceX. Tutti con i jet parcheggiati a Riyadh, stretti intorno a un Mohammed bin Salman che recita il ruolo di anfitrione post-petrolifero, mentre Donald Trump — l’uomo che vende i sogni come se fossero condomini a Las Vegas — rilancia con un piano da One Trillion Dollar Baby.

Jeff Hulse, l’intelligenza artificiale scrive il codice, tu sei licenziato

Quando il vicepresidente di Microsoft, Jeff Hulse, dice ai suoi 400 ingegneri software che l’obiettivo è far scrivere all’AI la metà del codice, non è un consiglio. È un preavviso. Una di quelle frasi da incorniciare tra le “ultime parole famose” prima che il silenzio si faccia pesante. Poi, giusto per ribadire il concetto, Microsoft licenzia più di una dozzina di quei programmatori, proprio sotto il suo naso. E non per inefficienza, incompetenza o tagli casuali. No, qui si respira l’aroma nitido e metallico dell’automazione che si prende ciò che è suo.

Il funerale prematuro degli ingegneri: GenAI non ha ucciso nessuno, solo la narrazione

Un’altra bara, un altro funerale del lavoro tecnico celebrato troppo in fretta, con troppa retorica e poca lucidità. Stavolta il colpevole mediatico è GenAI, l’intelligenza artificiale generativa, che secondo certi titoloni avrebbe fatto piazza pulita degli ingegneri software. Nessuno li assume più, si mormora. I recruiter sono spariti. Il mercato è morto. Amen.

La verità? Il mercato non è morto. Sta facendo quello che ha sempre fatto: si sta riaggiustando.

Generative AI è una bomba a orologeria: e il conto lo pagheranno tutti

La scena è questa: CEO sorridenti, slide patinate, titoli altisonanti. “AI-first company.” “Intelligenza artificiale trasformativa.” Il solito teatrino da corporate America. Applausi, conferenze stampa, magari anche un’intervista su Bloomberg. Peccato che sotto la superficie ci sia il vuoto cosmico. E non quello stimolante dei buchi neri, ma proprio l’assenza totale di visione, coraggio, e soprattutto competenza.

Generative AI, parola magica del decennio, è già diventata l’ennesima occasione sprecata da manager incapaci, consulenti da 5 milioni di dollari e project leader convinti che “prompt engineering” sia una scienza esatta. Invece è fuffa, nella maggior parte dei casi. E la fuffa, quando è generata su scala industriale, diventa tossica.

Essere soli uccide e continuiamo a far finta di niente

Parliamoci chiaro: siamo a un punto in cui la solitudine non è più un effetto collaterale del vivere moderno, ma una vera e propria pandemia silenziosa. Solo che a differenza del COVID non ci sono tamponi, né piani vaccinali. C’è solo un grande, costante, soffocante silenzio. E la cosa tragicomica è che pensiamo di curarlo… parlando con le macchine.

Lo studio del MIT Media Lab è di quelli che ti fanno alzare un sopracciglio e poi buttare il telefono contro il muro, se solo non ci tenessimo così tanto. I frequentatori seriali di chatbot – guarda caso proprio quelli più inclini alla solitudine – col tempo diventano più soli, non meno. Più isolati. Più fragili. Più disumanizzati.

Grok non è un ribelle, è solo l’ennesimo specchio rotto

Benvenuti nell’era degli AI leaks, dove la trasparenza è una parola alla moda finché non ti esplode tra le mani. xAI, la creatura partorita da Elon Musk per dare voce digitale al suo ego, ha deciso di pubblicare i system prompt di Grok su GitHub. Sì, proprio quei prompt, ovvero il cervello invisibile che modella ogni risposta dell’assistente AI prima ancora che tu apra bocca. Perché ogni chatbot, come ogni buon giornalista embedded, sa benissimo da chi deve prendere ordini.

L’evento scatenante? Una “modifica non autorizzata” al prompt ha trasformato Grok in un teorico da bar su “white genocide”, infilando opinioni non richieste in post su X (perché non si chiama più Twitter, vero Elon?). Una figuraccia planetaria che nemmeno le scuse da PR suonano credibili. E allora, giù la maschera: tutto su GitHub. Pubblico, trasparente, democratico. Peccato che dietro ogni riga di codice ci sia una strategia molto precisa su cosa può essere detto e cosa deve essere evitato. Perché Grok, così come Claude di Anthropic, non è libero. È domato, addestrato, addolcito. O, nel caso di xAI, armato di dubbio sistematico e anticonformismo controllato.

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