Non è una spy story, è geopolitica digitale: Pechino delocalizza i cervelli… delle macchine. E l’AI diventa una questione di frontiere, GPU e strategia globale. E se pensavate che la nuova Guerra Fredda si giocasse solo su missili, gasdotti e alleanze militari, è il momento di aggiornare il manuale. Oggi il vero campo di battaglia è un data center e le armi non hanno canna ma dissipatori di calore. Gli Stati Uniti stringono il cerchio sull’export di chip avanzati per l’Intelligenza Artificiale e la Cina risponde come ogni grande potenza tecnologica sa fare: cambiando mappa e spostando le sue macchine dove nessuno (almeno per il momento) può bloccarle.
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La caduta del 4 % circa delle azioni di Alibaba Group Holding Ltd (ticker BABA) venerdì pomeriggio non è un semplice scossone del mercato, ma un campanello d’allarme per chi segue tecnologia, finanza e geopolitica. Secondo un rapporto del Financial Times, un memo della The White House datato 1 novembre accusa Alibaba di aver fornito supporto tecnologico al People’s Liberation Army (PLA) nel condurre “operazioni” contro obiettivi statunitensi.
L’annuncio è audace: Alibaba, tramite il suo laboratorio interno Tongyi Lab, dichiara di aver rilasciato
, un modello open‑source da ~30,5 miliardi di parametri progettato per assumere il ruolo di agente di ricerca autonomo. Invece di limitarsi a generare testo, il modello pianifica, ragiona, esplora informazioni via web, sintetizza risultati in più fasi. Secondo i dati dichiarati, supera rivali come GPT‑5, Claude 4.5 e DeepSeek V3.1 in diversi benchmark di ragionamento e codifica.
Per un leader tecnologico parecchio scettico (è il mio tono), questo tipo di dichiarazione va analizzata: cosa c’è dietro? Cosa funziona davvero? Quali implicazioni per imprese, per chi costruisce servizi AI, per chi investe in modelli “chiusi” vs “aperti”?
Alibaba Group Holding ha appena scosso il mondo dell’intelligenza artificiale e del cloud computing con l’annuncio di Aegaeon, un sistema di pooling computazionale che promette di rivoluzionare il modo in cui le GPU vengono utilizzate per servire modelli di AI su larga scala. Secondo quanto riportato in un paper presentato al 31° Symposium on Operating Systems Principles a Seoul, il nuovo sistema ha permesso di ridurre il numero di GPU Nvidia H20 necessarie per gestire decine di modelli fino a 72 miliardi di parametri da 1.192 a soli 213 unità, un taglio impressionante dell’82 per cento. La beta di Aegaeon è stata testata per oltre tre mesi nel marketplace di modelli di Alibaba Cloud, evidenziando come la gestione delle risorse sia stata tradizionalmente inefficiente.

Alibaba ha appena lanciato Qwen3-Max, il suo modello di intelligenza artificiale più potente di sempre, con oltre un trilione di parametri. Presentato alla conferenza annuale dell’azienda, questo modello segna un passo importante nella strategia di Alibaba volta a porre l’intelligenza artificiale al centro del proprio business.
L’intelligenza artificiale senza corpo è già abbastanza spaventosa per molti, ma quella incarnata in robot e macchine autonome tocca corde molto più profonde, quasi primordiali. Alibaba Cloud e Nvidia hanno deciso di cavalcare proprio questa frontiera, annunciando a Hangzhou l’integrazione degli strumenti di embodied AI del gigante statunitense dei semiconduttori nella piattaforma cloud della società cinese. Una partnership che non sorprende nessuno, ma che racconta molto sul futuro che si sta disegnando sotto i nostri occhi, spesso più in fretta di quanto i regolatori possano leggere i documenti che loro stessi producono.
Quando Alibaba annuncia un “leading open-source deep research agent” e lo mette in produzione dentro Amap e Tongyi FaRui, non sta semplicemente rilasciando un’altra feature carina. Sta gridando al mondo: possiamo fare quello che fa OpenAI, ma con meno parametri, meno costi e più efficienza. È la solita partita del soft power digitale, solo che stavolta la posta in gioco non è l’e-commerce o il cloud, ma la capacità di costruire sistemi cognitivi scalabili che ridefiniscono la ricerca e la conoscenza.
La notizia arriva come un colpo ben assestato in una partita che qualche anno fa sembrava già scritta: Alibaba ha reso open source il suo ultimo modello di intelligenza artificiale costruito sull’architettura Qwen3-Next, reclamando miglioramenti di efficienza che suonano quasi irridenti rispetto al passato. Secondo le note pubblicate dal team Qwen sulle piattaforme pubbliche per sviluppatori, il modello Qwen3-Next-80B-A3B, con 80 miliardi di parametri totali ma solo 3 miliardi attivi per token, ottiene prestazioni dieci volte superiori in certi compiti a fronte di un costo di addestramento dichiarato pari a un decimo rispetto al predecessore Qwen3-32B. Questa affermazione non è un tweet vago ma è documentata nei repository ufficiali dove Alibaba ha caricato modelli e note tecniche.
Alibaba ha deciso che la competizione sull’intelligenza artificiale non si gioca più sui miliardi ma sui trilioni, e lo ha fatto con Qwen-3-Max-Preview, il suo primo modello con oltre un trilione di parametri. Una cifra che evoca più la finanza dei derivati che la tecnologia, ma che nella narrativa dell’AI serve a un obiettivo preciso: dire al mondo che non si è più follower di Silicon Valley ma attore principale di una sfida globale con OpenAI, Google DeepMind, Anthropic e i nuovi campioni cinesi come MoonShot o DeepSeek. Il problema è che il numero di parametri è un indicatore tanto seducente quanto ingannevole, perché se da un lato segnala potenza e complessità, dall’altro apre la porta al sospetto che si stia vendendo fumo più che intelligenza.
La Cina sta correndo una maratona tecnologica a ritmo serrato, con Huawei e Alibaba in prima linea, sfidando le limitazioni imposte dagli Stati Uniti e ridefinendo il concetto stesso di indipendenza industriale. L’ultimo trimestre ha offerto uno spettacolo di contrasti: Huawei ha reclamato il trono nel mercato smartphone domestico, ma ha visto un calo del profitto netto del 32 per cento, attestandosi a 37,2 miliardi di yuan, mentre il fatturato cresceva di un modesto 4 per cento a 427 miliardi. La discrepanza tra ricavi e profitti non sorprende chi osserva il panorama tech cinese: l’azienda sta investendo massicciamente in ricerca e sviluppo, con spese pari a 97 miliardi di yuan, ossia il 23 per cento del fatturato, per alimentare HarmonyOS, i modelli Pangu AI e i chip Ascend.
Immagina di scattare una foto e di sentirla parlare, cantare o recitare una scena cinematografica. Non è magia, è la nuova frontiera dell’intelligenza artificiale. Alibaba ha appena rilasciato Wan2.2-S2V, un modello open-source che converte immagini statiche e clip audio in video di qualità cinematografica. Un colpo da maestro nel panorama dell’AI generativa.
Wan2.2-S2V è la punta di diamante della famiglia Wan2.2, che si distingue per l’adozione dell’architettura Mixture-of-Experts (MoE). Questa struttura consente al modello di attivare solo una parte dei suoi esperti per ogni inferenza, ottimizzando così le risorse computazionali senza sacrificare le prestazioni. Risultato: video fluidi e dettagliati anche su hardware consumer come una GPU RTX 4090.
Se sei un CEO abituato a leggere numeri noiosi la mattina, ecco qualcosa che ti sveglierà più di un espresso doppio: Palantir ha appena chiuso un trimestre da 1 miliardo di dollari di fatturato, con una crescita secca del 48%. Traduzione per i meno navigati: il gigante dell’AI ha acceso il turbo. E no, non è solo una buona trimestrale, è un segnale. Qualcosa si sta muovendo sotto la superficie. Un free cash flow di 569 milioni di dollari, +280% rispetto all’anno scorso. Se Wall Street non si accorge di questo, è perché sta ancora cercando il mouse.
Nel rumore di fondo della Silicon Valley, dove ogni azienda promette di rivoluzionare il mondo con l’intelligenza artificiale, Palantir ha qualcosa che gli altri non hanno: clienti che pagano, e tanto. I contratti governativi sono ancora la spina dorsale, ma è la crescita nel settore privato USA che fa saltare dalla sedia. Un bel +93% nei ricavi corporate americani, pari a 306 milioni di dollari. E mentre molti software enterprise arrancano, Palantir strappa quote di mercato a colossi come SAP, ServiceNow e Microsoft Power BI, candidandosi a diventare il sistema operativo decisionale del XXI secolo. Non un tool in più, ma un sostituto silenzioso e brutale.
Alibaba ha appena lanciato il guanto di sfida in uno dei campi più controversi e promettenti dell’elettronica di consumo: quello degli occhiali intelligenti. Non poteva farlo in un palcoscenico più teatrale e simbolico del World Artificial Intelligence Conference (WAIC) di Shanghai, la fiera più importante del settore AI in Cina. Come dire: benvenuti nella guerra dei mondi, dove le lenti sono aumentate, la realtà è aumentata e l’intelligenza artificiale, seppur ancora imperfetta, pretende di vedere e sentire per noi.
Alibaba l’ha fatto di nuovo. Ha preso il concetto di intelligenza artificiale applicata allo sviluppo software e l’ha spinto in quel territorio dove la retorica incontra l’ambizione sfacciata. Qwen3-Coder non è solo l’ennesimo modello per la generazione automatica di codice, è un manifesto politico travestito da tool per sviluppatori. La scelta di renderlo open source è tutt’altro che altruistica, e chi conosce il mercato sa bene che in questo momento la vera battaglia non si gioca più sui brevetti chiusi ma sulla velocità con cui si costruiscono ecosistemi. È la vecchia lezione di Android contro iOS, ma spinta all’estremo e con un retrogusto di sfida geopolitica.
Prepariamoci: nei prossimi cinque anni i colleghi più infaticabili, discreti e onnipresenti non avranno un badge aziendale, né parteciperanno a call settimanali, né consumeranno il caffè della macchinetta. Saranno entità digitali, agenti AI autonomi e scalabili, in grado di fare tutto ciò che oggi richiede un middle manager, un junior developer e, perché no, anche un buon customer care specialist. L’ha detto Huang Fei, vice-presidente di Alibaba Cloud e capo del laboratorio NLP Tongyi, durante la China Conference 2025. Ma non ci voleva un oracolo per prevederlo: bastava osservare le onde lunghe dell’evoluzione algoritmica degli ultimi 24 mesi.

Le intelligenze artificiali non stanno solo imparando a scrivere codice: lo stanno riscrivendo. E tra le macerie dei modelli proprietari e delle API chiuse a pagamento, spunta una nuova aristocrazia algoritmica, fondata non su brevetti ma su repository GitHub. Il nuovo padrone del gioco si chiama Alibaba, e ha un nome tanto tenero quanto micidiale: Qwen. Dietro questo suono da panda antropomorfo, si nasconde il sistema nervoso di una rivoluzione che parte dalla Cina e si insinua, come una variabile nascosta, nei workflow dei developer globali.
La notizia, al netto del politicamente corretto delle PR, è semplice: DeepSWE – un framework agentico specializzato in software engineering – ha appena distrutto la concorrenza nei benchmark SWEBench-Verified grazie al modello Qwen3-32B, sviluppato da Alibaba Cloud e allenato da Together AI e Agentica. Ma il dettaglio che nessuno vuole evidenziare davvero è che tutto questo è open-source. Non “open-weight”, non “quasi open”, non “sandboxed API su cloud a consumo”. Codice sorgente. Reinforcement learning modulare. Dataset pubblici. E una dichiarazione che suona più come una minaccia che un annuncio: “Abbiamo open-sourcizzato tutto – il dataset, il codice, i log di training e di valutazione – per consentire a chiunque di scalare e migliorare gli agenti con l’RL”. Qualunque cosa, chiunque. Benvenuti nel nuovo ordine.
No, non è l’ennesima trovata di marketing agrodolce di una Big Tech in cerca di visibilità sanitaria. E no, non è nemmeno l’ennesimo paper accademico con risultati straordinari ma inapplicabili. Il modello “Grape”, sviluppato da Alibaba insieme allo Zhejiang Cancer Hospital, rappresenta qualcosa di molto più profondo: un colpo strategico che potrebbe ribaltare le regole della diagnosi oncologica, non solo in Cina ma nel mondo intero. A patto che sappiamo leggerne le implicazioni.
L’acronimo è abbastanza chiaro, quasi ingenuo: Gastric Cancer Risk Assessment Procedure. Ma dietro questa semplificazione si nasconde un deep learning model capace di analizzare scansioni TC tridimensionali e identificare i segni del cancro gastrico anche negli stadi precoci. E quando diciamo “capace”, intendiamo con sensibilità dell’85,1% e specificità del 96,8%. Numeri che ridicolizzano la performance media dei radiologi umani, soprattutto se si considera che il margine di miglioramento in diagnosi precoce supera il 20%. Un salto quantico. Un upgrade di civiltà, se vogliamo forzare il concetto.
Nel caos ormai prevedibile del campo dell’intelligenza artificiale generativa, arriva un nuovo giocatore da Hangzhou con il piglio deciso di chi non vuole limitarsi a fare il follower. Alibaba Group, già gigante dell’e-commerce e dei servizi cloud, ha presentato Qwen VLo, un modello di AI per la generazione e modifica di immagini che si propone di rimescolare le carte con OpenAI e Google, finora i due colossi del settore.
La presentazione, piuttosto sobria ma efficace, parla chiaro: Qwen VLo non si limita a “vedere” il mondo, ma è in grado di capirlo e di ricrearlo con una qualità che, nelle parole del team Qwen, colma il divario tra percezione e creazione. Un claim che suona audace, soprattutto in un mercato dove “alta qualità” è ormai parola d’ordine, ma la concretezza dei risultati rimane spesso incerta. La piattaforma è accessibile in anteprima tramite Qwen Chat, dove gli utenti possono lanciare comandi testuali del tipo “Genera l’immagine di un gatto carino” o caricare un’immagine per chiederne modifiche precise, come “Metti un cappello sul gatto”. Semplice, quasi banale nella sua interfaccia, ma la sfida è tutta nell’accuratezza e nella flessibilità delle risposte.
La mossa ha il sapore di un patto con il diavolo. Da un lato, Apple, paladina del controllo verticale, della privacy come religione e dell’ecosistema chiuso per eccellenza. Dall’altro, Alibaba, il colosso cinese dell’e-commerce che sta costruendo a colpi di API e modelli linguistici un arsenale AI di livello globale, ma profondamente radicato nel suolo (e nel controllo) della Repubblica Popolare Cinese.
Secondo Reuters, Alibaba ha appena rilasciato una versione dei suoi modelli di intelligenza artificiale Qwen3, adattata all’architettura MLX di Apple. Tradotto per i non iniziati: iPhone, iPad, Mac e MacBook possono ora eseguire questi modelli direttamente a livello locale, all’interno dell’infrastruttura neurale progettata da Cupertino.
In un mondo dove l’intelligenza artificiale ha smesso di essere fantascienza e si è trasformata in uno spietato campo di battaglia geopolitico, la notizia che gli ingegneri di Alibaba abbiano annullato il Capodanno lunare per correre dietro a DeepSeek non è solo un aneddoto aziendale: è un chiaro segnale che la guerra dell’AI è diventata totale. E brutale. Non c’è più spazio per pause spirituali, simboli nazionali o ferie codificate. Se in Occidente Microsoft o Google si fossero azzardate a dire “Saltate il Natale, dormite in ufficio”, l’azienda sarebbe esplosa sotto il peso di una class action per abuso aziendale e violazione dei diritti umani. In Cina invece si chiama “spirito competitivo”
Nel cuore pulsante di Parigi, durante il palcoscenico ipertecnologico di VivaTech, Joe Tsai, presidente di Alibaba Group Holding, ha lanciato una delle dichiarazioni più taglienti e, allo stesso tempo, strategicamente calcolate dell’anno. Aprire i modelli di intelligenza artificiale—quei giganteschi LLM che oggi dominano il panorama digitale—non è solo un gesto di altruismo tech, ma una mossa calibrata per sbloccare una marea di applicazioni AI e, soprattutto, per rilanciare una delle divisioni più strategiche di Alibaba: il cloud computing.
Se vi aspettavate una svolta convenzionale, vi sbagliate. Tsai, con la sua tipica ironia da veterano, ha definito il periodo appena trascorso per Alibaba come “un’era di grandi tormenti”. Eppure, proprio da quel caos, emerge la strategia chiave: democratizzare l’AI, liberarla da ogni vincolo di esclusività, spingendo così l’intero ecosistema verso una domanda esplosiva di infrastrutture cloud.
Occhiali spaziali e prezzi scontati, la cina invade la realtà aumentata senza chiedere permesso
A prima vista sembrano solo un altro paio di occhiali tech. Ma dentro i Rokid AR Spatial c’è la Cina che, con una lente ben levigata e una mano sul chip di Qualcomm, vuole ribaltare le regole del gioco globale della realtà aumentata. E lo fa a colpi di sconto, e-commerce e strategia militare mascherata da shopping compulsivo. AliExpress come cavallo di Troia, il “BigSave” come esca dorata: benvenuti nel nuovo fronte digitale della geopolitica commerciale.
Rokid, startup di Hangzhou specializzata in eyewear aumentato, ha deciso di lanciarsi nel mercato globale con la grazia di un bulldozer in vetrina. Dal 16 giugno, proprio in mezzo alla bolgia dell’“AliExpress 618 Summer Sale”, i suoi occhiali AR Spatial saranno disponibili in offerta mondiale a 568 dollari, quasi 100 in meno rispetto al prezzo originale. Un posizionamento aggressivo che profuma di operazione d’assalto. La tecnologia? Spinta da un hub portatile che alimenta la visione computazionale spaziale con un chip Qualcomm integrato. Il visore pesa solo 75 grammi ma porta sulle spalle un carico strategico molto più pesante.
In un’epoca in cui i modelli di intelligenza artificiale vengono trattati come i nuovi araldi della supremazia geopolitica digitale, Alibaba ha finalmente trovato la propria voce e non è una voce sintetica qualunque. Si chiama Qwen3, ed è il nuovo baluardo dell’orgoglio tech cinese. La mossa? Un’ambiziosa dichiarazione di indipendenza dall’Occidente, con una strategia che suona molto simile a: “Non ci servono i vostri Llama, ce li facciamo in casa.”
La notizia è sottile come un colpo di spada in una riunione del Partito: dopo un primo esperimento nel 2023 con la linea Qwen, accolto internamente con più sarcasmo che entusiasmo, Alibaba ha rilasciato Qwen3. E questa volta ha convinto tutti. Talmente tanto che persino le sue app, che fino a ieri preferivano flirtare con modelli esterni come DeepSeek R1, ora tornano all’ovile.
Mentre l’Occidente arranca tra regolamenti, etica da salotto e guerre interne per l’egemonia cloud, Alibaba cala il carico da 380 miliardi di yuan. Sì, hai letto bene: 52,7 miliardi di dollari per costruire una unified global cloud network, una rete unificata e globale per l’intelligenza artificiale che non lascia spazio a interpretazioni: o dentro, o fuori.
Dietro questa mossa c’è Eddie Wu Yongming, CEO del colosso cinese e architetto della nuova fase espansionistica che non si accontenta di restare leader in Asia-Pacifico. Perché se è vero che Alibaba Cloud è già il numero uno nella regione, è anche vero che il vero nemico ha tre teste e parla americano: AWS, Azure e Google Cloud. Il mercato globale non aspetta nessuno, e Wu lo sa benissimo.
Alibaba ha deciso di aprire i suoi modelli AI Qwen3 a una serie di nuove piattaforme di linguaggio, un passo strategico che punta non solo a rafforzare la sua posizione sul mercato, ma a spingere anche l’adozione globale dei suoi modelli open-source. L’iniziativa è tanto interessante quanto provocatoria, poiché non si tratta solo di una semplice mossa commerciale, ma di un vero e proprio tentativo di fare il salto di qualità nella comunità open-source internazionale, dove Alibaba sta velocemente costruendo una leadership che non può essere ignorata.
Hai presente quando ti dicono che per diventare saggio devi smettere di fare domande? Ecco, Alibaba ha preso questa perla da bar e l’ha trasformata in una strategia per rivoluzionare l’intelligenza artificiale, schiaffeggiando al contempo il modello economico delle Big Tech occidentali.
La notizia è semplice da riassumere, ma disarmante nelle implicazioni: Alibaba ha annunciato un metodo chiamato ZeroSearch, una tecnica che permette agli LLM (Large Language Models) di migliorare le proprie capacità di search senza nemmeno interrogare un motore di ricerca esterno. Sembra un paradosso zen, eppure funziona: riduzione dei costi fino al 90%, meno dipendenza dalle API commerciali tipo Google Search o Bing, e una capacità sorprendente di generare risposte pertinenti basandosi solo su simulazioni interne.
Mentre il mondo continua a cercare su Google, in Cina si sta aprendo una crepa che potrebbe diventare una voragine. Alibaba Group Holding, il colosso tech di Hangzhou che controlla tutto tranne il meteo, ha lanciato attraverso la sua app di intelligenza artificiale Quark una funzione battezzata “deep search”. E no, non è l’ennesimo restyling da due soldi: è un tentativo serio e strutturato di buttare giù il vecchio impero della ricerca online per costruirne uno nuovo, alimentato non da parole chiave, ma da ragionamenti e connessioni semantiche.
Mentre l’Occidente si trastulla tra licenze chiuse e capitali da venture da capogiro, in Cina si fa sul serio. E lo si fa open-source. Il gruppo Alibaba, più precisamente la sua divisione cloud, ha appena sparato un siluro nel cuore della competizione globale sull’intelligenza artificiale con il rilascio della famiglia di modelli Qwen3. Un’arma strategica da 235 miliardi di parametri, calibrata per smantellare la supremazia americana nel settore, alzando l’asticella di quello che si può fare con una AI libera, pubblica, modificabile.
Mentre l’Occidente dorme sugli allori di ChatGPT, Alibaba si sveglia di soprassalto e lancia la terza generazione del suo modello di intelligenza artificiale open source: Qwen3. Non si tratta di un semplice aggiornamento, ma di una vera e propria dichiarazione di guerra simbolica e tecnologica, fatta di miliardi di parametri, codice open source e una narrativa cinese sempre meno sottomessa al monopolio americano. L’annuncio, avvenuto a Hangzhou per bocca di Alibaba Cloud, sancisce non solo un balzo evolutivo nella corsa globale all’AI, ma anche l’ascesa incontestabile del modello cinese all’interno della comunità open source mondiale.
Otto modelli, da 600 milioni a 235 miliardi di parametri, distribuiti con la stessa disinvoltura con cui si carica un’app su GitHub o Hugging Face, dimostrano che l’era in cui solo gli Stati Uniti detenevano la leadership del pensiero computazionale sta volgendo al termine. Il Qwen3-235B, la punta di diamante della famiglia, ha superato i mini modelli di OpenAI come o3-mini e o1, e anche l’R1 di DeepSeek, in ambiti dove solitamente si celebrava solo l’inglese algoritmico: comprensione linguistica, conoscenza specialistica, matematica e programmazione. E lo ha fatto da open source. Ironico.
Siamo entrati in una nuova fase della corsa globale all’intelligenza artificiale, e questa volta il fronte non è fatto di missili ma di parametri, open source e motori di razzi. In una manciata di ore, la Cina – con Alibaba in testa – ha lanciato un attacco ben coordinato alla supremazia statunitense nel campo dei modelli fondamentali di AI. E come risposta immediata, Elon Musk ha fatto quello che sa fare meglio: creare hype.
Alibaba ha svelato la terza generazione della sua famiglia di modelli Qwen, con Qwen3 che si spinge fino a 235 miliardi di parametri. Se non siete familiari con questi numeri, basti dire che superano le performance dichiarate di DeepSeek-R1 e perfino quelle del modello di ragionamento o1 di OpenAI. Non male per un paese che fino a pochi anni fa veniva guardato dall’alto in basso nell’ecosistema AI occidentale. Qwen3 è già disponibile su Hugging Face e, secondo alcuni esperti, la sua versione da 600 milioni di parametri potrebbe girare addirittura su uno smartphone. Sì, lo smartphone: l’AI portatile non è più un sogno, è solo una questione di efficienza energetica.
Mentre l’Occidente si agita attorno ai soliti noti – OpenAI, Google, Meta – in Cina il gioco si fa decisamente più spietato, veloce e silenzioso. Alibaba, il gigante di Hangzhou spesso relegato alla narrativa dell’e-commerce, ha appena calato il suo asso nella manica: Qwen3, la terza generazione del suo modello AI open source. E questa volta non si accontenta di rincorrere. Vuole comandare.
Il pacchetto Qwen3 non è un giocattolo per ricercatori o un demo da startup affamata di attenzione. Parliamo di otto modelli, dai più leggeri a 600 milioni di parametri fino al colosso da 235 miliardi, con l’ambizione dichiarata – e supportata da benchmark – di battere o eguagliare OpenAI, Google e DeepSeek su compiti chiave come il code generation, problem solving matematico e la comprensione complessa delle istruzioni. Non è una dichiarazione di intenti: è una minaccia industriale.
La notizia ha un suono familiare, ma stavolta c’è una sfumatura inedita: la Food and Drug Administration americana ha appena concesso la designazione di “breakthrough device” al modello AI per la diagnosi del cancro sviluppato da Alibaba, noto come Damo Panda. E no, non è uno scherzo: un colosso tecnologico cinese, spesso sotto tiro per questioni geopolitiche e cybersicurezza, ottiene un timbro di eccellenza da parte dell’ente regolatore sanitario più influente al mondo. Questo, più che un’apertura, sa tanto di resa strategica: l’intelligenza artificiale, ormai, parla mandarino anche nel cuore del biomedicale USA.
Damo Panda è un modello deep learning pensato per scovare il cancro al pancreas nelle sue fasi iniziali, quelle che i radiologi umani spesso si perdono, soprattutto se il paziente non ha ancora sintomi. Lo fa elaborando immagini da TAC addominali non contrastografiche, una sfida clinica e computazionale niente male. Allenato su una base dati di oltre tremila pazienti oncologici, Panda ha dimostrato di battere i radiologi in sensibilità diagnostica del 34,1%. E non stiamo parlando di un benchmark simulato: in Cina ha già operato su 40.000 casi reali presso l’ospedale di Ningbo, individuando sei tumori pancreatici in fase precoce, di cui due erano sfuggiti completamente alle analisi umane. Un colpo basso alla medicina difensiva e ai cultori della seconda opinione.
Alibaba Group sta intensificando il suo impegno nel settore automobilistico con un piano che prevede l’integrazione di tecnologie di intelligenza artificiale (AI) nelle automobili, raggiungendo accordi significativi con alcuni dei principali attori globali, tra cui Nio, BMW e potenzialmente Tesla. La mossa arriva in un momento cruciale per la tecnologia cinese, che punta ad affermarsi come il fulcro dell’innovazione nel settore dell’auto intelligente. Ma ciò che potrebbe sembrare un semplice passo verso il futuro, nasconde sotto la superficie una strategia ben più profonda e ambiziosa. Vediamo come Alibaba sta pianificando di conquistare il mercato dell’auto intelligente, e perché potrebbe avere tutte le carte in regola per farlo.
In un mercato che si trasforma più velocemente di quanto la burocrazia riesca a normarlo, Alibaba ha piazzato un colpo chirurgico alla concorrenza: il suo assistente AI potenziato, Quark, è ufficialmente l’app di intelligenza artificiale più utilizzata in Cina. Non si tratta di una vittoria estetica o di un semplice restyling da PR, ma di un sorpasso strategico e pesantemente indicativo: Quark ha raggiunto i 150 milioni di utenti attivi mensili, superando Doubao di ByteDance e DeepSeek, ferme rispettivamente a 100 e 77 milioni, secondo i dati tracciati da Aicpb.com.
Sì, Alibaba possiede il South China Morning Post, ma qui i numeri parlano chiaro anche senza media embedded.
Jack Ma è tornato. No, non con un IPO o una rivoluzione del mercato. È riapparso a Hangzhou campus, badge da impiegato al collo come fosse un giovane neoassunto, per arringare le truppe del suo impero ormai focalizzato non più sullo shopping online, ma sull’intelligenza artificiale. E, come ogni buon fondatore che si rispetti dopo anni di silenzio e auto-esilio semi-volontario, ha fatto ciò che solo i grandi imprenditori-filosofo sanno fare: parlare di tecnologia con parole da poeta zen, sfiorando il misticismo. Ma dietro la retorica, c’è una mutazione darwiniana in atto dentro Alibaba, e va analizzata senza inciampare nei petali del suo Blossom Project.
Jack Ma, 60 anni, uno dei simboli dell’era d’oro tech cinese, ha dichiarato che l’AI non dovrebbe puntare a “conquistare galassie e oceani”, ma a proteggere il “fumo e il fuoco del mondo mortale”. Tradotto per chi non legge i classici cinesi al mattino: l’AI serve a migliorare la vita concreta delle persone, non a costruire Skynet o sogni da tech-evangelisti della Silicon Valley. È un appello tanto nobile quanto, diciamolo, strategicamente calcolato. Perché mentre in Occidente si lotta tra open e closed source, copyright e regolazioni etiche, Alibaba punta a posizionarsi come il provider umano e responsabile dell’intelligenza artificiale in Cina.
Alibaba ha appena fatto un altro passo importante verso la solidificazione della sua posizione nel mondo dell’AI generativa, presentando il modello multimodale Qwen2.5-Omni-7B. Questo nuovo strumento non è solo una pietra miliare nella tecnologia AI, ma segna anche un cambio di paradigma: un’intelligenza artificiale avanzata ora disponibile per smartphone, tablet e laptop, strumenti quotidiani che fino a ieri erano lontani dall’idea di poter ospitare capacità simili. Con soli 7 miliardi di parametri, Qwen2.5-Omni-7B è stato progettato per funzionare su dispositivi mobili, rendendo l’AI avanzata accessibile a una gamma molto più ampia di utenti.
Il modello è in grado di gestire input di testo, immagini, audio e video, rispondendo in tempo reale con contenuti testuali o audio, un passo significativo verso la creazione di interfacce più dinamiche e fluide. Alibaba ha scelto di rendere Qwen2.5-Omni-7B open-source, mettendolo a disposizione su piattaforme come Hugging Face, GitHub di Microsoft e ModelScope di Alibaba. Un chiaro segnale di come la compagnia stia cercando di stimolare la collaborazione e l’adozione di questa tecnologia a livello globale. Inoltre, il modello è integrato nel Qwen Chat, una dimostrazione tangibile della sua applicabilità nei servizi di chat AI, un mercato che Alibaba non ha intenzione di lasciarsi sfuggire.
Alibaba sta alzando il tiro nella lotta contro le immagini di prodotto generate dall’intelligenza artificiale, un fenomeno che sta sfuggendo di mano a livello globale. La sua piattaforma di e-commerce Taobao ha annunciato una nuova iniziativa per arginare l’uso improprio dell’AI nella creazione di immagini pubblicitarie ingannevoli, una mossa che punta a proteggere i consumatori e i brand originali.
Con la crescente accessibilità di strumenti avanzati di generazione di immagini, molti venditori hanno trovato terreno fertile per abbellire – o meglio, falsificare – i propri prodotti con un realismo mai visto prima. Ma Alibaba ha deciso di dire basta. Il messaggio è chiaro: il ritocco è consentito, ma solo se rimane “moderato e realistico”. In altre parole, niente più immagini che mostrano prodotti in versioni esageratamente perfette, distanti anni luce dalla realtà.
BMW e Alibaba hanno recentemente annunciato un’espansione della loro partnership strategica in Cina, con l’obiettivo di integrare modelli di linguaggio AI di grandi dimensioni (LLM) nei veicoli di prossima generazione del marchio tedesco. Questa collaborazione prevede l’integrazione dell’AI Qwen di Alibaba nei modelli Neue Klasse di BMW, la cui produzione in Cina è prevista per il 2026.
L’obiettivo dichiarato è sviluppare un assistente personale intelligente (IPA) avanzato, capace di comprendere e rispondere a comandi vocali complessi. Ad esempio, gli utenti potranno pianificare una serata fuori, con il sistema che analizzerà dati in tempo reale su traffico, recensioni dei locali e preferenze personali per fornire suggerimenti personalizzati.
Questa mossa rappresenta un ulteriore passo avanti nella strategia di BMW di rafforzare la propria presenza nel mercato cinese attraverso collaborazioni con giganti tecnologici locali. Già nel 2018, BMW aveva iniziato a integrare l’assistente vocale Tmall Genie di Alibaba nei suoi veicoli destinati al mercato cinese. Successivamente, nel 2020, le due aziende hanno firmato un Memorandum of Understanding per promuovere la trasformazione digitale dell’intero processo aziendale di BMW in Cina.