Salesforce non ha semplicemente presentato una nuova piattaforma di intelligenza artificiale. Ha alzato l’asticella e mandato un messaggio molto preciso al mercato enterprise: o si evolve, oppure verrà lasciato a guardare i bot parlare tra loro. La nuova versione di Agentforce, ribattezzata con chirurgica teatralità Agentforce 360, è l’ennesimo segnale che la competizione non è più sui modelli di intelligenza artificiale ma sul controllo dell’orchestrazione conversazionale. Le aziende non vogliono semplicemente un chatbot, vogliono un ecosistema di agenti capaci di ragionare, coordinarsi, imparare e operare come un team di consulenti digitali sempre svegli.

La presentazione arriva strategicamente a ridosso di Dreamforce, l’evento annuale con cui Salesforce trasforma San Francisco in un palcoscenico per CEO, investitori, startupper e competitor che fingono disinteresse mentre prendono appunti compulsivi. L’obiettivo è evidente: consolidare la leadership nella fascia enterprise in un momento in cui l’AI generativa ha saturato la superficie ma non ha ancora conquistato i processi critici. Agentforce 360 è la risposta di Salesforce a una domanda che molti boardroom non sanno ancora formulare chiaramente: come trasformare l’intelligenza artificiale in ritorno misurabile, senza finire nella statistica del 95 per cento dei progetti AI falliti prima della produzione, come ha evidenziato una recente ricerca del MIT.

Il cuore pulsante di questa versione è un nuovo strumento di prompting, battezzato Agent Script, che entrerà in beta a novembre. Non si tratta di un semplice miglioramento, ma di un cambio di paradigma. L’AI aziendale non si limita più a seguire istruzioni statiche: impara a interpretare condizioni “if/then” e a muoversi in scenari sfumati, come domande imprevedibili dei clienti o escalation di assistenza non standardizzate. Salesforce promette che gli agenti alimentati da Agent Script saranno capaci di ragionare prima di rispondere, sfruttando modelli cognitivi forniti da Anthropic, OpenAI e Google Gemini. Non un dettaglio secondario: il valore strategico non è nell’intelligenza in sé ma nella capacità di incanalarla con precisione chirurgica nel flusso di lavoro aziendale.

L’azienda ha introdotto anche Agentforce Builder, una piattaforma che consente di costruire, testare e distribuire agenti AI da un’unica interfaccia. In gergo tecnico, è la differenza tra avere un cantiere caotico e una fabbrica automatizzata. L’elemento più intrigante è Agentforce Vibes, un sistema di codifica “enterprise-grade” pensato per dare agli agenti personalità operative coerenti con l’identità aziendale. Non stiamo parlando di bot con voce allegra, ma di agenti digitali che riflettono il tono, la precisione e la postura strategica dell’impresa. È l’equivalente di assumere un dipendente virtuale con il DNA aziendale già integrato.

Slack, la piattaforma di messaggistica che Salesforce ha acquisito con l’intenzione dichiarata di farla diventare l’interfaccia principale del lavoro, gioca un ruolo centrale in questa strategia. Agentforce si integra ora direttamente nelle app core, come Sales, IT e HR, trasformando Slack in un pannello operativo per agenti AI. Non sarà più solo un luogo dove i team si scrivono meme e aggiornamenti, ma un hub in cui bot e persone coesistono e collaborano. La roadmap prevede l’espansione progressiva fino al 2026, con Slack che diventerà un motore di ricerca aziendale attraverso connettori con Gmail, Outlook e Dropbox. Ironia della sorte: l’email, spesso data per morta, si ritrova protagonista in un’architettura AI di nuova generazione.

La versione pilota di un nuovo Slackbot AI personalizzato anticipa questo futuro. Non più un bot banale che risponde con link di help center, ma un agente capace di imparare le abitudini dell’utente e di proporre azioni intelligenti e contestuali. È qui che Salesforce intende colpire i concorrenti: nella capacità di trasformare un’interfaccia familiare in un assistente operativo invisibile ma pervasivo. Non serve convincere le aziende a cambiare abitudini, basta innestare l’AI dentro strumenti già radicati.

Il contesto competitivo rende questa mossa particolarmente significativa. Google ha lanciato Gemini Enterprise, un pacchetto AI per imprese che suona molto ambizioso ma assomiglia pericolosamente a un remix di feature preesistenti. Anthropic sta crescendo con Claude Enterprise, forte della partnership con Deloitte, mentre IBM cerca di inserirsi come architetto infrastrutturale. In questo scenario affollato, Salesforce gioca la carta più intelligente: smettere di parlare di AI e iniziare a venderla come infrastruttura invisibile ma imprescindibile. Non importa se i modelli siano di OpenAI o Google, l’importante è che tutto scorra attraverso Agentforce 360.

L’azienda dichiara 12.000 clienti attivi per Agentforce, un numero che supera di gran lunga quello dei competitor e che suggerisce che la strategia di diffusione silenziosa sta funzionando. Clienti come Lennar, Adecco e Pearson sono tra i primi ad adottare la nuova versione, spinti dall’idea di automatizzare i processi di relazione e supporto con agenti digitali che non dormono mai. È un messaggio chiaro al mercato: l’AI non è più un giocattolo per i team di innovazione ma un elemento strutturale della catena del valore.

Il paradosso è che mentre i colossi tecnologici moltiplicano le funzionalità, le aziende continuano a non vedere ritorni tangibili. Questo scollamento non è colpa dei modelli di AI, ma dell’assenza di architetture operative che permettano di trasformare una demo brillante in un sistema produttivo. Agentforce 360 tenta di colmare proprio quel gap. Con strumenti di scripting più sofisticati, ambienti di sviluppo centralizzati e un’integrazione capillare con Slack, Salesforce offre alle imprese la possibilità di costruire AI che non restano confinati nelle presentazioni dei team innovation.

C’è un dettaglio sottile ma fondamentale nella narrativa di Salesforce. L’azienda non sta vendendo una piattaforma di AI, sta vendendo una piattaforma di fiducia operativa. In un momento in cui la diffidenza verso le soluzioni generative cresce, riuscire a convincere i CIO che l’AI può diventare parte stabile dell’architettura aziendale vale più di qualsiasi feature tecnica. La differenza tra un esperimento e un’infrastruttura sta nella prevedibilità. E Agentforce 360 vuole essere il punto in cui la conversazione con l’AI smette di essere un gioco per diventare una catena di valore.

È difficile ignorare l’ironia implicita di questo scenario. Dopo anni passati a parlare di automazione come minaccia per il lavoro umano, oggi le aziende pagano per assumere bot che scrivono report, rispondono a clienti, gestiscono escalation IT e prendono appunti. Ma in questo caso la partita non è tra uomo e macchina, bensì tra le aziende che sapranno governare questi agenti digitali e quelle che finiranno per subirli. Salesforce sta costruendo la sua posizione esattamente su questo confine.

Il mercato enterprise si trova davanti a un bivio meno tecnico di quanto sembri. Da un lato ci sono le soluzioni verticali, costose e lente da implementare. Dall’altro ci sono piattaforme orizzontali come Agentforce 360 che promettono di inserire agenti intelligenti direttamente nel flusso operativo senza costringere i team a rivoluzionare tutto. In questo scenario, la velocità d’adozione diventa un vantaggio competitivo più potente di qualsiasi modello linguistico.

Non è un caso se Dreamforce 2025 si apre proprio con questo annuncio. Salesforce non sta solo aggiornando un prodotto, sta ridefinendo la grammatica con cui le imprese parleranno con le proprie macchine. I concorrenti continueranno a mostrare chatbot con battute sempre più credibili, ma la vera battaglia si giocherà su chi riuscirà a trasformare quelle conversazioni in flussi di lavoro produttivi. Agentforce 360 ha appena alzato il livello del gioco.