We will lose an immense growth opportunity if we give our work away at the behest of a handful of powerful overseas tech companies, and with it our future income, the UK’s position as a creative powerhouse, and any hope that the technology of daily life will embody the values and laws of the United Kingdom.
Quando personalità di spicco come Paul McCartney, Elton John, Ian McKellen e Dua Lipa scendono in campo per una causa, non si tratta di una causa qualunque. Lo scorso mese, queste figure di spicco, insieme ad altri nomi di peso del settore creativo britannico, hanno sottoscritto una lettera aperta che non solo ha scosso il mondo della cultura e dell’intrattenimento, ma ha anche sollevato una questione delicatissima: quella dei diritti d’autore nell’era dell’intelligenza artificiale. La questione è tanto semplice quanto esplosiva: le aziende che sviluppano IA dovrebbero essere obbligate a rivelare quali opere protette da copyright sono state utilizzate per addestrare i loro modelli?
La battaglia si gioca sulla proposta di modifica del Data (Use and Access) Bill del Regno Unito, che se approvata richiederebbe a queste aziende di essere trasparenti riguardo i dati utilizzati per l’addestramento. Un’iniziativa che trova l’opposizione del governo, il quale teme che una simile regolamentazione possa ostacolare lo sviluppo di un settore tecnologico già in fermento. Ma la posizione del governo non sembra convincere molti dei protagonisti della creatività britannica, che sono determinati a difendere il proprio territorio da quella che percepiscono come una minaccia esistenziale.
Nel cuore di questa battaglia c’è un concetto semplice: i creativi, che siano musicisti, scrittori, registi o artisti, rischiano di perdere il controllo sulle proprie opere in un’epoca in cui l’IA può assimilare e manipolare enormi quantità di contenuti protetti da copyright. Se, come sostengono i firmatari della lettera, queste opere sono utilizzate senza alcun tipo di compenso o riconoscimento, non solo gli artisti perderanno una fetta sostanziale dei loro guadagni, ma l’intero ecosistema creativo potrebbe essere messo in pericolo.
Un aspetto particolarmente ironico di questa situazione è che, mentre l’industria musicale e creativa sta cercando di proteggere il proprio valore economico in un mondo digitale in cui le opere vengono riprodotte e distribuite a una velocità incontrollabile, la tecnologia si è evoluta al punto da poter “copiare” la creatività umana. Le IA, alimentate da milioni di opere, sono in grado di generare testi, musica, arte e anche film. Ma senza l’adeguata regolamentazione, la domanda che emerge è: a chi appartengono realmente le idee? E se sono idee digitali, a chi spetta il diritto di dire “questo è mio”?
L’idea alla base della proposta di legge è quella di stimolare la creazione di un mercato dinamico delle licenze. Una visione utopica per alcuni, ma per altri una necessità vitale. La preoccupazione è che senza una regolamentazione chiara, il Regno Unito possa perdere il suo status di potenza creativa globale. Mentre aziende di tech come OpenAI e Google continuano a perfezionare i loro modelli di IA, sfruttando in modo sempre più sofisticato contenuti protetti da copyright, il rischio è che questi giganti tecnologici accumulino un vantaggio economico e competitivo che danneggia la capacità degli artisti di monetizzare il proprio lavoro.
I firmatari della lettera sottolineano che, oltre a proteggere gli interessi economici degli artisti, la proposta di modifica potrebbe innescare un mercato delle licenze più sano e regolamentato, dove la creatività umana viene valorizzata. In questo scenario, il Regno Unito non sarebbe solo un player nel settore tecnologico, ma potrebbe diventare anche il punto di riferimento mondiale per un uso etico e sostenibile dell’intelligenza artificiale.
Nonostante il largo sostegno a questa iniziativa da parte di figure pubbliche, associazioni culturali e aziende del settore creativo, la proposta ha incontrato resistenze forti. Il governo britannico, infatti, ha definito la battaglia legislativa come un ostacolo per l’industria tecnologica, dichiarando che un conflitto di questo tipo rischia di frenare tanto la creatività quanto il progresso tecnologico. La posizione governativa appare un tentativo di mediare tra due mondi in apparente conflitto: da una parte, il dinamico mondo della tecnologia, che spinge per innovare senza freni; dall’altra, il mondo culturale, che lotta per la sopravvivenza dei propri diritti.
La proposta è passata alla Camera dei Lord, con un risultato che ha visto una schiacciante vittoria per l’amendamento: 272 voti favorevoli contro 125 contrari. Un passo significativo, che ora dovrà essere confermato dalla Camera dei Comuni, dove potrebbe essere modificato o addirittura annullato. Come spesso accade, la politica diventa il campo di battaglia tra interessi diversi: quelli economici delle grandi aziende tecnologiche e quelli più idealisti di chi vuole preservare la creatività e il lavoro umano.
La domanda cruciale che resta sul tavolo è se, con il passare del tempo, gli artisti riusciranno a mantenere il controllo sulle proprie opere, o se si troveranno schiacciati dal peso dell’automazione e dell’intelligenza artificiale. È difficile non notare un paradosso in tutto ciò: da un lato, la creatività umana viene messa sotto pressione da una tecnologia che può generare contenuti autonomamente; dall’altro, la stessa tecnologia che sta minacciando la creatività potrebbe, a sua volta, diventare il salvatore di un mercato che sta cercando di adattarsi alla rivoluzione digitale.
Come direbbe qualcuno al bar dei daini, “Se l’arte è libera, anche l’intelligenza artificiale dovrebbe esserlo, ma non certo a spese degli artisti”. Nel frattempo, la lotta tra tecnologia e diritto d’autore continua a evolversi, e solo il tempo dirà chi avrà davvero il controllo sulle opere che, al giorno d’oggi, sono più virtuali che mai.