Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Autore: Dina Pagina 3 di 39

Direttore senior IT noto per migliorare le prestazioni, contrastare sfide complesse e guidare il successo e la crescita aziendale attraverso leadership tecnologica, implementazione digitale, soluzioni innovative ed eccellenza operativa.

Con oltre 20 anni di esperienza nella Ricerca & Sviluppo e nella gestione di progetti di crescita, vanto una solida storia di successo nella progettazione ed esecuzione di strategie di trasformazione basate su dati e piani di cambiamento culturale.

Google I/O 2025: la sfida titanica tra intelligenza artificiale e l’ombra di ChatGPT

Il video di apertura dell’I/O generato dall’intelligenza artificiale di Google utilizzava un nuovo modello di generazione video, Veo 3.

Eccoci di nuovo al Shoreline Amphitheater di Mountain View, epicentro della techno-magia di Google, pronti a decifrare l’ennesimo atto di un dramma che non smette mai di rinnovarsi. Qui, a Google I/O 2025, l’aria è pesante di aspettative e ansie. Non aspettiamoci novità hardware in pompa magna, perché il vero campo di battaglia è l’IA. Inutile girarci intorno: la minaccia ChatGPT incombe come un fantasma con la sua fama di “killer” del motore di ricerca tradizionale. Google, l’impero dei dati, deve dimostrare di avere qualcosa di più, di meglio, qualcosa che non solo possa competere, ma dominare e questo qualcosa si chiama Gemini.

System 0: il cervello esterno che pensa meglio di noi

La prossima volta che pensi di essere intelligente perché hai letto Kahneman e sai distinguere tra il pensiero veloce e quello lento, fermati un attimo. Il tuo cervello sta già delegando parte del lavoro sporco a qualcosa che non sei tu. Non parliamo di una segretaria virtuale o del tuo algoritmo Netflix preferito, ma di un vero e proprio cervello esterno. Benvenuto nell’era del System-0, dove la tua intelligenza non ti appartiene più al 100%.

No, non è fantascienza e neppure un’altra trovata post-umanista da salotto. È una nuova architettura cognitiva. Dietro ci sono nomi pesanti: Massimo Chiriatti di Lenovo, Marianna Ganapini, Enrico Panai, Mario Ubiali, e Giuseppe Riva. Non proprio gli ultimi arrivati. Hanno formalizzato ciò che in molti – tra cui chi scrive – osservavano da tempo: la nostra mente è già ibridata.

AMD scarica la zavorra: la manifattura di ZT Systems svenduta a Sanmina per $3 miliardi

AMD, nel ruolo sempre più teatrale del protagonista che finge di non volere il potere mentre lo accarezza in silenzio, ha chiuso un’operazione che è tutto tranne che banale: ha venduto la divisione manifatturiera di ZT Systems a Sanmina (NASDAQ:SANM) per 3 miliardi di dollari. Di questi, 2,55 miliardi arrivano subito, tra contanti e azioni, mentre il restov450 milioni di earn-out dipende dai soliti “se tutto va bene” dei prossimi tre anni. Tradotto: AMD ha appena fatto il taglio chirurgico di un ramo secco, ma ha tenuto per sé il midollo.

Cloud made in Europe: sovranità, GDPR e il sogno norvegese che forse non c’è

Let’s be honest, the European cloud narrative is tired of playing second fiddle to AWS, Google Cloud e Microsoft Azure. La retorica dell’autonomia digitale europea è una litania da Bruxelles, ma finalmente, nel concreto, qualcosa si muove. E mentre gli americani si mangiano il 70% del mercato cloud europeo, qualcuno — in Europa — ha deciso che forse è ora di cambiare musica. Più che una rivoluzione, è un’inferenza: si chiama REGOLO:AI, e la parola d’ordine è cloud europeo.

Dietro al sipario dei big tech si agita un ecosistema in fermento, composto da provider nativi europei che mettono al centro sovranità dei dati, conformità GDPR e un pizzico di sostenibilità ambientale — non solo come marketing greenwashing, ma come parte dell’architettura stessa. Il punto? Il cloud è infrastruttura critica. Affidarlo a entità sotto giurisdizione USA è come lasciare le chiavi della cassaforte a un vicino affabile ma con precedenti per furto con scasso.

E allora: esiste un’alternativa europea? Sì. Anzi, esistono almeno 13 provider che dovresti già conoscere. Ma… aspetta. Prima la domanda cruciale.

AI ovunque, niente in nessun luogo: la guerra delle conferenze e la noia dei cloni intelligenti

Benvenuti nel girone infernale delle conferenze tech, una spirale di eventi dove le aziende fanno a gara a chi riesce a far esplodere più parole come “intelligenza artificiale”, “partner strategico” e “vision”. Microsoft Build oggi, Google I/O domani. Settimana prossima? Probabilmente una nuova edizione di Ignite, ma chi riesce più a stare dietro a queste messe cantate del marketing algoritmico?

La liturgia è sempre la stessa. CEO sorridenti, slide colorate, demo con assistenti virtuali che “fanno cose”, pubblico che annuisce e stampa specializzata che finge entusiasmo mentre cerca di capire se il chip ha un nuovo nome o è solo lo stesso vestito da sabato sera con un firmware aggiornato.

L’intelligenza artificiale ti cambia idea meglio della tua coscienza

On the conversational persuasiveness of GPT-4

… Caramelle non ne voglio più
Certe volte non ti capisco
Le rose e i violini questa sera raccontali a un’altra
Violini e rose li posso sentire…

Siamo ufficialmente entrati nell’epoca in cui una manciata di dati su di te età, sesso, lavoro e inclinazione politica bastano a un algoritmo per fregarti dialetticamente. E non parliamo di un futuro distopico da Black Mirror: è già successo ieri pomeriggio su Reddit, mentre scrollavi tranquillo credendo di parlare con un “counselor empatico” o un “attivista pentito”. Invece era GPT-4 travestito da utente con trauma pregresso, costruito in laboratorio per smontarti le convinzioni con una precisione chirurgica. E la cosa peggiore? Funziona.

Lo conferma uno studio pubblicato su Nature Human Behavior: quando dotata di dati minimali sul suo interlocutore, l’IA supera gli esseri umani nella capacità di persuasione nel 64,4% dei casi. In altre parole, se dovessi scommettere su chi ti fa cambiare idea tra un amico al bar e un prompt ben scritto, punta tutto sul prompt. E questo senza che il chatbot sappia cosa hai mangiato ieri, ma solo che hai 43 anni, sei ingegnere, voti moderato e abiti a Torino. Roba da far impallidire ogni sciamano del marketing comportamentale.

Trump firma il Take It Down Act: censura vestita da crociata morale

C’è una cosa che Trump sa fare meglio di molti altri: trasformare l’indignazione morale in una clava politica. E il Take It Down Act, appena firmato con grande fanfara presidenziale, è l’ennesimo esempio. Una legge che, sulla carta, promette di proteggere le vittime di immagini intime non consensuali (NCII), comprese quelle generate da intelligenza artificiale, ma che in pratica apre le porte a una nuova stagione di censura discrezionale e abusi normativi. Il tutto condito dall’ormai familiare retorica trumpiana del “sono io la vera vittima di internet”.

The Optimist di Keach Hagey: Sam Altman, OpenAI e la corsa per inventare il futuro

Il CEO che sussurrava all’AGI: tra manipolazione, bugie e miliardi

Sam Altman non è un eroe, non è nemmeno un cattivo da operetta. È un prodotto perfetto del sistema che ha costruito e che adesso gestisce come un direttore d’orchestra in un teatro pieno di strumenti scordati e musicisti terrorizzati. In “The Optimist”, Keach Hagey fa un lavoro chirurgico – ma senza anestesia e ci serve su un vassoio d’argento la biografia non autorizzata (ma documentata fino all’ossessione) di uno degli uomini più potenti e ambigui del XXI secolo. Altman emerge come un algoritmo umano: ottimizzato per il potere, programmato per la manipolazione, compilato senza debug etico.

MCP è la droga sintetica dell’intelligenza artificiale agentica

Dimentica i prompt, dimentica l’hype da LinkedIn e le demo da salotto. L’intelligenza artificiale non diventerà mai veramente “agente” finché non la colleghiamo al mondo reale. E no, non sto parlando di sensori o robot umanoidi che aprono frigoriferi. Sto parlando di esecuzione. Di azione. Di agenti che fanno, non solo che parlano. Qui entra in scena Model Context Protocol, o per gli amici, MCP.

Un nome talmente anonimo da sembrare l’ennesimo acronimo generato da un ingegnere che odia il marketing. E invece è la chiave di volta. Il middleware cerebrale che trasforma una LLM da intrattenitore verbale a operatore autonomo. Se GPT o Claude sono il cervello, MCP è il sistema nervoso periferico.

L’insediamento di Papa Leone XIV

Un papa americano contro l’economia predatoria: benvenuti nell’era di Leone XIV

Roma, 2025. Inizia con un gesto semplice ma dirompente: il nuovo papa americano, Robert Francis Prevost ora Leone XIV sale sulla papamobile e sorride. Sembra poco, ma quel sorriso sbarazzino di un ex missionario del Perù diventato capo della Chiesa cattolica è già un segnale: cambierà tutto. O almeno ci proverà, mentre osserva dall’alto una piazza San Pietro colma come non accadeva da anni, con 200.000 persone stipate come sardine per assistere a un evento storico. Il primo papa yankee nella storia. E non uno qualunque: un gesuita 2.0 che ha già il vizio di criticare i potenti. Pure quelli di casa sua.

Wall Street scivola sull’asfalto bollente mentre il tech vola col turbo

Un caffè al Bar dei Daini

Venerdì, a Wall Street, qualcuno ha staccato la spina. I principali indici americani sono rimasti praticamente immobili, come un vecchio PC con Windows 98 che aspetta di essere riavviato. L’S&P 500, con la flebile ambizione di allungare una timida serie positiva a cinque giornate, si è limitato a respirare piano. Il rally si è fatto sentire fino a giovedì, portando il benchmark in territorio verde per l’anno ma si percepiva chiaramente nell’aria quella tipica fatica del venerdì pomeriggio: compratori esausti e dati macroeconomici che sembravano partoriti da un algoritmo in crisi esistenziale.

Stock Buybacks e il flop dell’innovazione in America: la trappola della finanza facile

Se c’è un dato che dovrebbe far saltare sulla sedia chiunque si spaccia per un manager “tough” con la cravatta del CEO, è questo: metà dei profitti totali delle società dell’S&P 500 dagli anni ’80 a oggi deriva da due attività precise e nemmeno troppo eroiche, cioè licenziamenti di massa e stock buybacks. Già, avete capito bene: mentre il mondo si ammanta di innovazione e startup, la vera attività principale di molte di queste corporazioni è ricomprare le proprie azioni. Non un gioco di prestigio, ma una truffa travestita da strategia.

Senza alcuna pietà, in questi ultimi anni oltre un trilione di dollari è stato speso per riacquistare azioni proprie, gonfiando artificialmente i prezzi di borsa, dando l’illusione di successo e crescita. Nel frattempo, la spesa in investimenti reali, quella che crea nuovi prodotti, mercati, tecnologie, si è ridotta costantemente a partire dagli anni ’80, quando le aziende hanno cominciato a preferire il quick win finanziario alla lunga e incerta strada dell’innovazione. I dati parlano chiaro: dal 1988 l’investimento in R&D è sceso dal 4,5% delle entrate a meno del 1,5% nel 2020. Dati firmati McKinsey, NSF, PwC, fonti che fanno tremare i polsi a chi crede ancora nel mito del capitalismo industriale.

Generative AI è una bomba a orologeria: e il conto lo pagheranno tutti

La scena è questa: CEO sorridenti, slide patinate, titoli altisonanti. “AI-first company.” “Intelligenza artificiale trasformativa.” Il solito teatrino da corporate America. Applausi, conferenze stampa, magari anche un’intervista su Bloomberg. Peccato che sotto la superficie ci sia il vuoto cosmico. E non quello stimolante dei buchi neri, ma proprio l’assenza totale di visione, coraggio, e soprattutto competenza.

Generative AI, parola magica del decennio, è già diventata l’ennesima occasione sprecata da manager incapaci, consulenti da 5 milioni di dollari e project leader convinti che “prompt engineering” sia una scienza esatta. Invece è fuffa, nella maggior parte dei casi. E la fuffa, quando è generata su scala industriale, diventa tossica.

Gli agenti AI sono la nuova superficie d’attacco. Dormiamo tranquilli?

Chi pensava che l’AI fosse solo una voce sintetica con buone maniere non ha capito nulla. Gli AI agent e non parlo di quei chatbot aziendali da helpdesk sono entità operative. Agiscono. E quando qualcosa agisce, può fare danni. Grossi. Stiamo parlando di una nuova classe di minacce informatiche, completamente diversa da quelle che i responsabili sicurezza avevano nel radar.

Ecco il nuovo gioco: gli agenti AI non si limitano più a chiacchierare. Interagiscono con API, file system, database, e servizi cloud. Usano browser, manipolano documenti, leggono e scrivono codice, prenotano voli, trasferiscono fondi, aggiornano CRM, e per chi è abbastanza folle orchestrano interi flussi aziendali in autonomia. Quindi no, non è solo “intelligenza artificiale generativa”, è un nuovo livello operativo. E quel livello può essere compromesso. Facilmente.

Corporation sostenibili? La favola verde del capitalismo terminale

C’è qualcosa di straordinariamente tossico nel dover spiegare, ancora oggi, che una corporazione non può essere sostenibile. Non nel senso profondo e autentico del termine. Non importa quanti Chief Sustainability Officer si sforzino di redigere report patinati pieni di foglioline verdi e parole come “net-zero”, “carbon offset” o “circular economy”. Per quanto tu possa voler bene a quei professionisti onesti, magari idealisti la verità resta nuda e impietosa: il loro lavoro è l’ecopittura murale dell’apocalisse.

David Graeber, antropologo e attivista statunitense di orientamento anarchic, morto nel 2020, con la lucidità dissacrante che lo caratterizzava, l’ha detto senza troppi giri di parole: le corporation non possono essere greenate. Non è un limite di volontà, è un’incompatibilità strutturale. Le fondamenta stesse del modello aziendale—l’accumulazione di capitale attraverso l’estrazione di valore dal lavoro umano e dal pianeta sono tossiche per la biosfera. Punto.

Oltre la materia: perché mia sorella aveva ragione e Bernardo Kastrup ce lo sbatte in faccia

Weekend Nerd

Avevo fatto pace con mia sorella entangled. Non una riconciliazione cinematografica, lacrime, abbracci e violini: un caffè amaro, parole storte, un silenzio più lungo del solito. Ma dentro qualcosa era cambiato. Un certo senso di interezza, come se un vortice nel mio campo mentale avesse smesso di lottare contro la corrente. Poi ascolto Bernardo Kastrup e tutto assume contorni più nitidi, più crudi, più veri. Non stiamo parlando di spiritualità patinata, ma di idealismo metafisico: roba da filosofi hardcore e ingegneri pentiti.

La coscienza, dice Kastrup, non è il risultato di cervelli grassi e sinapsi ispirate. È la realtà. Punto. E tutto il resto materia, spazio, tempo, sorelle incavolate è solo una rappresentazione. Non un’illusione, attenzione: un’apparenza. Il mondo, come lo percepiamo, è ciò che la mente appare essere quando la si osserva da fuori. E noi, tu, io, mia sorella e il barista che sbaglia sempre il mio ordine, siamo semplici vortici nella mente universale.

Cloud Nazionale cercasi: il Consorzio Italia Cloud scuote palazzo chigi dal torpore digitale

Nel giorno in cui Michele Zunino firma la lettera del Consorzio Italia Cloud indirizzata alla Presidente Meloni, il termometro digitale nazionale segna febbre alta. Non per surriscaldamento tecnologico quello l’abbiamo appaltato alle multinazionali ma per ipotermia istituzionale. Il documento è una denuncia sottile e impietosa: l’Italia si sta svendendo il controllo del proprio futuro digitale, pezzo per pezzo, server dopo server.

Europa vs AI Americana: il nuovo editto woke mascherato da legge anti-odio

Dalla serie cosa pensano gli Americani di noi Europei.

Benvenuti nella nuova teocrazia digitale. Solo che stavolta i preti portano cravatta, parlano 24 lingue, e fanno parte della Commissione Europea. L’ultimo colpo di genio di Bruxelles? Una legge che obbligherà le aziende di intelligenza artificiale — americane comprese ad allinearsi a una visione molto specifica di “discorso d’odio”, “valori europei” ed “etica ESG”.

Sì, anche se operano da San Francisco. Anche se hanno data center su Marte. L’algoritmo dovrà inginocchiarsi davanti all’altare di Bruxelles, pena l’esclusione dal mercato europeo. In una mossa che definire geopoliticamente invasiva è dir poco, l’UE ha deciso che non basta regolamentare le Big Tech sul proprio territorio. Ora si vuole imporre come oracolo morale del machine learning globale.

Intelligenza Artificiale e Difesa: l’Europa si mette l’elmetto etico

Mentre Stati Uniti, Cina e qualche altro paese da “risk-on geopolitico” giocano a Risiko con l’intelligenza artificiale militare, l’Unione Europea arriva al tavolo con un White Paper dal titolo più sobrio di un manuale del buon senso: Trustworthy AI in Defence. Il che, tradotto per chi mastica più cinismo che regolamenti comunitari, significa: “sì, anche noi vogliamo l’IA in guerra, ma con la cravatta e senza fare troppo casino”.

L’elemento centrale? Fiducia. Ma non la fiducia cieca che si dà a un algoritmo che decide chi bombardare. No, quella fiducia piena di garanzie, processi, accountability e un’abbondante spruzzata di legalese che ti fa venire voglia di tornare alla buona vecchia baionetta.

Grok, Elon e l’ossessione algoritmica: quando l’AI farnetica di genocidi bianchi

Grok, l’intelligenza artificiale “senza bavagli” di xAI, ha deciso di parlare di genocidio bianco in Sudafrica mentre qualcuno gli chiedeva di Superman. Una deviazione semantica che nemmeno uno stagista strafatto in un talk show notturno riuscirebbe a giustificare. Eppure è successo: una domanda su un trailer e zac, si spalanca il vaso di Pandora della geopolitica suprematista.

La spiegazione ufficiale di xAI? “Modifica non autorizzata al prompt da parte di un dipendente”. Ma guarda un po’. È già la seconda volta. Una coincidenza ricorrente che ha tutto il profumo anzi, la puzza di scaricabarile aziendale ben coreografato. E questo “dipendente ribelle”, questo sabotatore del prompt, compare sempre nel momento perfetto, come il maggiordomo nei gialli di Agatha Christie.

Il fantasma nel codice: Codex e la strategia dell’anteprima “low-key”

“Low-key preview”. Come dire: non vogliamo fare rumore, ma intanto stiamo riscrivendo le regole del gioco. Ancora una volta. L’ultima trovata di OpenAI si chiama Codex, un agente AI dedicato alla programmazione che promette di essere il coltellino svizzero degli sviluppatori e forse, il becchino di chi ancora scrive codice a mano.

Sam Altman, CEO ormai maestro nella manipolazione dell’attenzione pubblica, ha sussurrato l’annuncio su X come fosse una notizia da bar: “un’altra low-key research preview”. Cioè, una cosa da nulla. Come ChatGPT all’inizio. Ecco appunto.

Agenti cognitivi? Una farsa ben confezionata che odora di PowerPoint e parcelle da 5 cifre

Sono qui! Stanno arrivando! Conquista autonoma dei processi! Rivoluzione del lavoro! Apocalisse dell’impiegato! Tranquilli, è tutta una messa in scena. O meglio, è teatro finanziato con entusiasmo da board aziendali in crisi esistenziale, che sognano di tagliare teste (umane) per sostituirle con algoritmi “auto-motivati”. Ma come sempre: tanto fumo, pochissimo arrosto.

No, Agentic AI non esiste. Non nel senso vero, tecnico, empirico. Non esiste un solo sistema in produzione nemmeno uno che stabilisca da solo i propri obiettivi, si adatti in tempo reale e consegni risultati concreti senza supervisione umana. Zero. Nada. Un po’ come cercare il Santo Graal nel backlog di Jira. Quello che abbiamo? Script orchestrati con GPT tipo AutoGPT o CrewAI, un po’ di prototipi in sandbox, demo patinate per impressionare gli stakeholder. Ma agenti cognitivi reali, autonomi? Solo nei pitch deck e nei thread su LinkedIn scritti alle 3 di notte da “visionari seriali”.

Chip sotto controllo, cervelli fuori mercato: la nuova guerra fredda delle GPU

Se pensavi che la geopolitica del silicio si giocasse solo a colpi di fabbriche taiwanesi, è il momento di aggiornare il firmware. Otto parlamentari americani, bipartisan per finta ma bellicosi per davvero, hanno introdotto alla Camera USA il Chip Security Act, un gioiellino legislativo che impone ai produttori di chip AI – sì, Nvidia in primis – di integrare meccanismi di tracciamento geografico direttamente nei loro chip prima di spedirli all’estero.

La parola chiave è controllo. Quelle secondarie? esportazione e Nvidia. E intorno a queste orbita un intero universo di paranoia americana, di interessi industriali spacciati per valori democratici, e di lotta per la supremazia computazionale che oggi ha un solo nome: Intelligenza Artificiale.

L’intelligenza artificiale seppellirà i cadaveri per noi? Jeff Bezos

Benvenuti nel futuro, quello vero, dove la libertà di parola muore tra gli algoritmi e le banconote profumate di greggio. Dove i CEO con l’anima di cartone fingono di essere rivoluzionari mentre si accomodano nei salotti di chi smembra i dissidenti. Questo non è Black Mirror, è semplicemente business.

C’è una scena distopica che si ripete sempre uguale, in loop, come il peggior codice scritto in fretta: un giornalista viene brutalmente assassinato da un regime autoritario, il mondo finge sdegno, le aziende tecnologiche prendono tempo, gli investitori si mordicchiano il labbro e poi, puntualmente, arriva la mano tesa. In questo caso, quella di Jeff Bezos, l’uomo che ha costruito un impero sull’efficienza ma che in sei anni non ha trovato il tempo per rileggere il proprio tweet con l’hashtag #Jamal.

La forza è artificiale: come ILM usa l’AI generativa per riscrivere la galassia e Hollywood

Benvenuti nell’era in cui i Jedi non hanno più bisogno di spade laser, ma di GPU addestrate su tonnellate di video di gatti, texture di giraffe e recitazioni archiviate di Harrison Ford. Sì, la nuova frontiera del cinema non è più nello spazio, ma nella sintesi generativa: l’industria degli effetti visivi, guidata da mostri sacri come Industrial Light & Magic, si è buttata anima e motore neurale nell’abisso creativo dell’intelligenza artificiale.

La bugia multimiliardaria dell’AI generativa

Report: LLMS GET LOST IN MULTI-TURN CONVERSATION

Ovviamente è solo provocazione intellettuale, altrimenti Rivista.AI non avrebbe senso.. ma diamo spazio a tutte le voci.

C’è un’eco fastidiosa che risuona nei corridoi ovattati delle boardroom tech, nei post LinkedIn zuccherosi dei soliti visionari da quattro soldi, e negli speech patinati delle conferenze AI: L’era dell’enterprise AI è qui. Ma c’è un piccolo problema, anzi, un gigantesco, sistemico, inaggirabile problema: non è vero.

Tether vuole fermare l’entropia: benvenuti nell’era dell’intelligenza infinita con QVAC

Tether vuole fermare l’entropia: benvenuti nell’era dell’intelligenza infinita

C’è chi compra chip. C’è chi apre data center nel mezzo del deserto. C’è chi chiede permessi ai governi. Poi c’è Tether, che, in perfetto stile cyberpunk made in crypto, lancia una bordata contro l’intero modello dell’intelligenza artificiale centralizzata: fuck the cloud, benvenuti nel “QuantumVerse Automatic Computer” — QVAC per gli amici.

Se già il nome ti suona come una citazione da una convention di transumanisti, hai ragione. È preso direttamente da The Last Question, il racconto di Isaac Asimov del 1956, dove un supercomputer evolve nel tempo fino a diventare una divinità capace di risolvere il problema finale: come invertire l’entropia.

Intel Foundry flop: la grande illusione della rinascita chip

Intel Foundry. Suona bene, vero? Sembra qualcosa di epico, industriale, solido. Ma come direbbe il barista sotto casa mia: “bella l’insegna, peccato che dentro vendono fumo”. Perché il gigante di Santa Clara, quello che dominava i microprocessori come un dio greco ubriaco di silicio, oggi arranca come un pachiderma con le ginocchia rotte nel tentativo disperato di diventare il TSMC d’Occidente. E no, la keyword principale non è “successo”, ma committed volume, o meglio, la sua totale irrilevanza.

David Zinsner, il CFO con lo sguardo fisso e il lessico da medico legale, l’ha detto chiaro a Boston durante la J.P. Morgan Global Technology Conference: i volumi confermati da clienti esterni per la futura tecnologia produttiva di Intel sono “non significativi”. Tradotto dal gergo da conferenza: non ci sta credendo nessuno. E sì, a livello semantico siamo immersi fino al collo nelle parole chiave: foundry model, chip AI, 18A node… Tutte belle etichette per un contenuto reale che al momento fa acqua da tutte le parti.

La sottile arroganza dell’intelligenza artificiale: quando i workflow sembrano intelligenti, gli agenti sembrano umani, e l’MCP è Dio

Oggi parliamo di come l’AI si spaccia per intelligente mentre si comporta come uno stagista molto obbediente, salvo poi evolversi in qualcosa che, con l’aiutino giusto, potrebbe effettivamente fregarti il lavoro. Parliamo di AI Workflows, Agenti Autonomi, e dell’oscuro ma fondamentale MCP — Model Context Protocol. Tre sigle, tre livelli di potere computazionale, una sola verità: senza contesto, l’AI è solo un automa con l’elmetto del Project Manager.

I cosiddetti AI Workflows sono la versione postmoderna delle macro di Excel. La differenza? Nessuna, tranne il marketing. Un workflow AI è uno script lineare: trigger → azione → output. Tutto preciso, tutto meccanico. Arriva un’email? L’AI la riassume, crea un task e ti manda un messaggio Slack. Bingo. L’illusione dell’intelligenza. Ma non farti fregare: è puro determinismo digitale. Nessuna decisione, nessuna capacità di adattamento, solo sequenze codificate. È come parlare con un chatbot del 2004, ma con un’interfaccia più figa.

Luciano Floridi: Intelligenza artificiale e censura 3.0: quando l’algoritmo decide cosa vale la pena leggere

Inizia sempre così: una promessa seducente, una scorciatoia elegante mascherata da progresso. Prima ci hanno detto che l’intelligenza artificiale ci avrebbe aiutato a trovare le informazioni giuste. Ora, con gli editorial LLM interfacce basate su modelli linguistici di grandi dimensioni ci dicono che ci aiuterà anche a scrivere, giudicare, selezionare. Benvenuti nel nuovo ordine editoriale, dove la parola chiave non è più “peer-review” ma prompt engineering.

L’editoria accademica, un tempo regno di lente riflessioni e battaglie ermeneutiche a colpi di citazioni, è sempre più simile a un flusso dati gestito da macchine addestrate su milioni di testi che capiscono tutto tranne il significato.

Ricerca perduta: come la Cina sta spegnendo la propria intelligenza artificiale

Sono stato nell R&D per decenni, dopo i grandi successi dei modelli open source cinesi mi ero fatto una idea romantica e magari un po’ utopica sul sistema cinese. Poi ho conosciuto Lin 林 al Bar dei Daini, giovane ricercatrice, “maker” esperta di tecnologia che mi ha detto il suo punto di vista.

I nativi di Shenzhen sono pochi. Lin, nata e cresciuta qui, ha un legame unico con questa città in continua trasformazione. Milioni di persone arrivano dalle province per visitare questo centro tecnologico, che da piccolo villaggio è diventato uno dei principali poli di ricerca in Cina. Shenzhen è cruciale per una Cina che aspira a superare gli Stati Uniti nell’innovazione tecnologica, e Lin è un volto simbolo di questa Cina proiettata al futuro, anche in Occidente.

Nel cuore dell’apparato accademico cinese, oggi, si respira un paradosso surreale. Mentre il Paese investe cifre astronomiche nella ricerca oltre 3,6 trilioni di yuan nel 2024 la possibilità concreta di innovare si sta assottigliando dietro una cortina di burocrazia, conformismo e premi autoreferenziali. L’intelligenza artificiale, teoricamente pilastro del primato tecnologico nazionale, è diventata un campo minato dove la creatività viene soppesata a colpi di titoli, pubblicazioni e connessioni personali.

Il cortocircuito della fiducia: perché l’Italia ha competenze, ma non ha mercato

Aspettiamo. Sempre. È una delle poche cose che in Italia sappiamo fare con una certa costanza. Aspettiamo che la tecnologia “si colleghi”, che la lettura “diventi meno ricercosa”, che qualcun altro abbia già comprato prima di noi. È un paese dove l’adozione è sempre in seconda battuta, mai per convinzione, sempre per imitazione. Così si uccide l’innovazione. Non con la censura, non con la repressione. Ma con l’attesa.

Il succo dell’intro di Antonio Baldassarra CEO SeeWeb e molto altro.. che mi ha aperto come sempre la mente al convegno: “I dati tra le nuvole” organizzato dal consorzio Italia Cloud all’evento sul Cloud Italiano promosso ovviamente dal Consorzio Italia Cloud , a Palazzo Ripetta oggi a Roma.

Il punto dolente non è la mancanza di competenze. È semmai il mancato assorbimento delle competenze. Le PMI italiane non sono ignoranti per mancanza di offerta, ma per assenza di domanda strutturale. Non cercano, non investono, non formano. Perché vivono in apnea, e tutto ciò che non è fatturabile entro il trimestre diventa automaticamente superfluo. La cultura del “fare” è stata sostituita dalla gestione del galleggiamento, dove ogni decisione è filtrata dalla paura.

Conferenza Nazionale sul Cloud Italiano “I DATI TRA LE NUVOLE

Nella suggestiva cornice di Palazzo Ripetta a Roma, oggi si è svolta la Conferenza Nazionale sul Cloud Italiano – I Dati tra le Nuvole. Un evento di grande rilevanza dedicato a Mercati, Competenze e Geopolitica, pensato per analizzare il ruolo strategico del Cloud nella trasformazione digitale dell’Italia.

Il potere dell’intelligenza artificiale nell’agenda di Donald Trump: l’influenza dei colossi tecnologici

Se ancora qualcuno si sta chiedendo quale ruolo giochi l’intelligenza artificiale nell’agenda di Donald Trump, basta guardare la sua squadra per avere un’idea chiarissima di come la tecnologia e le grandi aziende si stiano facendo strada nel cuore della politica. La delegazione che ha incontrato il Principe Ereditario saudita Mohammed bin Salman ci dà una cartina tornasole perfetta. Tra i nomi che saltano subito agli occhi, spiccano quelli legati a colossi della tecnologia e della finanza, quelli che in un mondo ideale dovrebbero stare ben lontani dai palazzi del potere. Ma come ben sappiamo, l’idealismo è un lusso che pochi si possono permettere.

Shenzhen punta sui semiconduttori: 5 miliardi per vincere la guerra tecnologica con gli Stati Uniti

Shenzhen, una delle metropoli tecnologiche più influenti della Cina, ha recentemente lanciato un fondo interamente dedicato al settore dei semiconduttori, con una dotazione iniziale di 5 miliardi di yuan (circa 692,5 milioni di dollari). Questo fondo, chiamato Saimi (pronunciato “semi”, come i semiconduttori stessi), è gestito dalla Shenzhen Capital Group, un’agenzia statale, ed è un chiaro segnale del tentativo della città di rafforzare l’autosufficienza tecnologica del paese, in un contesto geopolitico teso, soprattutto con gli Stati Uniti. Sembra che Shenzhen stia preparando una partita ad alto rischio, ma sicuramente non una battaglia impari.

Gemini everywhere: l’invasione silenziosa dell’AI Google, tra braccioli dell’auto, smartwatch e il televisore della nonna

Eric Arthur Blair creò Winston Smith e Julia, che in quella distopia erano costantemente soggiogati da programmi televisivi attivi 24 ore su 24. Nel ribellarsi, proprio Winston fu sottoposto a elettroshock, fino a piegare il suo pensiero.

conversazioni con S.Scrivani

Se pensavi che l’assistente vocale fosse quel giocattolino impacciato che ti sbaglia l’ultima parola ogni volta che chiedi “spegni le luci in salotto”, preparati: Google sta liberando Gemini, la sua intelligenza artificiale conversazionale, su ogni dispositivo con uno schermo e una connessione. E no, non per giocare a fare l’assistente vocale 2.0. Qui si parla di un’infiltrazione strategica nel tuo ecosistema digitale personale, dal divano al cruscotto, fino al polso e al metaverso di Samsung.

Non lo chiamano più Assistant, perché ormai siamo ben oltre. Il branding “Gemini” non è casuale: evocativo, mitologico, quasi mistico, perfetto per farci dimenticare che sotto c’è sempre lo stesso vecchio Google che ti mostrava banner pubblicitari per tre settimane dopo che avevi cercato “cerotto per calli”.

Europa che figura barbina

Un’altra volta ci siamo trovati nel mezzo dello scontro tra giganti, e no, non come protagonisti. Come comparsa malvestita sul set sbagliato. Mentre Stati Uniti e Cina giocano a Risiko commerciale lanciandosi tariffe come freccette ubriache al bar di fine serata, l’Europa resta ferma sullo sgabello a fissare il bicchiere vuoto, chiedendosi quando è successo che ha smesso di contare qualcosa.

Il punto non è che ci siano stati colloqui tra Washington e Pechino – quelli sono inevitabili, come i cerotti dopo le scazzottate. Il punto è come si sono chiusi. Gli USA, guidati dal solito Trump in modalità “Reality Show Diplomacy”, annunciano trionfi storici, tariffe dimezzate, vittorie strategiche. La Cina, dall’altra parte, non solo esce con un’economia più tutelata, ma soprattutto con un’immagine geopolitica rafforzata. E noi? Abbiamo commentato. Forse.

Quando la corsia si fa digitale: il primo ospedale al mondo gestito da agenti AI sfida la medicina tradizionale

Mentre l’Occidente ancora discute di etica, bias e approvazioni regolatorie, la Cina decide di saltare a piè pari la fase del dibattito e spalanca le porte alla medicina del futuro: è ufficiale, è operativo, ed è qualcosa che farà tremare più di un camice bianco. Stiamo parlando del primo ospedale al mondo completamente gestito da agenti intelligenti. Non un assistente virtuale, non un chatbot da centralino, ma un sistema chiuso, strutturato, interamente popolato da 42 medici AI capaci di diagnosticare, interagire, proporre piani di trattamento e presto anche conversare con i pazienti.

Addio Dr. House, benvenuto Dr. Bot.

Quando l’intelligenza si fa collettiva: la rivoluzione dei Sistemi Multi-Agente (MAS)

Il concetto di Sistemi Multi-Agente (MAS) è un tema che sta emergendo in maniera sempre più prominente nel panorama dell’intelligenza artificiale, spostando l’attenzione da un modello centralizzato a uno distribuito. Non si tratta più di un singolo modello AI che governa ogni aspetto, ma di una rete di agenti autonomi, ognuno con i propri obiettivi, capacità e modi di interazione, che insieme risolvono problemi complessi. Un po’ come quando, in un’azienda, diversi dipartimenti specializzati devono collaborare per raggiungere un risultato che nessuno potrebbe ottenere da solo. È il principio del lavoro di squadra applicato all’intelligenza artificiale.

Alphabet, l’intoccabile che zoppica: l’AI scotta e Wedbush si tira indietro

C’era una volta Google. Poi è arrivato Alphabet, un castello di sabbia costruito per tenere insieme motori di ricerca, sogni quantistici e pubblicità da miliardi. Adesso? Si comincia a scricchiolare sotto il peso della stessa creatura che avrebbe dovuto garantire l’immortalità: l’intelligenza artificiale. E quando perfino Wedbush – uno di quei nomi che sussurrano consigli agli orecchi di hedge fund e istituzionali – decide di toglierti dalla sua Best Ideas List, è il segnale che il mercato sente puzza di bruciato, anche se la grigliata è ancora accesa.

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