Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Tag: usa Pagina 1 di 5

Anatomia dei primi 100 giorni di Trump: Groenlandia, dazi e autoritarismo

Nel suo ritorno alla Casa Bianca, Donald Trump ha rilanciato l’idea di un nuovo “Liberation Day”, una giornata simbolica per affrancare aziende e consumatori americani da quelli che definisce “trattamenti ingiusti” dei partner commerciali. Dietro la retorica nazionalista, però, si cela una strategia politica ed economica che rischia di riscrivere gli equilibri mondiali. Con una politica economica fondata su dazi aggressivi e una politica estera che strizza l’occhio all’espansionismo — dalle pretese sulla Groenlandia al controllo del Canale di Panama — Trump apre la strada a una nuova stagione di autoritarismo. Una stagione che potrebbe ispirare leader come Vladimir Putin in Ucraina, Xi Jinping su Taiwan e Benjamin Netanyahu in Medio Oriente, alimentando una destabilizzazione globale senza precedenti.

White Paper. Il nuovo disordine globale: Trump, la Cina e l’Intelligenza Artificiale alla conquista del futuro

Cento giorni fa, Donald Trump è tornato alla Casa Bianca con l’imponenza di un elefante in una cristalleria, pronto a ribaltare l’ordine mondiale che lui stesso aveva contribuito a plasmare. Con la promessa di un “Liberation Day”, ha dichiarato guerra ai suoi “cattivi partner commerciali” e ha sognato di annettersi territori che nemmeno il più sfrenato imperialismo avrebbe mai osato immaginare. Mentre Trump gioca a Risiko, il mondo risponde con una combinazione letale di panico, dazi e – ovviamente – intelligenza artificiale.

La rabbia algoritmica: quando l’intelligenza artificiale incontra la democrazia e viene accolta con forconi digitali

Comments Received in Response To: Request for Information on the Development of an Artificial Intelligence (AI) Action Plan (“Plan”)

La Casa Bianca ha appena scaricato online tutti i 10.068 commenti ricevuti durante la sua richiesta di informazioni per delineare un piano d’azione sull’intelligenza artificiale. Non stiamo parlando di una consultazione tra burocrati in tailleur e cravatta, ma di un autentico sfogo collettivo, una sorta di “confessione pubblica” sul futuro dell’umanità assistita da macchine.

Per chi non ha voglia di farsi una maratona da 10.000+ pareri pubblici (spoiler: nessuno ha voglia), è disponibile una dashboard con i riepiloghi generati da AI. Ironico, vero? L’AI che riassume le lamentele contro l’AI. Una distopia perfettamente autosufficiente.

Ma veniamo al punto. Il sentimento dominante è il disprezzo, con una punta di paranoia tecnofobica. Non si tratta solo di una manciata di boomer inferociti: è un fronte ampio, trasversale, che unisce utenti ordinari, attivisti, professionisti creativi, e pure qualche tecnologo pentito.

Bye Bye Cina? Welcome India Apple cambia pelle e riscrive la geopolitica del tech

Nel mondo dei colossi, dove ogni movimento strategico ha il peso di un’onda sismica, Apple sta tracciando una nuova rotta: addio (quasi) definitivo alla Cina come fabbrica globale degli iPhone destinati al mercato statunitense. Secondo il Financial Times, la Mela di Cupertino ha intenzione di spostare tutta la produzione degli iPhone venduti negli USA in India entro il 2026, con una prima milestone già nel 2025. Tradotto: oltre 60 milioni di pezzi l’anno, made in Bharat. Il tutto in risposta al deterioramento delle relazioni commerciali tra Washington e Pechino, in un gioco di tariffe, esenzioni temporanee e tensioni da guerra fredda versione 5G.

La mossa di Apple è figlia diretta del rischio di una tariffa del 125% sui prodotti cinesi ventilata da Donald Trump, oggi redivivo sul palcoscenico politico americano. Una misura che avrebbe reso l’importazione di iPhone prodotti in Cina un suicidio economico. Per ora, i telefoni cinesi sono colpiti da un dazio separato del 20%, mentre quelli fabbricati in India godono di una tariffa dimezzata, al 10%, fino a luglio. E se l’accordo commerciale con Nuova Delhi andrà in porto, il vantaggio fiscale potrebbe diventare permanente.

Trump e l’economia del disincanto: la luna di miele è finita, il conto arriva ora

La narrativa trionfale che ha accompagnato la rielezione di Donald Trump si sta sbriciolando sotto il peso delle aspettative mancate. L’ultimo sondaggio economico nazionale CNBC All-America fotografa un Paese più cupo, deluso e (cosa ancora più letale in politica) impaziente. Il consenso economico nei confronti del presidente ha toccato i livelli più bassi del suo secondo mandato, segnando un’inversione di rotta drammatica rispetto all’impennata di ottimismo che aveva accompagnato la sua riconferma. Con un approvazione economica al 43% e un netto 55% di disapprovazione, Trump entra ufficialmente nella zona rossa della fiducia pubblica, per la prima volta anche sul tema economico, da sempre il suo cavallo di battaglia.

Il dato più preoccupante per la Casa Bianca non è tanto la resistenza della base repubblicana, che regge, quanto la frattura profonda con gli indipendenti e l’ostilità feroce dei democratici. Tra questi ultimi, la disapprovazione netta sulle politiche economiche di Trump ha raggiunto il -90, un abisso politico mai visto nemmeno durante il primo mandato. E anche tra i lavoratori blue collar, una delle colonne portanti del trionfo trumpiano del 2024, il supporto mostra crepe evidenti: sì, ancora positivi nel complesso, ma con una crescita di 14 punti nei tassi di disapprovazione rispetto alla media del primo mandato. Il tempo della gratitudine è finito, ora si pretende il dividendo.

Panopticon AI: Google regala l’intelligenza artificiale agli studenti USA: carità strategica o cavallo di Troia accademico?

Quando un colosso come Google inizia a regalare qualcosa, è il momento di preoccuparsi. A partire da oggi, gli studenti universitari negli Stati Uniti possono accedere gratuitamente al piano Google One AI Premium, un servizio normalmente venduto a 20 dollari al mese, fino al 30 giugno 2026. Una mossa che suona tanto come beneficenza digitale, ma che odora pesantemente di colonizzazione dell’ambiente accademico.

Per aderire, basta iscriversi entro il 30 giugno 2025 usando un’email .edu, cioè l’equivalente tecnologico del lascia passare imperiale nel mondo universitario americano. Google, bontà sua, promette anche di avvisare via email prima della scadenza, così gli studenti potranno “cancellare in tempo”. L’intenzione dichiarata? Aiutare gli studenti a “studiare in modo più intelligente”. L’intenzione reale? Intrappolarli nel proprio ecosistema prima che imparino a leggere la concorrenza.

La nuova guerra digitale tra banche e deepfake: la Fed rispolvera l’intelligenza artificiale

La dichiarazione di Michael Barr, Governatore della Federal Reserve, non è passata inosservata. In un mondo dove la minaccia non ha più un volto ma un algoritmo, Barr ha lanciato un appello ai banchieri: svegliatevi, abbracciate l’intelligenza artificiale o sarete carne da macello per i nuovi truffatori digitali.

Nel suo intervento alla Federal Reserve Bank di New York, Barr ha tracciato un quadro che definire allarmante è poco. Le tecnologie deepfake quelle meraviglie del diavolo capaci di replicare perfettamente volto, voce e movimenti di una persona reale non sono più una curiosità accademica o uno scherzo da social. Sono armi. E come ogni arma che si rispetti, puntano dritte al cuore: le identità bancarie.

Trump valuta da mesi la rimozione di Powell: una mossa che potrebbe far crollare i mercati, secondo Warren

Donald Trump, nell’ombra e senza fanfare, starebbe da mesi vagliando l’idea di far fuori Jerome Powell, l’attuale presidente della Federal Reserve. Nessuna dichiarazione ufficiale, solo il classico gioco di sussurri e voci filtrate da ambienti “vicini ai fatti” la liturgia consolidata del potere quando vuole testare la temperatura dell’acqua senza sporcarsi le mani. Ma la temperatura, stavolta, rischia di bollire tutto.

L’ex presidente, che già in passato ha più volte criticato Powell per la sua gestione dei tassi d’interesse, ora sembra pronto ad affondare il colpo qualora tornasse alla Casa Bianca nel 2025. La sua antipatia nei confronti del numero uno della Fed non è una novità. Trump voleva tassi a zero, o meglio negativi, in pieno stile giapponese-decadente. Powell, invece, ha resistito – almeno quanto ha potuto –alla tentazione di trasformare la politica monetaria americana in un casino di Las Vegas. E questo, a Trump, non è mai andato giù.

Trump rilancia i dazi e affonda i chip: 1 miliardo di dollari in fumo per l’industria americana

Se c’è una costante nella geopolitica economica degli Stati Uniti targati Trump, è questa: ogni volta che si alza una barriera doganale per punire la Cina, qualcuno in California piange. E ora a piangere, con le tasche alleggerite di almeno un miliardo di dollari l’anno, sono proprio i colossi dell’industria dei semiconduttori americana. Applied Materials, Lam Research, KLA, e i player minori come Onto Innovation stanno facendo i conti non con i margini, ma con l’ascia di un protezionismo miope che rischia di segare il ramo su cui l’America tecnologica è seduta.

Secondo quanto riportato da Reuters, le tre principali aziende statunitensi produttrici di apparecchiature per semiconduttori stanno ciascuna fronteggiando perdite stimate attorno ai 350 milioni di dollari l’anno. Non a causa di un crollo della domanda, ma per le tariffe doganali decise dal solito zelo patriottico di Washington, in versione campagna elettorale. Onto Innovation, meno nota ma comunque presente nella supply chain globale, rischia perdite nell’ordine delle decine di milioni. Bruscolini, certo, ma solo per chi non lavora nell’azienda.

Eric Schmidt serve più energia o più cervello?

A Washington si è celebrata l’ennesima seduta teatrale mascherata da audizione congressuale, dove il sipario si è alzato su un paradosso tutto americano: per dominare il futuro dell’intelligenza artificiale, bisogna consumare il passato dell’energia. Una corsa al primato tecnologico che brucia elettricità come se fosse carbone dell’Ottocento, mentre la questione climatica viene elegantemente ignorata come un cameriere troppo zelante a un gala di miliardari.

Eric Schmidt, ex CEO di Google e oggi nuovo profeta dell’IA sotto le vesti del suo think tank “Special Competitive Studies Project”, ha scodellato la nuova verità: “Abbiamo bisogno di energia in tutte le forme, rinnovabili o meno, subito e ovunque”. Una chiamata alle armi energetica che sa tanto di manifesto industriale più che di politica nazionale.

Durante l’audizione della Commissione Energia e Commercio della Camera, la parola d’ordine è stata una sola: “dominanza”. Dominanza sull’energia. Dominanza sull’IA. Dominanza sulla Cina. E se per raggiungerla bisogna mettere in pausa il pianeta, pazienza. Quattro ore di interventi bipartisan dove repubblicani e democratici si sono annusati e ignorati a turno, uniti da un’ansia esistenziale: perdere la corsa contro Pechino.

I senatori repubblicani chiedono abrogazione dell’AI Diffusion Rule

Il 14 aprile 2025, sette senatori repubblicani hanno inviato una lettera al Segretario al Commercio Howard Lutnick, chiedendo l’abrogazione della “AI Diffusion Rule“, una normativa introdotta dall’amministrazione Biden che limita l’esportazione globale di chip per l’intelligenza artificiale.

Secondo i senatori, questa regola potrebbe danneggiare la leadership degli Stati Uniti nel settore dell’IA, creando incertezza per le aziende americane e ostacolando gli investimenti e le partnership tecnologiche globali. La normativa classifica i paesi in tre livelli, con solo 18 nazioni che godono di un accesso facilitato alla tecnologia americana, mentre la maggior parte, inclusi alleati come Israele, affronta restrizioni significative.

I senatori avvertono che tali limitazioni potrebbero spingere i paesi del secondo livello a rivolgersi a soluzioni cinesi, indebolendo l’influenza tecnologica degli Stati Uniti. Microsoft ha espresso preoccupazioni simili, affermando che la regola potrebbe dare alla Cina un vantaggio strategico nella diffusione della propria tecnologia IA.

Il Segretario Lutnick ha dichiarato che è necessario impedire alla Cina di utilizzare la tecnologia americana per costruire i propri sistemi IA. La questione evidenzia le divisioni interne al Partito Repubblicano su come gestire le esportazioni tecnologiche in un contesto di crescente competizione con la Cina.

La nuova trovata: Tariffe settoriali e paranoia industriale, la crociata di Trump contro l’Asia tech

Benvenuti nel nuovo episodio della soap opera Tariff Wars: Made in America, dove ogni giorno è una roulette russa per le supply chain globali. Howard Lutnick, Segretario al Commercio USA e fedele araldo del trumpismo 2.0, ha rivelato in un’intervista alla ABC che l’amministrazione ha deciso di separare i destini tariffari dei prodotti tech – smartphone, computer, semiconduttori e altra elettronica di prima fascia – da quelli soggetti ai dazi “reciproci” annunciati ad aprile. Ora, questi prodotti rientreranno sotto una nuova categoria: le “tariffe settoriali”.

Pechino suona la carica, Li Qiang a Ursula von der Leyen : “abbiamo gli strumenti per resistere alla guerra commerciale di Trump”

Nel teatro sempre più grottesco dell’economia globale, dove le regole del gioco sembrano essere scritte con l’inchiostro simpatico dell’interesse nazionale americano, la Cina ha deciso di mostrare i muscoli ma con il guanto bianco della diplomazia. Li Qiang, Premier della Repubblica Popolare, ha alzato la cornetta e parlato con Ursula von der Leyen per recitare un copione che sa di calma glaciale e determinazione sistemica: “abbiamo abbastanza strumenti politici in riserva” e “siamo pienamente in grado di contrastare gli shock esterni”.

Tradotto dal mandarino: Trump può pure giocare a Risiko con i dazi, noi giochiamo a Go con decenni di pianificazione centralizzata. Il messaggio è chiaro, e non è solo per l’Europa: Pechino non ha intenzione di piegarsi alla nuova ondata protezionistica partorita dalla Casa Bianca. Anzi, rilancia con il solito mantra del “difendere l’equità internazionale” un concetto che fa sorridere se pronunciato da un Paese che tiene in piedi il più sofisticato sistema di capitalismo di Stato mai concepito.

Trump rilancia la guerra fredda del Pacifico: un trilione di dollari, dazi al 125% e una strategia che puzza di guerra commerciale più che di deterrenza

Benvenuti nell’era del trilione di dollari. Donald Trump, tornato alla Casa Bianca come un fantasma che non vuole saperne di restare nel passato, ha promesso – con l’immancabile petto gonfio da comandante in capo – un budget per la difesa da 1.000 miliardi di dollari. Una cifra colossale, mai vista prima, che rappresenta un incremento vertiginoso rispetto agli 892 miliardi appena approvati per il 2024. E mentre a Washington tagliano a colpi d’accetta tutto ciò che non sa di guerra, Trump e il nuovo Segretario alla Difesa Pete Hegseth piazzano il pentolone bollente della deterrenza sul fornello dell’Indo-Pacifico. Il messaggio è chiaro, urlato con il solito megafono mediatico: la Cina è il nemico designato, e bisogna spendere per stare al passo.

La guerra dei dazi tecnologici 125%: perché Apple e Nvidia non bastano a salvarci dal disastro annunciato

Un caffè al Bar dei Daini

Nel bel mezzo di un tracollo globale dei mercati, Donald Trump – con la consueta teatralità da venditore di padelle –ha annunciato un aumento vertiginoso delle tariffe sulle importazioni dalla Cina, portandole al 125%. Un colpo secco e clamoroso, mentre concedeva una “pausa” di 90 giorni ai dazi punitivi diretti alla maggior parte delle altre nazioni. Il messaggio è chiaro: il bersaglio ora è unico, si chiama Pechino. Tutti gli altri, per ora, respirano.

A sentirlo parlare, sembra che 75 paesi gli abbiano implorato di fare un accordo. E come al solito, il presidente americano si mette in posa da macho solitario con l’istinto infallibile: “China wants to make a deal… but they don’t quite know how.” Una frase che suona più da psicoanalisi per popoli fieri che da geopolitica. Ma il sottotesto è semplice: Xi Jinping, sei nel mirino, fatti vivo.

La retorica, degna di una campagna elettorale permanente, si traduce in una nuova escalation: dazi cumulativi del 125% contro Pechino, mentre la Cina risponde immediatamente con un +50% su tutte le importazioni americane. Non esattamente il clima ideale per una distensione commerciale, ma in Borsa, si sa, basta poco per riaccendere l’euforia. L’S&P 500 rimbalza fino all’8% dopo quattro sedute da incubo. L’isteria algoritmica vince ancora.

Dietro le quinte, tuttavia, regna l’ambiguità. La pausa concessa agli “altri” resta avvolta nella nebbia. Perché anche l’Unione Europea – che nel frattempo ha imposto ritorsioni – viene inclusa nella moratoria? Mistero. Nessuna risposta chiara, solo l’ennesimo “go with the gut” di Trump. Un approccio che definire artigianale è un eufemismo: “Non puoi fare i conti con la matita, è questione d’istinto.” Una filosofia gestionale da poker texano con le economie globali come posta sul tavolo.

Intanto, i suoi fedelissimi cercano di riscrivere la narrativa: le tariffe non sono una reazione alla caduta dei mercati, ma una strategia pianificata. “Trump ha provocato la Cina a scoprirsi,” dice il Tesoro. Che in pratica è come dire: abbiamo fatto tiltare Pechino e ora il mondo sa chi è il cattivo. Un po’ troppo comodo, forse.

Mentre si aprono nuovi tavoli di trattativa – con Vietnam e Giappone pronti a mandare “deal teams” –la Casa Bianca manda un messaggio al mondo: chi non ha risposto con ritorsioni sarà trattato con clemenza. Ma resta la domanda su quanto durerà la luna di miele. Perché dietro l’apparente trionfalismo si intravede il solito schema trumpiano: creare il caos, attendere il panico, poi offrire la via d’uscita.

Daniel Russel, ex Consiglio per la Sicurezza Nazionale con Obama, fotografa il paradosso: “Il bersaglio è solo la Cina, ma i continui zigzag creano un’incertezza tossica per aziende e governi.” Ecco il problema: l’unilateralismo tattico senza una visione strategica di lungo termine. Pechino, secondo Russel, non cederà. Aspetterà che Trump si spinga troppo oltre, poi agirà. Perché a concedere si rischia di perdere, e Xi non è tipo da perdere la faccia.

La sensazione? Che questa sia solo la prima stagione di una lunga serie. Una fiction politico-commerciale a metà tra House of Cards e Succession, dove l’unica costante è il protagonismo compulsivo di un presidente che confonde la diplomazia con la roulette russa. Con una differenza: qui non si gioca con i gettoni, ma con l’equilibrio dell’economia mondiale.

Nel nome della sovranità commerciale e di un nazionalismo economico che ormai puzza di muffa, l’amministrazione Trump ha appena scatenato l’ennesima bomba atomica sul fragile equilibrio del mercato tecnologico globale. Un colpo da 104% in pieno volto alla Cina, con tariffe che sembrano uscite da un manuale di autodistruzione economica, ha riacceso le fiamme di una guerra commerciale che tutti fingevano dimenticata ma che, a quanto pare, era solo sopita.

Il contraccolpo è immediato, sistemico, e francamente prevedibile. La risposta di Pechino arriva puntuale come un razzo ipersonico: 84% di dazi sui prodotti americani. Benvenuti nel 2025, dove la globalizzazione è un ricordo vintage e la filiera tecnologica globale è diventata un campo minato geopolitico. Wedbush, attraverso la voce – sempre pessimista quanto realista – di Daniel Ives, non ha nemmeno bisogno di analizzare troppo: i tech non forniranno guidance. Nessuno sano di mente si azzarda a proiettare numeri nel caos. Apple inclusa.

L’imprenditore che voleva la Luna: Jared Isaacman pronto a conquistare la NASA

La prossima settimana si consumerà un siparietto degno di un copione hollywoodiano scritto tra una conference call di SpaceX e un cocktail con Raytheon: Jared Isaacman, il miliardario con la passione per le acrobazie spaziali e i bilanci in ordine, si presenterà al Senato per una delle audizioni più delicate degli ultimi anni. Non come testimone, ma come protagonista. Al centro del palcoscenico politico-tecnocratico, Isaacman si prepara ad affrontare la Commissione per il commercio, la scienza e i trasporti del Senato per difendere la sua candidatura a nuovo amministratore della NASA.

Senatori USA nel mirino: Microsoft e Google sotto accusa per accordi nell’IA

Nel panorama tecnologico odierno, le alleanze strategiche tra giganti del settore e startup emergenti nel campo dell’intelligenza artificiale (IA) sono diventate pratica comune. Tuttavia, queste mosse non sono passate inosservate agli occhi vigili dei legislatori statunitensi. I senatori democratici Elizabeth Warren e Ron Wyden hanno recentemente sollevato preoccupazioni riguardo alle partnership tra Microsoft e OpenAI, nonché tra Google e Anthropic, temendo che tali accordi possano soffocare la concorrenza e limitare le scelte dei consumatori. ​

In lettere indirizzate alle due colossali aziende tecnologiche, i senatori hanno richiesto dettagli sui termini finanziari e sulle clausole di esclusività di queste collaborazioni. La loro apprensione principale è che tali alleanze possano consolidare il potere di mercato delle grandi aziende, soffocando l’innovazione e portando a prezzi più elevati per i consumatori. Inoltre, hanno sollevato interrogativi sulla possibilità che Microsoft e Google intendano acquisire i loro partner nell’IA, trasformando queste partnership in vere e proprie fusioni mascherate.

Elon musk e la nuova API della discordia: DOGE, IRS e il sogno (impossibile) del cloud fiscale

Se pensavi che la commedia tra Silicon Valley e Washington avesse già raggiunto il suo apice, preparati a un nuovo atto. Questa volta il palco è l’Internal Revenue Service, l’orchestra è un improvvisato dream team di tech bros sotto il cappello pomposamente distopico del Department of Government Efficiency – acronimo volutamente canino: DOGE – e il regista, ça va sans dire, è Elon Musk, o meglio il suo ennesimo braccio operativo non ufficiale.

Secondo quanto riportato da Wired, DOGE starebbe organizzando un hackathon a Washington la prossima settimana, con l’obiettivo di costruire una “mega API” capace di accedere ai dati del fisco americano e migrarli in cloud. Quale cloud? Mistero. Si parla, inquietantemente, anche di provider terzi come Palantir, nome che evoca scenari più da “Minority Report” che da modernizzazione digitale. In teoria, questo mega-API dovrebbe diventare il “read center” per i sistemi dell’IRS: in pratica, un accesso centralizzato e trasversale ai dati fiscali dell’intera popolazione statunitense.

Scott Bessent e il ruolo dell’intelligenza artificiale di DeepSeek nel crollo dei mercati: un’analisi della situazione economica globale

Il mercato azionario mondiale sta attraversando una fase di turbolenza che ha attirato l’attenzione di molti osservatori, in particolare a causa della continua discesa dei principali indici. Tuttavia, mentre la narrativa prevalente suggerisce che le politiche economiche di Donald Trump siano la causa principale di questo calo, Scott Bessent, segretario del Tesoro degli Stati Uniti, ha lanciato una visione contrastante, suggerendo che il vero fattore scatenante del crollo possa essere l’emergere di DeepSeek, un avanzato strumento di intelligenza artificiale sviluppato in Cina.

Bessent, intervistato da Tucker Carlson su Fox News, ha fatto un’affermazione provocatoria, chiarendo che la discesa dei mercati è iniziata ben prima dell’intensificarsi delle politiche tariffarie di Trump. Secondo lui, il vero catalizzatore del calo sarebbe stato l’annuncio del lancio di DeepSeek, l’innovativo modello di intelligenza artificiale cinese, che ha scosso i mercati globali con una potenza dirompente.

Banche e fintech: amore e guerra nell’era dell’AI generativa, parola della Fed Michael Barr

Jerome Powell sta in silenzio, ma Michael Barr, il vice presidente della Federal Reserve per la supervisione bancaria, parla. E quando parla, non lo fa per riempire d’aria le sale di conferenze. Nel suo intervento di ieri, ha lanciato un segnale inequivocabile: banche e fintech non solo dovranno convivere nel campo dell’intelligenza artificiale generativa, ma saranno costrette a una danza fatta di competizione spietata e cooperazione strategica. Una convivenza forzata tra il lupo di Wall Street e la startup con la felpa di Stanford.

Trump scatena una guerra commerciale sui chip: tariffe record su Cina, Taiwan e Giappone

L’America torna grande. O almeno così dice Donald Trump, che ha annunciato l’introduzione di tariffe reciproche devastanti sui principali attori della catena di approvvigionamento dei semiconduttori. Cina colpita con un 34%, Taiwan con un 32% e il Giappone con un 24%. Un colpo diretto al cuore dell’industria tecnologica globale, con effetti immediati sui mercati finanziari e sull’intero ecosistema dei semiconduttori.

Dal Rose Garden della Casa Bianca, Trump ha proclamato quello che ha definito “il giorno della liberazione economica dell’America”, firmando un ordine esecutivo che introduce le nuove tariffe con un tono da crociata economica: “Abbiamo aspettato troppo a lungo… Oggi è il giorno in cui rendiamo l’America di nuovo ricca.” La strategia? Costringere le aziende tecnologiche a riportare la produzione in casa, evitando così i dazi.

Floridi, Novelli, Gaur – Il futuro della regolamentazione dell’intelligenza artificiale nella amministrazione Trump: ordine o caos?

Questo articolo nasce dall’ispirazione fornita dal lavoro di Claudio Novelli (Yale University – Digital Ethics Center), Akriti Gaur (Yale Law School; Yale Information Society Project) e Luciano Floridi (Yale University – Digital Ethics Center; University of Bologna – Department of Legal Studies).

Two Futures of AI Regulation under the Trump Administration

SSRN PAPER : https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=5198926

Le loro ricerche mettono in luce il complesso rapporto tra regolamentazione dell’intelligenza artificiale, governance politica ed etica digitale, temi che oggi più che mai richiedono una riflessione approfondita. Il dibattito sulla regolamentazione dell’AI non è solo una questione tecnica, ma un crocevia di scelte politiche, economiche e filosofiche che determineranno il futuro della società digitale.

Trump crea l’Investment Accelerator: cambio di rotta o solo retorica sulla CHIPS Act?

Lunedì, l’ex presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per istituire un nuovo ufficio che supervisionerà la CHIPS and Science Act e faciliterà investimenti esteri superiori al miliardo di dollari negli Stati Uniti. Il nuovo ente, denominato United States Investment Accelerator, sarà ospitato all’interno del Dipartimento del Commercio e si occuperà direttamente della gestione dell’ufficio CHIPS Program, responsabile della distribuzione dei 57,2 miliardi di dollari stanziati per rafforzare la ricerca e la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti.

Microsoft e Apple fuggono dalla Cina mentre Trump gioca a poker con TikTok

Microsoft chiude il suo laboratorio AI a Shanghai, Apple perde un altro ingegnere di punta, e nel frattempo Trump usa TikTok come merce di scambio nei negoziati con Pechino. Tre notizie separate, ma un unico filo conduttore: la disgregazione tecnologica tra Stati Uniti e Cina sta accelerando, con effetti imprevedibili.

Microsoft e la ritirata silenziosa

La chiusura del laboratorio AI di Microsoft a Shanghai è solo l’ultimo segnale di un trend ormai evidente: le grandi aziende tecnologiche occidentali stanno riducendo la loro presenza in Cina. Ufficialmente, la decisione sarebbe legata a una riorganizzazione interna e alla crescente concorrenza dei colossi cinesi dell’intelligenza artificiale come Baidu e Huawei. Ma il contesto geopolitico è innegabile: tra tensioni sui semiconduttori, divieti commerciali e spionaggio industriale, la Silicon Valley non si fida più del mercato cinese.

Elon Musk: il ritorno dei suoi uomini dal governo alle sue aziende

Nel panorama sempre più intricato delle relazioni tra settore pubblico e privato, Elon Musk continua a dimostrare una capacità unica di navigare e, talvolta, manipolare le correnti a suo favore. Recentemente, si è assistito a un fenomeno curioso: alcuni membri del Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE), l’entità semi-ufficiale guidata da Musk con l’obiettivo dichiarato di snellire la burocrazia federale, stanno facendo ritorno, in modo discreto, alle sue aziende private.​

Prendiamo il caso di Marko Elez. Inizialmente allontanato dal Dipartimento del Tesoro a causa di post razzisti sui social media, Elez è stato successivamente reintegrato come dipendente del Dipartimento del Lavoro, con incarichi presso il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS) e altre agenzie. Le sue mansioni attuali lo vedono coinvolto in sistemi sensibili legati al supporto infantile, Medicare, Medicaid e contratti dell’HHS. Questa rivelazione è emersa nel contesto di una causa legale che mette in discussione l’accesso del team DOGE a database federali sensibili.​

Trump, Musk, Cook e la danza del potere: il grande business delle lobby tech

Il secondo atto della presidenza Trump sembra aver smantellato ogni pretesa di separazione tra tecnologia e politica. Quella che un tempo era una fredda distanza istituzionale tra la Silicon Valley e Washington si è trasformata in un vivace ballo di potere, dove CEO e politici danzano insieme sulle note di miliardi di dollari in lobbying. “Otto anni fa, non avresti mai visto Tim Cook o Elon Musk a Mar-a-Lago. Ora, li vedi in continuazione”, ha dichiarato Brian Ballard, lobbista di punta e uomo di fiducia dell’establishment repubblicano.

Il messaggio è chiaro: la tecnologia non è più solo un settore economico, ma un’arma geopolitica, un’infrastruttura di controllo sociale e una leva finanziaria per chi detiene il potere. Nel 2024, la spesa per lobbying federale ha raggiunto il record di 4,4 miliardi di dollari, con aziende, ONG e gruppi di interesse che hanno investito somme astronomiche per influenzare la politica. Al vertice della classifica, Meta Platforms, che ha speso oltre 24 milioni di dollari per proteggere il proprio impero mentre la politica si infiammava su privacy, libertà di espressione e sicurezza dei minori online.

La Silicon Valley non si limita più a sviluppare prodotti; ora scrive direttamente le regole del gioco. E con Trump di nuovo alla Casa Bianca, il gioco è diventato ancora più spregiudicato. L’industria tecnologica, che nel 2016 era più incline a finanziare candidati progressisti e a evitare legami con l’ex presidente, oggi ha smesso di fingere neutralità. La deregolamentazione promessa da Trump e la sua visione di un’America “forte e sovrana” hanno trasformato la tech élite da critici silenziosi a partecipanti attivi nel nuovo ordine politico.

FamousSparrow torna all’attacco: il gruppo filo-cinese di cyberspionaggio colpisce Usa, Messico e Honduras

Il mondo della cybersecurity è nuovamente in allerta: FamousSparrow, gruppo APT (Advanced Persistent Threat) allineato alla Cina, ha ripreso le proprie attività di cyberspionaggio, colpendo organizzazioni negli Stati Uniti, in Messico e in Honduras. Dopo un’apparente inattività di due anni, i ricercatori di ESET hanno scoperto nuove varianti della backdoor SparrowDoor e l’impiego, per la prima volta, del malware ShadowPad.

Musk fonde X e xAI per creare l’impero definitivo dell’intelligenza artificiale

Elon Musk non smette mai di stupire e stavolta ha fatto una mossa che ridefinisce completamente il suo ecosistema tecnologico. Venerdì sera, con il solito tempismo da maestro della comunicazione, ha annunciato che la sua startup di intelligenza artificiale generativa, xAI, ha acquisito il social network X in un’operazione interamente azionaria. Il risultato? Una fusione valutata complessivamente 80 miliardi di dollari per xAI e 33 miliardi per X, che tradotto significa un’equity complessiva da 45 miliardi, al netto dei 12 miliardi di debiti della piattaforma social.

La Blacklist della Tecnologia: Il Nuovo attacco della politica Usa contro la Cina

Il 25 marzo 2025, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha compiuto un passo significativo nella sua politica di contenimento nei confronti della Cina, aggiungendo ben 80 entità alla sua “entity list”. Si tratta di una mossa senza precedenti che segna un nuovo capitolo nella guerra tecnologica tra le due superpotenze, specialmente nel settore dell’intelligenza artificiale e dei supercomputer avanzati.

Questo intervento, il primo di una lunga serie iniziata con l’amministrazione Trump, ha avuto ripercussioni immediate, con Pechino che ha condannato fermamente l’azione e accusato Washington di voler manipolare la sicurezza nazionale per i propri scopi geopolitici.

L’inserimento di 80 organizzazioni nella lista nera ha coinvolto oltre 50 realtà cinesi, accusate di danneggiare gli interessi di sicurezza nazionale e politica estera degli Stati Uniti. Tra le aziende vietate vi sono alcune delle più potenti del settore tecnologico cinese, comprese quelle coinvolte nello sviluppo di intelligenza artificiale avanzata, supercomputer e chip ad alte prestazioni utilizzati in ambito militare.

Emirati Arabi Uniti: la promessa di 1,4 trilioni di dollari negli Stati Uniti

Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno recentemente annunciato un piano decennale per investire 1,4 trilioni di dollari nell’economia statunitense, a seguito di incontri tra alti funzionari emiratini e il presidente Donald Trump. Questo impegno mira a potenziare significativamente gli investimenti esistenti degli EAU in settori chiave come l’infrastruttura dell’intelligenza artificiale, i semiconduttori, l’energia e la manifattura americana.

Nell’ambito di questo accordo, il fondo di investimento emiratino ADQ, in collaborazione con il partner statunitense Energy Capital Partners, ha annunciato un’iniziativa da 25 miliardi di dollari focalizzata su infrastrutture energetiche e data center. Inoltre, XRG, il braccio internazionale della compagnia petrolifera statale degli EAU, ADNOC, ha manifestato l’intenzione di supportare la produzione e l’esportazione di gas naturale negli Stati Uniti attraverso un investimento nell’impianto di esportazione di gas naturale liquefatto NextDecade in Texas.

Il richiamo di Zoox che manda in crisi il mito della guida autonoma

Zoox, la startup di guida autonoma sostenuta da Amazon, ha appena ritirato 258 veicoli dopo che la NHTSA (National Highway Traffic Safety Administration) ha aperto un’indagine sul loro software. Un colpo durissimo per l’azienda, che probabilmente pensava che l’automazione avrebbe risolto tutti i problemi, ma ora si trova con la coda tra le gambe. A causare il ritiro, non sono stati qualche bug minore o glitch sporadici, ma incidenti veri e propri. In due distinti eventi, motociclisti sono stati tamponati da Toyota Highlander equipaggiate con la tecnologia di guida autonoma di Zoox. Un vero e proprio “autogol” per una tecnologia che sta cercando di convincere il mondo che l’automazione è la chiave per il futuro dei trasporti.

La NHTSA ha deciso di intervenire dopo questi episodi, aprendo un’indagine che ha messo in luce alcune criticità del software di Zoox. Non è bastato che l’azienda avesse tranquillizzato tutti dicendo che il software era stato aggiornato e che nessuna delle auto attualmente in circolazione utilizzava più la versione obsoleta. Un bel tentativo di scrollarsi di dosso la polvere, ma non basta. A quanto pare, anche le auto futuristiche con i sedili rivolti l’uno verso l’altro e senza volante, in perfetto stile sci-fi, non sono così sicure come si potrebbe immaginare.

Il presidente del Senato per il commercio Cruz si oppone alla regolamentazione dell’intelligenza artificiale per evitare i “robot killer”

“Ci sono quelli che presentano immagini apocalittiche di dove andrà a parare l’IA. … Guarda, non pretendo di essere abbastanza intelligente da sapere se un giorno l’IA prenderà il controllo del mondo e sterminerà l’umanità. Ma dirò questo: se ci saranno robot killer, preferirei che fossero robot americani piuttosto che robot cinesi”.

Ha anche affermato che ci sono “seri problemi nel fatto che il governo si occupi dell’intelligenza artificiale, incluso l’uso dei cosiddetti standard di ‘sicurezza’ per avviare una censura dilagante”.

Big Tech – Cosa vogliono da Trump: il dibattito sull’intelligenza artificiale e le regolamentazioni future

Con l’avvicinarsi della scadenza per la richiesta di informazioni sul Piano d’azione per l’intelligenza artificiale, le voci di alcune delle aziende più influenti nel settore della tecnologia, tra cui Google, Anthropic, OpenAI, e altri, hanno sollevato una serie di richieste che potrebbero modellare il futuro dell’IA in modo significativo. Le posizioni di queste aziende variano, ma tutte mostrano un chiaro desiderio di influenzare le politiche pubbliche in modo favorevole alle proprie operazioni e visioni a lungo termine. L’elemento comune tra tutte queste proposte è l’ansia di evitare regolamenti eccessivi che potrebbero rallentare l’innovazione e compromettere la competitività globale.

Le richieste di Anthropic sono abbastanza chiare, e non sorprendenti per chi conosce la posizione cauta dell’azienda sul tema della sicurezza dell’intelligenza artificiale. Secondo Anthropic, i sistemi di IA di prossima generazione, quelli che si prevede emergeranno entro il 2026 o il 2027, avranno capacità intellettuali pari o superiori a quelle dei vincitori del premio Nobel in molte discipline e saranno in grado di ragionare in modo autonomo su compiti complessi. Per questo motivo, l’azienda sostiene che il governo federale debba sviluppare una capacità solida di monitoraggio, capace di valutare rapidamente i rischi e gli abusi potenziali per la sicurezza nazionale.

La famiglia Trump in trattative per una partecipazione in Binance US

Le recenti notizie riportano che i rappresentanti della famiglia del presidente Donald Trump hanno avviato trattative per acquisire una partecipazione in Binance.US, la divisione americana del colosso delle criptovalute Binance. Parallelamente, il fondatore di Binance, Changpeng Zhao (noto come CZ), sta cercando di ottenere una grazia presidenziale.

Nel novembre 2023, CZ si è dimesso dalla carica di CEO di Binance dopo aver ammesso la violazione delle leggi statunitensi sull’antiriciclaggio, accettando un accordo da 4,3 miliardi di dollari per risolvere le indagini in corso. Successivamente, ha scontato una pena detentiva di quattro mesi negli Stati Uniti.

Tesla, Alphabet e Amazon: le giganti della tecnologia in territorio ipervenduto mentre Trump si avvicina ai CEO del settore

Un caffè al BAR dei Daini

Nelle ultime settimane, tre dei principali colossi tecnologici, Tesla, Alphabet e Amazon, hanno registrato un calo significativo delle loro quotazioni azionarie, entrando in quello che gli analisti definiscono “territorio ipervenduto”. Questo fenomeno si verifica quando un titolo subisce una vendita massiccia, spesso oltre il suo valore intrinseco, suggerendo una potenziale opportunità di acquisto per gli investitori a lungo termine.

Il 6 marzo 2025, le azioni di Tesla hanno subito una flessione del 4,4%, spingendo l’analista Ben Kallo di Baird a classificarle come una “Bearish Fresh Pick”. Kallo, noto per le sue precedenti previsioni accurate, ha espresso preoccupazioni riguardo alle stime di consegna del primo trimestre, alla possibile interruzione della produzione del Model Y e alle vendite deboli in Cina ed Europa. Nonostante ciò, mantiene una visione positiva sul lungo termine, con un target price rivisto a 370 dollari, in calo rispetto ai precedenti 440 dollari.

Tesla nel mirino: proteste contro Elon Musk e il suo ruolo nel governo Trump

Le recenti proteste del movimento “Tesla Takedown” hanno scosso gli Stati Uniti, con manifestazioni in numerose città contro Elon Musk e la sua influenza nell’amministrazione del presidente Donald Trump. Le tensioni sono culminate con l’arresto di nove persone presso una concessionaria Tesla a New York City, evidenziando la crescente opposizione alle politiche di Musk e al suo coinvolgimento nel Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE).

La Cina sconsiglia ai leader dell’IA di recarsi negli Stati Uniti per motivi di sicurezza

La Cina ha recentemente emesso direttive che invitano i principali imprenditori e ricercatori nel campo dell’intelligenza artificiale (IA) a evitare viaggi negli Stati Uniti a causa di preoccupazioni legate alla sicurezza nazionale. Le autorità temono che durante tali viaggi possano essere divulgate informazioni sensibili sui progressi cinesi nell’IA e che gli esecutivi possano essere detenuti, utilizzati come strumenti nelle negoziazioni tra Stati Uniti e Cina.

La strategia della Casa Bianca per il futuro economico: tagli, privatizzazioni e nuovi accordi internazionali

L’amministrazione Trump sta tracciando una nuova rotta economica, con dichiarazioni e iniziative che puntano a ridisegnare il panorama finanziario e politico degli Stati Uniti, mettendo al centro la riduzione delle tasse, la riduzione della spesa pubblica e un aumento del debito. La proposta di bilancio del Partito Repubblicano, che già stava suscitando polemiche, diventa ancora più incisiva con l’indicazione di prepararsi a licenziamenti su larga scala nelle agenzie federali. Ma il quadro economico non si limita agli sviluppi interni; l’amministrazione si sta anche preparando ad affrontare sfide internazionali, con trattative in corso per accordi minerari strategici con l’Ucraina, a dimostrazione dell’approccio pragmatista adottato verso le alleanze internazionali.

Washington rilancia la guerra dei chip: nuove restrizioni contro la Cina per frenare l’ascesa tecnologica

L’amministrazione Trump sta pianificando di rafforzare le restrizioni sui semiconduttori verso la Cina, ampliando gli sforzi precedenti per limitare i progressi tecnologici di Pechino. Recentemente, funzionari statunitensi hanno avviato discussioni con i loro omologhi giapponesi e olandesi per limitare la manutenzione delle apparecchiature per semiconduttori in Cina da parte di ingegneri di aziende come Tokyo Electron e ASML. Inoltre, sono in programma controlli più severi sulle esportazioni di chip Nvidia destinati al mercato cinese. L’obiettivo dell’amministrazione è ottenere il supporto di alleati chiave per implementare restrizioni simili a quelle già imposte alle aziende americane di apparecchiature per chip, come Lam Research, KLA e Applied Materials. Né i portavoce di Nvidia né il Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria giapponese hanno commentato la questione. Si attendono risposte da Tokyo Electron, ASML, dalla Casa Bianca e dal Ministero olandese del commercio estero.

Tecnologia e algoritmi: il rischio di errore nella valutazione dei prezzi degli asset secondo il vice presidente della Fed

La recente dichiarazione del vice presidente della Federal Reserve, Michael Barr, ha sollevato interrogativi importanti sulla relazione tra tecnologia, algoritmi e l’efficienza dei mercati finanziari. Barr ha evidenziato come, nonostante la crescente adozione di tecnologie avanzate e algoritmi nel processo di valutazione dei prezzi degli asset, questi strumenti non siano infallibili e potrebbero portare a errori che destabilizzano i mercati finanziari. Sebbene la tecnologia possa teoricamente migliorare l’efficienza dei mercati, un’analisi più approfondita delle sue implicazioni è fondamentale per comprendere come questi strumenti possano influire sulle dinamiche economiche.

La digitalizzazione dei mercati finanziari ha introdotto un’enorme quantità di innovazione, permettendo la gestione automatica e l’elaborazione di enormi volumi di dati in tempo reale. Algoritmi complessi sono diventati parte integrante del processo decisionale, utilizzati per valutare il valore di azioni, obbligazioni e altri asset. Questo approccio è stato presentato come un mezzo per migliorare la velocità e l’accuratezza nelle transazioni, riducendo potenzialmente gli errori umani e aumentando la liquidità. Tuttavia, come Barr ha fatto notare, questa efficienza ha il suo rovescio della medaglia.

Pagina 1 di 5

CC BY-NC-SA 4.0 DEED | Disclaimer Contenuti | Informativa Privacy | Informativa sui Cookie