In un mondo dove le supply chain sono catene al collo delle superpotenze, la Cina di Xi Jinping sa benissimo come stringere il cappio. Mentre i media occidentali continuano a dipingere Donald Trump come il bullo del commercio internazionale, con i suoi dazi “fantasiosi” e minacce recapitate con un tweet, la verità, forse, è un po’ più ironica: è Pechino che ha forzato la mano, trasformando le terre rare in un’arma geoeconomica letale.
Le azioni di Trump allora potrebbero essere lette non come frutto di un capriccio protezionista americano, ma come una reazione a una mossa calcolata di Xi, che ha trasformato il suo dominio sul 90% della raffinazione globale di questi minerali strategici in uno strumento di ricatto planetario.
Benvenuti nel nuovo capitolo della guerra commerciale, dove la narrativa consolidata si capovolge e Trump appare non come l’aggressore, ma come il difensore di un Occidente colto alla sprovvista e dove l’incontro che si è appena svolto a Busan, in Corea del Sud, tra il presidente americano e quello cinese più che una svolta segna più che una svolta una tregua (armata).

Le Terre Rare: il petrolio del XXI Secolo, monopolizzato da Pechino
Immaginate un mondo senza smartphone, turbine eoliche o missili guidati: è questo il incubo che Xi Jinping agita come un guanto di sfida. Le terre rare, 17 elementi chimici come neodimio, disprosio e ittrio, sparsi nella tavola periodica ma “rari” per la loro difficoltà di estrazione, sono il sangue delle tecnologie del futuro. Dalla batteria della vostra auto ai sensori dei droni militari, questi metalli sono indispensabili per l’energia pulita, l’elettronica e la difesa.
Sebbene gli USA vantino riserve sotterranee (circa 1,5 milioni di tonnellate, secondo l’USGS), è la Cina a controllare il 64% della produzione mineraria globale e il 90% della raffinazione, con esportazioni che valgono miliardi e un potere veto su intere filiere industriali.
Ma non stiamo parlando di un caso fortuito: sotto Xi, Pechino ha orchestrato un consolidamento spietato. Dal 2010, quando la Cina impose quote di esportazione che fecero schizzare i prezzi del 500% e spinsero l’Organizzazione Mondiale del Commercio a condannarla, il regime ha investito in sussidi statali, acquisizioni minerarie e R&S aggressivo per strangolare la concorrenza. Per Xi, le terre rare non sono solo minerali, sono “risorse strategiche” per la “sicurezza nazionale”.
Per capire quanto questa affermazione sia vera basti pensare a questo paradosso: l’Australia e il Brasile estraggono terre rare ma raffinano in Cina e anche gli Stati Uniti, con la sola MP Materials, dipendono da Pechino per il 100% della trasformazione.
È un monopolio che Xi ha affinato come un’arma, pronto a colpire dove fa più male: l’economia verde e la superiorità militare americana.

La provocazione di Xi: restrizioni che ribaltano la scacchiera commerciale
La scintilla che ha fatto scoppiare l’incendio? Ancora una volta non un semplice capriccio di Trump, ma l’escalation cinese del 9 ottobre scorso. Il Ministero del Commercio di Pechino ha ampliato i controlli sulle esportazioni, aggiungendo cinque elementi (olmium, erbio, tulio, europio e itterbio) alla lista, portando il totale a 12 su 17, aggiungendo la necessità di una licenza per esportare qualsiasi prodotto contenente anche solo lo 0,1% di terre rare cinesi o processate con tecnologie pechinesi, inclusi, ovviamente, magneti, chip e attrezzature per l’AI con applicazioni militari.
E non è un embargo totale: è un “controllo dual-use” che estrae giurisdizione extraterritoriale, mimando le restrizioni USA sui semiconduttori ma con un twist ironico: Pechino accusa Washington di “long-arm jurisdiction” mentre la applica ai fornitori globali.
Questa mossa è arrivata dopo la prima fragile tregua di aprile quando, in risposta ai dazi trumpiani al 145%, poi comunque ridotti, la Cina aveva già limitato l’export di sette elementi ma è con il summit APEC in Corea del Sud che si è capito bene come Xi usi le terre rare come leva per rafforzare la posizione di Pechino, trasformando la dipendenza globale dell’occidente in ostaggio, forte del fatto di aver costruito un impero minerario che vale più di un esercito.

La Reazione di Trump e l’esito dell’incontro di Seoul
Trump, da parte sua, dopo aver promesso dazi al 100% su tutti i beni cinesi dal 1° novembre, più controlli sulle esportazioni di software critico e aver persino ventilato di cancellare l’incontro con Xi a Seul, dopo un faccia a faccia di due ore con il suo omologo cinese a Seoul ha portato a casa ben poco, nonostante le solite roboanti dichiarazioni. Sul tema quello che è stato concesso da Xi Jinping è la sospensione per un anno del divieto di esportazione di terre rare ottenendo però in cambio una riduzione dei dazi, la sospensione delle tasse portuali sulle navi cinesi e il rinvio dei controlli sulle esportazioni Usa. Da notare che non si è parlato di Taiwan, delle politiche industriali cinesi e dell’impatto della sua over produzione (finanziata da generosi aiuti di stato) sul commercio internazionale sopratuttto nei settori dell’acciaio, dei pannelli solari, dei veicoli elettrici e delle batterie.

Adesso, se è vero che la sospensione all’export di terre rare per un anno fa guadagnare tempo è anche vero però che questa tregua lascia sostanzialmente irrisolto il problema di fondo e che le fabbriche in occidente rimangono comunque di fronte ad una situazione di incertezza nel medio periodo. Tant’è che, a margine dello stesso viaggio, Trump ha concluso una serie di accordi sulle terre rare con Malesia e Cambogia, proprio a dimostrazione di come gli Stati Uniti ma anche l’Europa verrebbe da dire (sempre assente sui tavoli che contano) abbiano bisogno di una catena di approvvigionamento diversificata.
Comunque vada è chiarissimo che ci vorranno anni per spezzare il monopolio cinese.

Le implicazioni geopolitiche: un mondo diviso tra catene cinesi e rinascita occidentale
Quali potrebbero essere le ripercussioni dell’approccio restrittivo della Cina? Catastrofiche per l’economia globale. Le terre rare cinesi impattano per l’80% delle importazioni UE per l’energia pulita, colpiscono l’Australia e spingono alleati come Giappone e Corea a stock-pile disperati. Per gli Stati Uniti il rischio maggiore è nella supply chain della difesa: senza disprosio, i jet F-35 perdono efficacia; senza neodimio, l’AI militare balbetta.
Xi, con il suo “Made in China 2025”, non vuole solo commercio equo: vuole dominio tecnologico, usando le terre rare per forzare concessioni su chip (e anche su TikTok).
C’è speranza in questo caos? Questa crisi potrebbe accelerare la diversificazione: l’India e il Vietnam investono in miniere, l’UE (toh chi si rivede) pianifica la sua “Rare Earths Diplomacy” mentre gli USA spingono per alleanze QUAD (la cooperazione strategica informale con India, Giappone e Australia) contro il monopolio. In ogni caso, il ricatto cinese sembra aver risvegliato un Occidente addormentato. Vedremo come andrà a finire.

 
								