Senti le urla? Sono virtuali, certo, ma perfettamente immaginabili. Grida soffocate dietro monitor curvi, nelle open space ovattate della Silicon Valley. Giovedì, Meta Platforms il colosso di Mark Zuckerberg che ha trasformato l’internet in un luna park disfunzionale – ha annunciato una partnership con Anduril, azienda di difesa fondata dal genio controverso Palmer Luckey. Obiettivo: sviluppare prodotti AR e VR per l’esercito. Per capirci: elmetti da guerra immersivi, visori con killfeed integrato, soldati che uccidono in alta definizione.

Nessun dettaglio concreto, solo nebbia linguistica da comunicato stampa, dove parole come “sinergetico”, “situational awareness” e “next-gen human-machine interfaces” vengono gettate come coriandoli sopra un accordo che, nella sostanza, significa una cosa sola: Meta entra nel business della guerra.

E lo fa con una certa nonchalance, quasi fosse la naturale estensione di un’azienda che ha già giocato con le emozioni collettive, le elezioni globali e la percezione della realtà. Perché non vendere anche un po’ di realtà aumentata al Pentagono? D’altronde, come dicono gli americani: “If it makes dollars, it makes sense”.

Solo che, in questo caso, il senso comune potrebbe ribellarsi. I dipendenti di Meta non hanno mai brillato per docilità. Lo abbiamo già visto con Google: anni di proteste interne contro Project Maven, l’accordo con il Dipartimento della Difesa, culminati nel 2023 con 28 licenziamenti. Una guerra interna, quella tra coscienza e stipendio, che si combatte in silenzio tra Slack criptati e post passivo-aggressivi su Workplace.

Zuckerberg però non sembra preoccuparsi. Ha già dismesso, senza rimorsi, l’apparato di Diversity, Equity and Inclusion, tanto per non lasciare spazio a dubbi. Via anche buona parte della moderazione dei contenuti, con un certo retrogusto da “ognuno per sé, Dio per tutti”. Ora ci mancava solo il ritorno dell’ex protetto Palmer Luckey, il fondatore di Oculus, quello cacciato nel 2017 per il suo sostegno a Trump. Ora è tornato. Come partner. Sì, ironico. Ma Zuckerberg adora le parabole in stile vendetta-siliconica. Deve aver letto troppo Philip K. Dick.

La verità? Questa mossa ha un senso strategico spietato: il Metaverso civile è in coma, ma quello militare è un business in piena crescita. La guerra, a differenza della fiducia degli utenti, non va mai in recessione. I governi pagano. E pagano bene. Il mercato della difesa è tra i pochi dove “scalare” significa davvero aumentare di scala, di fuoco, di droni, di sangue. AR e VR in mano ai soldati diventano strumenti di comando, addestramento, visione notturna, targeting. Meta può finalmente giustificare il suo investimento miliardario nella realtà virtuale, dopo averlo affossato sotto tonnellate di avatar senza gambe.

Eppure, il corto circuito culturale è inevitabile: un’azienda nata per “connettere il mondo” ora lo frantuma in schegge digitali a uso bellico. Da emoji di abbracci a tecnologie di combattimento immersivo. La linea è sottile. E Zuckerberg la attraversa con la sicurezza di chi sa che, se la morale diventa un ostacolo, basta modificarne l’algoritmo.

Meta non è sola in questa deriva. Anche Microsoft ha flirtato con il Pentagono. Amazon ha fornito cloud bellici. Ma il punto è che l’AR militare non è una banale estensione tecnologica. È la sintesi di un’epoca dove le big tech non solo osservano il mondo, ma ne riscrivono attivamente le regole. E se il codice può uccidere, allora chi scrive quel codice diventa un’arma.

Chiediamoci: i dipendenti di Meta, quelli che protestano, sono veramente sorpresi? O stanno solo vivendo l’inevitabile epilogo di una cultura aziendale che ha sempre fatto della neutralità un alibi e del cinismo un business model? Le startup crescono con slogan sul cambiamento del mondo, ma quando arriva il bonifico del governo, il mondo che cambia è quello con il mirino.

La prossima volta che indosserete un visore Quest, pensateci: quel campo di addestramento VR non è poi così diverso da Fortnite. Tranne che lì, ogni headshot ha una conseguenza reale.

Meta ha sempre venduto illusioni. Ora vende simulazioni di guerra. La differenza? Le urla, quelle vere, non si sentono nei comunicati stampa. Ma si possono immaginare benissimo.