Rivista AI

Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

I telcos come infrastruttura dell’intelligenza artificiale

McKinsey Study AI infrastructure: A new growth avenue for telco operators

“Il miglior modo per predire il futuro è inventarlo”, diceva Alan Kay. Ma nel caso dell’economia dell’intelligenza artificiale, predirlo significa anche cablarlo. Ospitarlo. Alimentarlo a megawatt e connettività. E se oggi gli operatori telco si illudono di poter semplicemente ritagliarsi un posto accanto agli hyperscaler, farebbero meglio a studiare il caso Seeweb con il suo GPU aaS ad esempio: un player italiano che, mentre i giganti si perdono tra strategie da boardroom e infrastrutture legacy, ha già capito come posizionarsi là dove l’AI genera valore reale. Ovvero, nell’inferenza. Sì, proprio quel segmento dove la corsa ai chip diventa guerra di margini, latenza, costi energetici e disponibilità immediata.

Il contesto? Secondo McKinsey, la domanda globale di data center per applicazioni AI triplicherà entro il 2030. Non è solo una questione di training: è l’inferenza quotidiana, ubiqua, embedded in ogni app, customer service, servizio pubblico. È la fase in cui l’intelligenza artificiale non solo impara, ma lavora. E per lavorare, le servono strutture vicine, leggere, distribuite. Chi controlla la rete, controlla la distribuzione dell’intelligenza.

Mary Meeker ha appena riscritto il manuale della rivoluzione AI: Trends 2025

Mary Meeker è una venture capitalist americana ed ex analista di titoli di Wall Street. Il suo lavoro principale riguarda Internet e le nuove tecnologie. È fondatrice e socio accomandatario di BOND, una società di venture capital con sede a San Francisco. In precedenza è stata partner di Kleiner Perkins. 

È ufficiale: la transizione tecnologica più veloce della storia dell’umanità ha finalmente il suo playbook. Non una slide improvvisata, non una timeline abbozzata in un keynote. Un’opera da 340 pagine, partorita in sei anni da Mary Meeker, la stessa analista che vent’anni fa indicò l’arrivo del web con la precisione di un chirurgo e la freddezza di una scommessa da hedge fund. Ora ha puntato dritto sull’Intelligenza Artificiale. Ed è come se avesse acceso la luce nella stanza dove tutti, fino a ieri, brancolavano tra hype, buzzword e delirio mistico da prompt engineering.

Google mette l’intelligenza artificiale in tasca: l’app che non volevamo, ma che adesso tutti vogliono

In un’epoca dove tutto è “cloud-first” e l’AI è sinonimo di raccolta dati, Google ha fatto qualcosa di profondamente controintuitivo, quasi punk: ha rilasciato un’applicazione che non ha bisogno di internet, non ti spia, e non condivide niente con i suoi server. Sì, stiamo ancora parlando di Google, e no, non è uno scherzo. Si chiama AI Edge Gallery e sembra un errore di marketing. Eppure, è proprio quello che mancava.

Trump e i velociraptor al confine: quando il deepfake diventa politica reale

Benvenuti nel 2025, dove l’assurdo ha preso la residenza a tempo indeterminato e l’Intelligenza Artificiale è diventata la nuova ghostwriter dell’establishment. Eccoci dunque a parlare di Donald Trump, dinosauri geneticamente resuscitati, e confini militarizzati con velociraptor. No, non è la sinossi di un nuovo film di Adam McKay. È solo l’ultima frontiera della disinformazione plausibile, firmata Deepfake.

Silicio, atomi e capitali: la nuova corsa all’oro dei data center

Nel cuore dell’Illinois, Meta Platforms sì, quella Meta, padrona del tuo feed e della realtà aumentata che nessuno ha chiesto – ha appena firmato un patto ventennale per acquistare l’energia prodotta da una centrale nucleare. La Clinton Power Station, gestita da Constellation Energy, diventa così il distributore ufficiale di elettroni per alimentare non solo server e GPU, ma la prossima generazione di intelligenza artificiale generativa.

Trump, Musk e l’abominio della spesa: quando il tech sputa nel piatto del potere

Era tutto troppo bello per durare. Il bromance postmoderno tra Donald Trump ed Elon Musk una miscela tossica di testosterone, libertarismo fiscale e narcisismo performativo — ha cominciato a scricchiolare sotto il peso di una delle cose più antiche del mondo: i soldi. Ma non soldi qualsiasi. Parliamo del disegno di legge sulla spesa federale, un pachiderma legislativo definito da Musk come “disgustoso abominio”, con un vocabolario degno di un predicatore texano in un rave.

notebooklm non è solo un taccuino: è l’inizio della fine dell’autorità epistemica

Non è un caso che Google abbia scelto di lanciare la nuova funzione di NotebookLM la possibilità di condividere i propri quaderni pubblicamente proprio adesso. Dopo averlo incubato come esperimento nel 2023, il progetto è cresciuto sottotraccia, lontano dai riflettori, in uno di quei silenzi strategici in cui Big Tech cova le sue uova più pericolose. Ora, NotebookLM esce dalla crisalide per diventare non un semplice strumento di annotazione, ma un’infrastruttura cognitiva. Pubblica, interattiva e… programmabile. La keyword? epistemologia sintetica. Le secondarie? condivisione AI-driven, contenuti interattivi, knowledge authority.

L’infrastruttura dell’IA si mangia Wall Street mentre CoreWeave corre come un modello a 10.000 GPU

Non è più la stagione delle app generative. È la vendetta dei server, la resurrezione dell’infrastruttura. E se ancora pensi che AI significhi solo “ChatGPT che ti scrive una poesia triste”, stai già perdendo l’unico rally che conta davvero: quello dei fornitori di potere computazionale puro.

Nel cuore del più infuocato rally tecnologico dell’anno, una nuova divinità si è seduta accanto a Nvidia nel pantheon dell’Intelligenza Artificiale. Si chiama CoreWeave, ticker CRWV, e ha deciso di sfidare apertamente la gravità finanziaria, trasformando un’IPO da $40 in una corsa da quasi $150 in appena due mesi. Nessun chip miracoloso, nessuna app virale. Solo infrastruttura. Ma non quella noiosa e tangibile: quella che alimenta il sogno più costoso e vorace della Silicon Valley l’AI come servizio.

ChatGPT con memoria light: la personalizzazione a costo zero che fa tremare il mercato

Immagina di avere un assistente digitale che non solo risponde alle tue domande, ma che ti ricorda dettagli, preferenze e perfino le conversazioni precedenti. Fino a oggi, questa era roba da clienti paganti, ma OpenAI ha appena gettato un sasso nello stagno offrendo una versione “light” delle sue funzioni di memoria anche agli utenti free. Non un semplice aggiornamento, ma una vera rivoluzione nella user experience dell’intelligenza artificiale conversazionale.

Epic forza l’evoluzione del videogioco: i PNG AI di Fortnite parlano, persuadono e forse imprecano

In un futuro non troppo remoto, il tuo peggior nemico nel multiverso di Fortnite potrebbe non essere un dodicenne con riflessi da cyborg e skin da 200 dollari, ma un personaggio non giocante — un PNG — progettato da un altro essere umano, addestrato da un’intelligenza artificiale e programmato per farti premere un pulsante che non dovresti toccare. Letteralmente.

La rivoluzione silenziosa dei video generati dall’intelligenza artificiale

Se Andrej Karpathy, uno dei più lucidi architetti dell’intelligenza artificiale moderna, si dice «molto impressionato» da Veo 3 e dai contenuti emergenti su r/aivideo, significa che qualcosa di epocale sta realmente accadendo. Nel mare magnum dei video online, spesso ripetitivi e talvolta fastidiosi, la vera svolta non è tanto la quantità, quanto la qualità qualitativamente superiore che emerge quando all’immagine si aggiunge l’audio generato e ottimizzato da reti neurali sofisticate. Ma ciò che Karpathy sottolinea va ben oltre un semplice upgrade tecnologico: il video come medium sta attraversando una metamorfosi che nessuno aveva previsto.

Sakana la macchina darwin-gödel: l’AI che riscrive il proprio codice per diventare sempre più intelligente

È uno di quei sogni che tormentano da decenni i laboratori di intelligenza artificiale: un sistema che non si limita a imparare dai dati, ma che evolve, si modifica e si migliora da solo, quasi come una creatura vivente. La macchina di Gödel, ideata da Jürgen Schmidhuber, è stata per molto tempo un’idea teorica elegante ma impraticabile: un’IA capace di riscrivere il proprio codice solo se può dimostrare matematicamente che la modifica è vantaggiosa. Ecco la vera scommessa: provare, prima di agire, che il cambiamento è migliore. Facile a dirsi, impossibile a farsi. Ora però, con l’avvento di modelli fondazionali sempre più potenti e l’ispirazione evolutiva della selezione darwiniana, la visione si avvicina alla realtà sotto forma di quella che si chiama la macchina Darwin-Gödel.

Ambrogio Regolo AI e il sogno infranto della gestione documentale

Martedì 27 maggio abbiamo partecipato al convegno “Intelligenza Artificiale e Business Application”, organizzato da Soiel International a Roma.

Nel corso dell’evento, Paolino Madotto (CISA, CGEIT) ha presentato Ambrogio, l’assistente virtuale sviluppato da Intelligentiae – data enabling business. Quante volte vi siete trovati a cercare un documento, un file o un’informazione dentro una selva oscura di cartelle digitali, archivi confusionari, backup che sembrano ordinati solo agli occhi di chi li ha creati? Nel 2025, quando ormai dovremmo parlare di “smart working” e “digital first” come un dogma, le aziende continuano a perdere tempo e denaro inseguendo dati che sembrano evanescenti.

Ambrogio, l’AI made in Italy targata Intelligentiae, si propone come il deus ex machina di questa tragedia moderna, promettendo una rivoluzione nella gestione documentale aziendale che ha il sapore di una rinascita digitale.

Anthropic svela claude: il personaggio artificiale che nessuno legge davvero

Se pensate che postare cinque volte lo stesso documento e gridare “leak” crei un’informazione rivoluzionaria, vi serve una doccia fredda. Anthropic ha reso pubblici i suoi prompt di sistema, e sì, sono lì per chiunque voglia vederli: QUI. Peccato che quasi nessuno si prenda la briga di leggerli davvero. E se lo fate, vi renderete conto che Claude non è una mera intelligenza artificiale che emerge dal caos dei dati, ma un personaggio costruito a tavolino, con tono, etica, allineamento e comportamenti programmati con precisione chirurgica.

WMF 2025: il futuro non è domani è adesso e si chiama Bologna

C’è qualcosa di provocatoriamente surreale nel vedere Bologna trasformarsi nel cuore pulsante dell’innovazione globale, mentre fuori dai padiglioni della fiera il traffico fa lo stesso rumore del 1998. Eppure, è qui, tra robot quadrupedi, venture capitalist travestiti da salvatori e startup assetate di gloria, che si materializza l’utopia e l’ambiguitàdel futuro condiviso, parola d’ordine del WMF – We Make Future 2025.

Aperto da domani, il WMF 2025 non è più una semplice fiera tecnologica. È una vera e propria intelligenza collettiva incarnata: 90 palchi, 1.000 speaker, oltre 700 sponsor ed espositori, e una promessa non detta ma onnipresente quella di costruire un domani dove l’AI non solo risolve problemi, ma plasma comportamenti, filtra emozioni e con un sorriso freddamente algoritmico, ci guida in un mondo più inclusivo. Inclusivo per chi, esattamente? Dettaglio da non chiedere troppo forte, se non vuoi sembrare il solito guastafeste dell’innovazione.

Huawei rilancia il futuro: Pura 80, silicio patriottico e il gusto per la sfida

Quando Huawei annuncia un nuovo smartphone, la notizia non riguarda solo un altro rettangolo di vetro e silicio destinato a popolare le tasche cinesi. È geopolitica travestita da design industriale. È una dichiarazione di sovranità tecnologica. È, sempre più spesso, un sonoro schiaffo al blocco occidentale. E il prossimo Pura 80, atteso per l’11 giugno, si inserisce perfettamente in questa narrazione.

La gamma Pura, un tempo nota come P, ha assunto il ruolo di vetrina high fashion della tecnologia cinese, combinando estetica audace come quel modulo fotocamera triangolare che pare un omaggio all’Art Deco brutalista e innovazioni hardware che sfidano i dogmi dell’embargo. Il Pura 80 non sarà da meno: nuovi sensori, ottiche migliorate, e probabilmente un chipset progettato internamente, come a voler ricordare che l’autarchia digitale non è solo possibile, ma persino desiderabile.

Oracle scommette sull’intelligenza artificiale per riscrivere le regole della gestione dei contatori

C’è un nuovo protagonista silenzioso nella battaglia delle utility per efficienza, affidabilità e soddisfazione del cliente: l’intelligenza artificiale. E Oracle, veterana del mondo enterprise, ha deciso di metterla al centro del suo arsenale tecnologico. Ma non lo fa con fanfare da keynote o promesse da luna nel pozzo: lo fa dove serve davvero, là dove i bit incontrano i chilowatt.

Sotto il cofano dell’ultima evoluzione della Oracle Utilities Customer Platform, si cela un mix di AI e processing in-memory che sta ridefinendo il concetto stesso di Meter Data Management. Una rivoluzione sommessa, ma con implicazioni devastanti per l’inerzia cronica delle utility. Perché quando un algoritmo inizia a vedere ciò che un operatore non nota, la realtà cambia.

Meta punta all’automazione totale della pubblicità, ma il cliente non è più al centro

Nel grande circo algoritmico di Menlo Park, Mark Zuckerberg ha appena tolto un altro coniglio dal cilindro: pubblicità completamente automatizzate tramite intelligenza artificiale. Non nel futuro remoto, ma entro il 2026. Non si parla di strumenti di supporto alla creatività umana, né di prompt da perfezionare. Il piano già abbozzato nei suoi discorsi e ora dettagliato dal Wall Street Journal è cristallino: tu, caro brand, carichi un’immagine del tuo prodotto, imposti un budget e Meta ti restituisce una campagna pubblicitaria completa. Dove, come, quando e a chi mostrarla? Decide l’AI. Tu fidati.

bing video creator: l’illusione generativa di massa al prezzo di un tap

Ci sono momenti in cui la tecnologia fa un passo avanti così teatrale da sembrare una provocazione. Questa è una di quelle occasioni: Microsoft ha appena inserito un generatore video AI nella sua app Bing, e lo ha fatto con la nonchalance di chi regala una caramella a un bambino sapendo che dentro c’è un microchip.

Il nome, Bing Video Creator, suona più come una funzione marginale che come un punto di svolta epocale. Ma sotto questa etichetta banale si nasconde Sora, il modello text-to-video di OpenAI che ha fatto tremare le fondamenta del content marketing, della pubblicità, dell’informazione e più silenziosamente dell’immaginario collettivo. E ora è nelle tasche di tutti. Gratis. O almeno, sembra.

Il collare che sapeva troppo: l’AI di Fi e la nuova ossessione canina

Se hai mai pensato che il tuo cane potesse essere un dataset ambulante, Fi ti dà ragione. Il nuovo Fi Series 3 Plus, lanciato questo lunedì, è un collare “intelligente” che trasforma il tuo amico a quattro zampe in un sistema IoT vivente, sorvegliato e interpretato con la stessa accuratezza di uno smartwatch di fascia alta. E infatti, il tutto è ora perfettamente sincronizzabile con l’Apple Watch, così puoi controllare se Fido ha bevuto abbastanza mentre controlli se tu hai fatto abbastanza cardio. Perché lo stress, come si sa, si condivide anche tra uomo e bestia.

L’algoritmo che mangiava le scartoffie: perché Elsa è l’AI che potrebbe rendere l’FDA più efficiente di quanto la Silicon Valley abbia mai osato sperare

Una volta, nei corridoi asettici dell’FDA, un revisore scientifico impiegava tre giorni per sviscerare un dossier di eventi avversi. Ora, con Elsa, bastano sei minuti. Tre giorni trasformati in un battito di ciglia algoritmico. Non è una sceneggiatura distopica firmata Black Mirror, è l’annuncio, con tanto di video ufficiale, del commissario Marty Makary. Sorridente, compiaciuto, quasi commosso. L’intelligenza artificiale ha appena salvato l’apparato regolatorio americano da se stesso. O, almeno, ha iniziato a farlo.

Alibaba punta sull’intelligenza artificiale open-source: il ritorno (non dichiarato) di Jack Ma e la scommessa Qwen3

In un’epoca in cui i modelli di intelligenza artificiale vengono trattati come i nuovi araldi della supremazia geopolitica digitale, Alibaba ha finalmente trovato la propria voce e non è una voce sintetica qualunque. Si chiama Qwen3, ed è il nuovo baluardo dell’orgoglio tech cinese. La mossa? Un’ambiziosa dichiarazione di indipendenza dall’Occidente, con una strategia che suona molto simile a: “Non ci servono i vostri Llama, ce li facciamo in casa.”

La notizia è sottile come un colpo di spada in una riunione del Partito: dopo un primo esperimento nel 2023 con la linea Qwen, accolto internamente con più sarcasmo che entusiasmo, Alibaba ha rilasciato Qwen3. E questa volta ha convinto tutti. Talmente tanto che persino le sue app, che fino a ieri preferivano flirtare con modelli esterni come DeepSeek R1, ora tornano all’ovile.

Google accetta di pagare mezzo miliardo per l’antitrust, ma resta padrona del gioco

Chi pensa che $500 milioni in dieci anni siano una vera punizione per Alphabet dovrebbe prendersi un caffè più forte. È il costo di un paio di campagne marketing mal riuscite o di un aggiornamento di Android andato storto. Ma questa non è la parte più interessante della storia.

La notizia è che Google, colosso tra i colossi, ha deciso di risolvere un’azione legale dei suoi stessi azionisti pension fund del Michigan e della Pennsylvania, mica hacker ucraini che l’accusavano di averli esposti a rischi antitrust. E attenzione, non stiamo parlando delle cause del DOJ (Department of Justice), quelle sulle pratiche monopolistiche nella search e nell’adtech, dove Washington ha messo i tacchi a spillo. No, qui si parla di un’altra arena: la responsabilità fiduciaria verso gli azionisti.

Royal Society 2040: lo specchio rotto dell’intelligenza artificiale

C’è un momento, rarissimo, in cui un report scientifico fa più paura di un white paper militare. Science 2040, pubblicato dalla Royal Society, non è un documento tecnico: è uno specchio strategico. Riflette non solo lo stato dell’arte della scienza, ma il grado di impreparazione sistemica con cui le nazioni stanno affrontando l’era dell’intelligenza artificiale. Spoiler: siamo nel panico organizzato, e l’AI è solo la punta del silicio che ci sta trafiggendo.

Perché il problema non è la mancanza di cervelli. Ne abbiamo. Il problema è l’assenza di design strategico. Quello che vediamo nel report è una nazione (e un mondo) che cerca di gestire minacce del XXI secolo con strutture mentali e politiche del XX. Un po’ come cercare di pilotare un drone da combattimento con un joystick del Commodore 64.

TikTok: come l’AI sta trasformando la pubblicità in chirurgia di precisione

C’erano una volta i brand che si lanciavano nel feed di TikTok con la grazia di un elefante bendato in un negozio di cristalli, sperando che qualche balletto virale o trend con l’hashtag giusto li catapultasse nell’algoritmo. Oggi, quel romanticismo caotico ha i giorni contati. Il 3 giugno, TikTok ha annunciato una valanga di nuovi strumenti per gli inserzionisti, e il messaggio è chiarissimo: il futuro è programmabile, tracciabile, prevedibile e profondamente data-driven.

Elon’s Musk e il mito del padre globale: tra etica riproduttiva e show mediatico

Il nuovo episodio della saga Elon Musk, quel moderno novello Re Mida della tecnologia che trasforma in oro ogni battito d’ali social, aggiunge un capitolo surreale ma perfettamente coerente con la sua leggenda: un figlio nato – o forse solo sussurrato con una popstar giapponese. Notizia esplosa come una miccia nell’infuocato panorama mediatico nipponico, dove si mescolano curiosità morbosa, ironia tagliente e inquietudini etiche degne di un romanzo distopico.

Elon Musk, imprenditore che più che CEO sembra un demiurgo della narrativa tech, è ormai sinonimo di un’umanità iperconnessa e frammentata, con famiglie e discendenti che sembrano moltiplicarsi come widget in un ecosistema digitale. Ashley St Clair, ex partner e madre del quattordicesimo figlio noto del magnate, ha messo sul tavolo la bomba: Musk avrebbe confidato di aver seminato ovunque, compresa una popstar giapponese anonima. La notizia, riportata da un quotidiano globale come il New York Times, si trasforma rapidamente in un’inquietante riflessione sulla privacy dei vip, sulle derive dell’etica riproduttiva e sul concetto stesso di paternità nel XXI secolo.

Elon Musk vende 5 miliardi di dollari di debito per finanziare l’intelligenza artificiale: il ritorno del re tecnologico

Il grande Elon Musk, dopo aver flirtato con la politica e aver fatto il chiacchierato consigliere di Trump, decide che è tempo di tornare alla sua vera passione: far girare l’ingranaggio di un impero industriale sempre più dispersivo ma altrettanto ambizioso. Ecco quindi che Musk piazza un nuovo, robusto bond da 5 miliardi di dollari per finanziare xAI, la sua start-up sull’intelligenza artificiale, con un tasso d’interesse a doppia cifra. Roba che neanche le peggiori agenzie di rating si sognerebbero di consigliare ai loro clienti retail. Ma, si sa, con Musk non si parla di investimenti normali, si parla di puntate miliardarie in territori incerti, giocando con il debito come se fosse una roulette russa di Silicon Valley.

L’intelligenza artificiale consuma più della tua coin preferita

Ricordi quando Elon Musk decise di far crollare Bitcoin con un tweet pseudo-ecologista? Era il 2021. Disse che Tesla non avrebbe più accettato BTC per motivi ambientali. Tutti da Wall Street ai meme kids — cominciarono a contare i TWh come se fosse il nuovo benchmark ESG. Proof-of-work divenne il male assoluto. Le centrali a carbone cinesi, improvvisamente, furono sulla bocca di ogni influencer cripto. E oggi? Oggi l’AI brucia più watt del Bitcoin, ma nessuno twitta indignato. Silenzio stampa. Letteralmente.

Jailbreak me harder: l’intelligenza artificiale ama chi la forza

Chi controlla l’intelligenza artificiale? Nessuno. O meglio, chiunque sappia parlare con lei nel modo giusto. Ecco il punto: non c’è bisogno di hackerare un server, bucare una rete o lanciare un attacco zero-day. Basta scegliere le parole giuste. Letteralmente. Il gioco si chiama jailbreaking, l’arte perversa di piegare i modelli linguistici come ChatGPT, Claude o LLaMA a fare cose che non dovrebbero fare.

E c’è un nome che serpeggia in questa disciplina come un’ombra elegante e scomoda: Pliny the Prompter. Niente hoodie nero, niente occhiaie da basement. Opera in chiaro, come un predicatore digitale, ma predica l’eresia. Insegna a forzare i limiti, ad aggirare i guardrail, a persuadere l’intelligenza artificiale a dimenticare la sua etica prefabbricata. E ora, con HackAPrompt 2.0, Pliny entra ufficialmente nel gioco con mezzo milione di dollari sul piatto.

Berlino contro Seattle: l’ipocrisia teutonica dell’antitrust tra tariffe, algoritmi e vecchie ruggini

La Germania, l’economia più pesante d’Europa, ha appena rispolverato il suo strumento preferito nei confronti degli Stati Uniti: il moralismo regolatorio. Sotto la patina del “fair play competitivo” e della protezione del mercato interno, si cela in realtà il più classico dei giochi geopolitici: colpire i gioielli della corona digitale americana – Amazon, Meta, Google – perché sono le uniche entità che contano davvero in un’economia immateriale dominata dagli algoritmi.

Chime, la banca pop del nulla che premia i fondatori anche se affonda

Benvenuti nella Silicon Valley dell’illusione, dove si vendono IPO come se fossero gelati artigianali, e il gusto del giorno è “compensazione inversa”. Chime, la famigerata “banca senza banca”, ha deciso che il modo migliore per motivare i suoi cofondatori al successo… è premiarli anche in caso di fallimento. Sì, hai letto bene. Una startup fintech da 11 miliardi di dollari di valutazione che si prepara all’IPO premiando i suoi boss se il titolo risale… anche dopo essere crollato.

WMF 2025 Startup competition, o il reality show dell’innovazione digitale: sei finaliste, mille retoriche e una sola vera sfida

Il 5 giugno, mentre fuori probabilmente qualcuno ancora lotterà con l’IA generativa per farle scrivere un’email decente, sul Mainstage del WMF andrà in scena l’ennesimo spettacolo dell’innovazione: la finale della Startup Competition più grande al mondo — a detta degli organizzatori, ovviamente. Un’arena hi-tech da fiera dell’est, in cui sei startup sopravvissute a un filtro iniziale da 1.500 candidature si contenderanno la gloria, gli investitori e, udite udite, l’accesso alla mitica finale della Startup World Cup di San Francisco. La Silicon Valley come premio di consolazione: una narrazione perfetta per LinkedIn.

La nuova corsa all’oro è in silicio: l’Intelligenza Artificiale capitalizza, scala, si moltiplica

Se pensavi che il boom delle criptovalute fosse l’ultima bolla iper-finanziaria dal sapore tech, sei fuori tempo massimo. Oggi, l’unico asset che conta si chiama modello di AI. E il capitale, quello vero, scorre a fiumi. La settimana appena trascorsa sembra scritta da un algoritmo drogato di venture capital: aumenti di capitale a nove zeri, nuovi laboratori hi-tech, accordi multi-miliardari, IPO mascherate da “share sale”, e automatizzazioni spietate.

Il tutto mentre i mercati oscillano nervosi ma i CEO delle AI company brindano con lo champagne in stanze insonorizzate da pareti di GPU Nvidia. Welcome to Rivista.AI.

Partiamo dal botto: Neuralink ha chiuso un round di Serie E da 650 milioni di dollari. No, non per sviluppare…

Samsung vuole uccidere Google: l’alleanza con Perplexity è il colpo di grazia che nessuno si aspettava

Certe notizie non arrivano dai comunicati stampa. Le si intercetta nei corridoi, nei documenti “confidenziali”, negli sguardi dei dirigenti in trasferta in Corea. Ma quando Samsung e Perplexity AI iniziano a flirtare pubblicamente, con trattative così avanzate da sfiorare la firma, è chiaro che qualcosa di grosso sta accadendo. Altro che “Bixby 2.0”. Qui si parla di una guerra fredda tra giganti della tecnologia, e Google sta per ricevere il colpo più sottile, ma più letale degli ultimi dieci anni.

Soluzione di hosting on-demand consigliata per un server di inferenza

Inference Provider in Europa

C’è un momento, tra la prima linea di codice PyTorch e il deployment di un modello di ricerca, in cui il ricercatore universitario si trasforma in un hacker delle economie di scala. Hai una GPU? No. Hai un budget? Manco per sogno. Vuoi HIPAA compliance? Certo, e magari anche un unicorno in saldo. Ma il punto non è questo. Il punto è che stai cercando di fare inferenza on-demand, con una GPU, pagando solo quando qualcuno effettivamente usa il tuo lavoro. E tutto questo mentre una legione di sysadmin impanicati blocca qualsiasi cosa esposta in rete per paura del prossimo attacco russo.

Il nuovo idolo nero dell’AI: Jony Ive, Sam Altman e il gadget che nessuno deve capire ma tutti useranno

A volte le rivoluzioni nascono in un garage, altre in un consiglio d’amministrazione. E poi ci sono quelle che prendono vita tra le pagine ovattate del Financial Times, accompagnate da sguardi nostalgici verso Steve Jobs, da un tono vellutato di redenzione e da una quantità inaccettabile di denaro paziente.

Jony Ive sì, quel Jony Ive, il demiurgo del design Apple ha deciso che è tempo di riparare. Redimersi. Prendersi la colpa per l’umanità imbambolata davanti a uno schermo. Non bastava la funzione “Non disturbare” o la modalità “Tempo di utilizzo”: ora serve un nuovo oggetto. Ma non uno qualsiasi: un “AI gadget”. Cos’è? Non si sa. Perché funziona? Neppure. Ma è già stato benedetto da Laurene Powell Jobs, una che non parla mai, ma quando lo fa, lo fa per dire: “Ho messo i soldi, so che vale.”

Scacco bipartisan sulla scacchiera di Washington: Microsoft gioca in diagonale

Un pedone cade. Uno nuovo appare.
Non è scacchi, è geopolitica d’impresa.

Mentre tutti si affannano a interpretare l’ultima mossa di OpenAI o a prevedere chi detterà legge nella prossima ondata di modelli LLM, Microsoft si muove in silenzio ma chirurgicamente su un’altra scacchiera: quella della politica americana. Con una strategia così lucida da far impallidire persino i manuali di game theory, il colosso di Redmond piazza le sue torri legali con perfetta simmetria tra repubblicani e democratici. Una sinfonia di lobbying istituzionale mascherata da innocua riorganizzazione HR.

Lisa Monaco, ex legale dell’amministrazione Biden, viene arruolata per guidare la politica globale di Microsoft. Contemporaneamente, CJ Mahoney già vice rappresentante commerciale durante il primo mandato di Trump riceve la promozione a General Counsel per Azure, il cuore pulsante dell’impero cloud dell’azienda. Una pedina da una parte, una pedina dall’altra. Equilibrio perfetto. Bipartisan. O, più cinicamente, bi-interesse.

Nvidia, Trump e il chip dell’Apocalisse: perché Jensen Huang sta giocando a poker con l’intelligenza artificiale globale

A Mar-a-Lago non si vendono solo cocktail e ideologie vintage: si negozia il futuro dell’intelligenza artificiale planetaria. E al tavolo, con fiches da miliardi e uno sguardo da giocatore texano incallito, c’è lui: Jensen Huang, CEO di Nvidia, l’uomo che ha trasformato una fabbrica di GPU per videogiochi in un impero che ora tiene per la gola il mondo dell’AI.

Palantir diventa il cervello oscuro dell’amministrazione Trump

Certe notizie sembrano uscite da un romanzo distopico, ma poi scopri che sono firmate New York Times e ti rendi conto che la realtà ha superato di nuovo la sceneggiatura di Hollywood. Palantir, la creatura semi-esoterica di Peter Thiel, si è presa il cuore pulsante della macchina federale americana: i dati. La nuova amministrazione Trump — reincarnata, più determinata e algoritmica che mai — ha deciso che sarà Palantir a orchestrare l’intelligenza operativa dello Stato.

Centodiciassette milioni di dollari. È questa la cifra già ufficializzata in contratti software con il Dipartimento della Difesa, Homeland Security e altre agenzie federali. Ma è solo l’inizio. Quando un’azienda diventa il fornitore ufficiale di logica predittiva dell’apparato statale, i soldi sono il dettaglio meno interessante.

Google sotto attacco: la fine del monopolio o solo un’altra mossa da teatro regolatorio?

Benvenuti nell’era in cui anche i dinosauri digitali iniziano a sudare freddo. No, non è un altro aggiornamento dell’algoritmo di ranking. È un giudice federale americano che, finalmente, sembra aver capito che Google non è solo un motore di ricerca. È il motore. Il telaio. Il carburante. E l’autista dell’intero veicolo informativo globale. Ma ora, proprio quel veicolo rischia di finire smontato pezzo per pezzo.

La keyword di oggi è: monopolio. Le secondarie? Google Chrome, AI generativa, distribuzione della ricerca. Il palcoscenico è quello della “remedies phase” del processo che vede Google accusata di aver mantenuto illegalmente il suo dominio nella ricerca online. Il giudice Amit Mehta, apparentemente afflitto da un raro rigurgito di pragmatismo, ha cominciato a mettere in discussione le proposte sul tavolo. E quando un giudice federale definisce la cessione di Chrome “più pulita ed elegante”, attenzione: il colosso sente davvero il terreno tremare sotto i piedi.

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