Il paradosso è servito. Il mercato azionario americano, la vetrina più osservata del capitalismo globale, è oggi più caro che all’apice della bolla delle dot-com. Sì, avete letto bene: più caro del 2000, quando un dominio web con un’idea vaga di business poteva gonfiare valutazioni fino a stratosfere poi implose. La differenza è che stavolta non si parla di startup bruciasoldi, ma di giganti tecnologici con fatturati da Pil nazionale e margini che sembrano scritti in laboratorio. Eppure la matematica delle valutazioni non mente: lo S&P 500 viene scambiato a 3,23 volte le vendite, un record storico, mentre il suo price-to-earnings forward è 22,5, ben oltre la media venticinquennale di 16,8.
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Oggi il caffè al Bar dei DAINI ci è andato di traverso. Ho detto al Co-Founder: pensavi che la scorsa settimana fosse stata brutta? Ripensaci! Ti ricordi cosa avevo detto? Agosto è sempre un mese pericoloso, mentre tutti si rilassano in vacanza, scattano gli algoritmi.
La paura della crescita negli Stati Uniti ha causato un crollo dei tassi di interesse a breve termine, invertendo il carry trade sullo yen giapponese.
Questo ha portato a perdite e richieste di margine, innescando vendite forzate di aziende con buoni risultati quest’anno, come AMZN, NVDA e Nasdaq.
La recente rotazione del valore ha fatto salire alle stelle alcuni titoli blue chip difensivi ad alto rendimento, come BTI e ENB, ma in una margin call globale, anche questi vengono venduti dagli algoritmi.

C’è una vera carneficina là fuori e le ricadute si stanno rapidamente diffondendo in tutto il mondo.
Gli investitori hanno davvero bisogno di qualche parola rassicurante dai banchieri centrali in questo momento, specialmente da una Fed che sembra essere in ritardo. Ho aggiunto: ricordi come sono andate le cose per i mercati nel 1987? “Black Monday”