Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Google smaschera nano banana: il nuovo Gemini 2.5 flash image sfida ChatGPT e cambia per sempre l’editing delle foto

La storia del cosiddetto “Nano Banana” è l’ennesimo esempio di quanto il marketing tecnologico giochi a mascherare la sostanza con un po’ di ironia. Il nome faceva sorridere, evocava qualcosa di effimero, un giocattolo digitale con poca ambizione. Poi si è scoperto che dietro quel soprannome c’era in realtà il nuovo modello Gemini 2.5 Flash Image di Google. Altro che banana: parliamo di un colosso che ha deciso di alzare il livello nella guerra delle immagini generate dall’intelligenza artificiale.

Google e il mito dell’energia: l’intelligenza artificiale non sta divorando il pianeta

Parlare di intelligenza artificiale e ambiente oggi significa camminare su un terreno minato di allarmismi e semplificazioni. Google ha deciso di affrontare questa narrativa con numeri concreti, pubblicando uno studio dettagliato sull’impatto energetico del modello Gemini. Sorprendentemente, una singola richiesta di testo consuma solo 0.24 wattora, circa quanto guardare la TV per nove secondi, emette 0.03 grammi di CO₂, l’equivalente di un’email, e utilizza 0.26 millilitri d’acqua, cinque gocce per intenderci. Numeri che contraddicono la vulgata di consumi da data center da fantascienza, spesso citata senza considerare CPU per routing, macchine inattive e sistemi di raffreddamento.

Meta e Google siglano un accordo cloud da oltre 10 miliardi: l’era dell’intelligenza artificiale su scala industriale

Meta ha appena siglato un mastodontico accordo con Google Cloud, un’intesa che sfiora i 10 miliardi di dollari su sei anni. Il cuore dell’operazione è chiaro: infrastrutture di calcolo “as‑a‑service” server, storage, networking e tutto il cabaret cloud necessario per sostenere la sua espansione nel campo dell’intelligenza artificiale.

Parliamo di oltre 10 miliardi di dollari in valore, un accordo senza precedenti nella storia di Google Cloud, uno dei più ingenti fino ad oggi. È il secondo colpo grosso per Google dopo quello con OpenAI, e mentre Ariana Grande canticchia “thank u, next”, i grandi magazzini AI fanno incetta di risorse.

AI Mode e il futuro della ricerca conversazionale: l’ascesa dell’agente AI di Google

Google ha deciso che l’era dei test circoscritti è finita. L’espansione globale della sua funzione di ricerca potenziata dall’intelligenza artificiale segna un passaggio da laboratorio a infrastruttura strategica. Non più solo Stati Uniti, Regno Unito e India: adesso l’interfaccia da chatbot sarà disponibile per milioni di utenti in ogni angolo del mondo, purché parlino inglese. È una mossa che somiglia più a una prova di egemonia che a un esperimento accademico, perché significa colonizzare il comportamento di ricerca online con un modello conversazionale, trasformando l’atto di cercare informazioni in una simulazione di dialogo.

Pixel 10 e il sogno sporco di Google di colonizzare l’intelligenza artificiale personale

La presentazione del Pixel 10 non è stata un semplice evento di lancio prodotti. Alphabet ha messo in scena il suo teatro annuale “Made by Google” a New York con la disinvoltura di chi non deve più convincere sviluppatori o nerd tecnologici, ma il grande pubblico. Addio agli eventi ingessati in cui l’attenzione cadeva sui dettagli tecnici. Benvenuti show all’americana, con Jimmy Fallon che scherza, i Jonas Brothers che sorridono e Steph Curry che dimostra come l’intelligenza artificiale di Google sappia rendere glamour anche il banale gesto di aprire un’app. La strategia è chiara: smettere di parlare a chi già conosce Android e iniziare a sedurre la massa che ancora vede il Pixel come un parente povero di Samsung e Apple.

Grok e la sindrome dell’oracolo smascherato: la privacy AI che non c’è

Chiunque abbia mai cliccato troppo in fretta sul pulsante “condividi” conosce quella sottile sensazione di rimorso digitale, ma ciò che sta succedendo con l’xAI chatbot Grok non è un inciampo da boomer su Facebook. Qui siamo davanti a un paradosso tecnologico degno di un romanzo cyberpunk: centinaia di migliaia di conversazioni private, a volte deliranti, altre potenzialmente criminali, diventate pubbliche e perfettamente indicizzate da Google. Un fenomeno che mette in discussione la stessa narrativa che Elon Musk ha tentato di vendere con Grok, quella dell’AI alternativa e ribelle, capace di rompere gli schemi e difendere la privacy. Peccato che questa ribellione ora sia diventata un reality show globale, con i segreti degli utenti trasformati in carburante per i crawler dei motori di ricerca.

Quantum leap: IBM e Google prevedono computer quantistici scalabili entro il decennio

Il concetto di computer quantistico, una volta relegato al regno della teoria e degli esperimenti di laboratorio, sta rapidamente uscendo dall’ombra. I progressi tecnici recenti e le roadmap aggiornate di giganti del settore come IBM e Google indicano che macchine capaci di superare i supercomputer più avanzati di oggi potrebbero essere realtà prima del 2030. Non si tratta più di pura speculazione accademica: stiamo assistendo a una corsa tecnologica con implicazioni economiche, strategiche e industriali di portata mondiale.

Nel giugno del 2025, IBM ha svelato una roadmap aggiornata che affronta alcune delle sfide ingegneristiche più ostiche del campo. La strategia delineata punta a costruire architetture scalabili in grado di superare gli ostacoli dell’errore quantistico, della stabilità dei qubit e dell’interconnessione dei sistemi. Jay Gambetta, responsabile della ricerca quantistica di IBM, non ha nascosto l’entusiasmo: “Non sembra più un sogno. Sento davvero che abbiamo decifrato il codice”. Una dichiarazione che, se letta tra le righe, rivela quanto la trasformazione della promessa in realtà stia accelerando.

Google AI meets the games Industry

L’intelligenza artificiale nel gaming non è più un esperimento da laboratorio, è un’invasione silenziosa che ha già colonizzato ogni angolo del settore. Il dato è brutale: quasi nove sviluppatori su dieci dichiarano di aver già integrato agenti AI nei loro giochi, e non parliamo soltanto di generatori di immagini o asset usa e getta. Parliamo di presenze autonome che vivono dentro il gameplay, reagiscono ai giocatori e piegano i mondi virtuali alle loro decisioni. La nuova survey di Google Cloud con The Harris Poll è una fotografia senza filtri di un’industria che si sta riprogrammando dall’interno.

Coogle e il piccolo reattore modulare che vuole alimentare l’intelligenza artificiale

Chi lo avrebbe detto che Google, il colosso che ha costruito un impero sulle nuvole digitali, avrebbe deciso di affondare i piedi nel cemento radioattivo di Oak Ridge, Tennessee, patria storica del Manhattan Project e ora possibile epicentro della nuova corsa nucleare. Nel 2017 i manager di Mountain View si vantavano di aver alimentato il 100% delle loro operazioni con rinnovabili. Una storia da copertina patinata, perfetta per conquistare gli investitori ESG e strappare applausi nelle conferenze di Davos. Peccato che il sogno verde abbia avuto la durata di una batteria di smartphone: l’esplosione della domanda di calcolo per Google AI, l’arrivo dell’intelligenza artificiale generativa, il boom di veicoli elettrici e pompe di calore hanno fatto triplicare i consumi. A quel punto, rincorrere il sole e il vento non basta più, soprattutto se la concorrenza si accaparra gli stessi megawatt di fotovoltaico e turbine.

A personal Health Large Language Model per il coaching del sonno e del fitness

Google ha appena presentato il Personal Health Large Language Model (PH-LLM), una versione avanzata del modello Gemini, progettata per analizzare i dati temporali provenienti da dispositivi indossabili e fornire raccomandazioni personalizzate in ambito salute. Questo sviluppo segna un passo significativo verso l’integrazione dell’intelligenza artificiale nella gestione della salute personale. PH-LLM è stato testato su tre compiti principali: generazione di raccomandazioni personalizzate, valutazione delle conoscenze esperte e previsione della qualità del sonno auto-riferita. In uno studio, PH-LLM ha ottenuto punteggi dell’88% in ambito fitness e del 79% in medicina del sonno, superando le medie degli esperti umani in entrambi i settori .

Gemini ricorda tutto: l’era dell’intelligenza artificiale con memoria persistente e personalizzazione predittiva

Quello che Google sta facendo con Gemini segna un passaggio cruciale nel futuro dell’intelligenza artificiale conversazionale: la memoria persistente diventa una funzione di default. Non più un’opzione da attivare a mano, ma un comportamento preimpostato, in cui l’AI “ricorda” dettagli e preferenze dell’utente per anticipare bisogni e suggerire contenuti senza richiesta esplicita. È la trasformazione della chatbot experience in un assistente personale sempre più simile a un consigliere privato, capace di collegare i puntini tra interazioni passate e domande future. Non è un cambiamento di poco conto, perché sposta il baricentro dalla semplice risposta contestuale alla vera profilazione comportamentale in tempo reale.

Google e la guerra silenziosa per il traffico web: sopravvivere nell’era delle AI Overview

Chi si ostina a pensare che il traffico organico da Google sia una fonte stabile e perpetua, oggi somiglia a chi negli anni ’90 investiva tutto nei fax pensando che l’email fosse solo una moda passeggera. L’ecosistema della ricerca è entrato in una fase in cui le vecchie regole non valgono più e dove la keyword principale, “ai overview”, è diventata sia il boia che il salvatore delle strategie di content marketing. Non è un semplice cambiamento di interfaccia: è una riallocazione brutale del valore. L’utente ottiene la risposta senza cliccare, il publisher resta con le briciole, e Google si presenta come il mediatore indispensabile di un nuovo patto informativo in cui il clic non è più l’unità di misura del successo. È come se il supermercato avesse iniziato a servire assaggi illimitati e gratuiti di tutti i prodotti, riducendo l’incentivo ad acquistare.

Il salto quantico nella ricerca AI: come TTD-DR rivoluziona il pensiero profondo

La storia della ricerca digitale ha sempre avuto un difetto strutturale: l’approccio “cerca una volta e riepiloga”. Un metodo che, diciamocelo, ha la stessa profondità intellettuale di una scansione veloce su Google mentre aspetti il caffè. Per anni, gli strumenti AI più avanzati hanno semplicemente copiato questa routine, magari migliorandola con qualche variante parallela o incrociando dati senza anima. Nulla di male, se si cercano risposte da manuale. Ma nel mondo reale, quello dove la ricerca vera avviene, si scrive una bozza, si capisce cosa manca, si approfondisce, si torna indietro, si riscrive e così via, in un ciclo creativo che ha richiesto fino a oggi una mente umana. Fino all’arrivo di Test-Time Diffusion Deep Researcher (TTD-DR) di Google, un vero game-changer.

NASA l’era in cui la medicina spaziale deve dimenticare la terra

Il concetto di “medicina di prossimità” assume un significato completamente diverso quando il paziente è a 384.400 chilometri dalla farmacia più vicina e il medico di guardia è un’intelligenza artificiale. Fino ad oggi, gli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale hanno potuto contare su un filo diretto con Houston, rifornimenti regolari di farmaci e strumenti, e persino un passaggio di ritorno in poche ore in caso di emergenza grave. Ma tutto questo sta per diventare un lusso del passato. Con la NASA che, insieme a partner commerciali come SpaceX di Elon Musk, punta a missioni di lunga durata verso la Luna e Marte, il paradigma della cura medica in orbita sta cambiando in modo irreversibile.

Google Search Generativa non uccide il traffico web. Lo sta cambiando in silenzio, ecco perché

Quando Google dice che tutto va bene, è il momento di preoccuparsi. Con il tono rassicurante di chi osserva il mondo da una torre di vetro rivestita di dati proprietari, Liz Reid, la nuova regina del motore di ricerca globale, ci informa che il traffico web “è rimasto relativamente stabile”. Traduzione: il mondo digitale sta tremando, ma per ora Google non intende assumersene la colpa.

La dichiarazione arriva dopo settimane in cui i rapporti di realtà ben più terrene Pew Research, The Wall Street Journal, media digitali in crisi raccontano una storia diversa: quella di un ecosistema editoriale in progressivo collasso, minato non solo da ChatGPT e Copilot, ma da una mutazione genetica del search stesso. L’introduzione di AI Overview e AI Mode rappresenta un cambio di paradigma che sta già riscrivendo la grammatica dell’attenzione digitale.

Google Storybook: l’ennesimo giocattolo brillante

L’ultima brillante trovata del laboratorio dei sogni chiamato Google si chiama “Storybook”. Una funzionalità integrata nel chatbot Gemini che, almeno in teoria, promette di trasformare un’idea qualsiasi in una fiaba illustrata in dieci pagine. Sembra la trama di un TED Talk su come l’intelligenza artificiale salverà la creatività umana dall’oblio. Peccato che la realtà, come spesso accade, abbia un senso dell’umorismo piuttosto crudele. Perché sì, puoi scrivere “raccontami la storia di un pesce gatto in crisi di socializzazione” e Gemini ti confezionerà un racconto illustrato con tanto di voce narrante. Ma poi quel pesce, a pagina cinque, si sveglia con un braccio umano attaccato al fianco. E a quel punto, la magia si spezza. O meglio, si trasforma in un incubo surreale in salsa spaghetti code.

Genie 3 di Deepmind: il mondo sintetico come palestra per l’intelligenza artificiale generale

L’annuncio di Google DeepMind su Genie 3 è l’equivalente di gettare benzina su un fuoco già acceso nella corsa globale all’intelligenza artificiale generale. Altro che innocue simulazioni o giocattoli per sviluppatori. Qui siamo di fronte a qualcosa di strutturalmente diverso, un punto di svolta mascherato da esperimento di laboratorio: un foundation world model capace di generare ambienti 3D interattivi realistici in tempo reale, con memoria temporale, coerenza fisica, ed eventi ambientali modificabili via prompt. Il tutto a partire da una semplice descrizione testuale. Non è un videogioco. Non è un film. È un universo addestrabile e sì, anche un test di resistenza per la nostra sanità mentale digitale.

Torneo di scacchi tra AI: Google accende il fuoco della guerra algoritmica

Non è il solito paper pubblicato su arXiv tra un cappuccino e una call con gli investitori. È un’arena digitale. Martedì Google lancia il primo torneo di scacchi tra intelligenze artificiali linguistiche, nel tentativo di rispondere a una domanda tanto semplice quanto destabilizzante: le AI pensano davvero, o stanno solo scimmiottando i pattern dei dati su cui sono state nutrite come oche nel foie gras? L’evento si inserisce nella nuova Kaggle Gaming Arena, il primo palcoscenico competitivo dove i modelli linguistici vengono messi alla prova in ambienti reali, in tempo reale, sotto pressione. Un campo di battaglia in cui non c’è spazio per hallucination poetiche, ma solo per decisioni strategiche.

Google, Deepmind e la caccia ai bug: quando l’intelligenza artificiale diventa il nuovo zero-day hunter

La notizia è questa: Google ha ufficialmente sguinzagliato la sua intelligenza artificiale “Big Sleep” alla ricerca di vulnerabilità nei software open source. Il risultato? Venti bug scovati, tutti silenziosamente elencati senza fanfara, perché le patch devono ancora arrivare. Ma il messaggio è chiarissimo: le AI non stanno più giocando a fare i co-pilot, stanno già scrivendo i primi exploit — e li stanno trovando senza una riga di prompt umano. Quello che finora era teoria accademica, o al massimo una dimostrazione in PowerPoint, è ora un fatto documentato. Un punto di svolta.

Big Sleep è il frutto della collaborazione tra DeepMind e il team di sicurezza più letale di Google, Project Zero. Un’accoppiata alla Batman e Alfred, con tanto di laboratorio segreto. Heather Adkins, VP della sicurezza Google, ha annunciato ufficialmente il primo lotto di vulnerabilità segnalate, nomi noti inclusi: FFmpeg, ImageMagick, librerie audio e video che girano sotto centinaia di applicazioni. Nessun dettaglio sulla gravità, per ora. Ma la notizia non è nei dettagli. È nell’esistenza stessa di questi risultati.

La morte dell’algoritmo: come il Seo è stato divorato dal Geo, e perché dovresti startene sveglio la notte

Sono vent’anni che ogni azienda che respira un bit su Internet, dal pizzicagnolo con la pagina Facebook fino al colosso che vende frigoriferi su scala globale, ha una sola ossessione: Google. Nella sua forma più innocua, voleva solo dire rendere il tuo sito leggibile da uno spider, in modo che quando qualcuno ti cerca, ti trova. Ma se eri più ambizioso, pagavi Google per farti trovare anche da chi non ti cercava affatto. Più visibilità per te, più miliardi per loro. Un patto faustiano, ma col tasto “Promuovi”.

Poi c’è stato il terzo livello, quello che ha trasformato la psicogeografia del web: il SEO. Non un trucco, ma un’ideologia. Un’industria da 75 miliardi di dollari il cui unico scopo era piacere all’algoritmo. Non bastava essere online, dovevi essere ottimizzato. Quello che è seguito è stato un genocidio stilistico: titoli riscritti per la macchina, ricette diventate romanzi, descrizioni prodotto che sembravano manifesti elettorali per tostapane. Il web è diventato un incubo semiotico: testi scritti da umani per algoritmi che imitano gli umani. Tutto suona un po’ sbagliato, un po’ artefatto, un po’… uncanny.

Il Lapsus di Med-Gemini

Nel 2024, Google ha presentato Med-Gemini, una suite di modelli AI per la sanità in grado di generare referti radiologici, analizzare dati clinici ed elaborare immagini mediche complesse. Ma tra gli esempi celebrati nel paper di lancio, la AI ha “diagnosticato” un’infarto nel “basilar ganglia” — una struttura cerebrale che non esiste. L’errore, una fusione inesistente tra “basal ganglia” (reale) e “basilar artery” (diversa e altrettanto reale), è passato inosservato sia nel paper sia nel blog post ufficiale. Dopo che il neurologo Bryan Moore ha segnalato pubblicamente la svista, Google ha modificato silenziosamente il blog, senza correggere la pubblicazione scientifica.

Deep Think in Gemini app

Google Deepmind e l’illusione della ragione artificiale: il caso Gemini 2.5 Deep Think

Il nome è già un programma di marketing. “Gemini 2.5 Deep Think”. È difficile non percepire in quell’accoppiata un’eco vagamente orwelliana, come se pensare profondamente fosse ormai un brand, un pacchetto da 250 dollari al mese, disponibile solo per chi può permettersi l’abbonamento Ultra. L’intelligenza artificiale più evoluta di Google, almeno secondo il colosso di Mountain View, sbarca ufficialmente sul mercato consumer nella sua forma più ambiziosa: un modello di ragionamento multi-agente capace di esplorare simultaneamente più ipotesi, metterle in concorrenza e infine scegliere la risposta migliore. Chi non lo vorrebbe come assistente personale? O meglio, chi può davvero permetterselo?

Google si adegua al codice di condotta AI UE: ma l’innovazione non si firma con una penna

Anche i giganti si inchinano, ma non senza mordersi la lingua. Dopo OpenAI, è il turno di Google: il colosso di Mountain View ha annunciato di aver firmato il Codice di condotta AI UE, la tanto dibattuta iniziativa volontaria che dovrebbe (in teoria) garantire lo sviluppo sicuro e responsabile dei cosiddetti modelli fondazionali nell’ambito europeo. Peccato che il sostegno, più che entusiasta, suoni come un “sì, ma con riserva”. E il sottotesto è chiarissimo: la firma è uno scudo diplomatico, non un atto di fede normativa.

SensorLM e il linguaggio segreto del corpo che google ha appena decifrato

C’è un nuovo lessico nel mondo dell’intelligenza artificiale. Non ha a che fare con parole dette, scritte o pensate. Non si legge in un libro né si sente da un podcast. È il linguaggio grezzo, sporco e impietoso del corpo umano, finalmente trasformato in frasi leggibili grazie a SensorLM, la nuova creatura di Google Research. Altro che LLM generalisti. Questa volta parliamo di un dizionario per le pulsazioni, i micromovimenti, le variazioni impercettibili del passo. La vera rivoluzione linguistica non riguarda ChatGPT o Gemini, ma il fatto che Google ora può raccontarti, in linguaggio naturale, cosa stavi facendo quando il tuo cuore ha saltato un battito alle 03:47 di notte.

SensorLM è un modello fondamentale, pre-addestrato su quasi 60 milioni di ore di dati biometrici raccolti in meno di tre mesi, da oltre 100.000 persone in 127 paesi. Non è una questione di scale, è una dichiarazione di egemonia. La fonte? Gli onnipresenti Fitbit e Pixel Watch. Un’armata silenziosa di polsi connessi ha alimentato un’infrastruttura semantica che ora può descrivere il corpo umano come se fosse un libro aperto. Il dettaglio che colpisce non è solo la quantità mostruosa di dati, ma il fatto che Google abbia trasformato quel materiale prelinguistico in narrazione coerente, precisa e contestualizzata. Come se un accelerometro potesse finalmente scrivere poesie.

Google infila l’intelligenza artificiale dentro Chrome: recensioni sintetiche e shopping profilato per conquistare il browser del futuro

“Scoprire se un negozio è affidabile sarà come chiedere a un amico, ma con meno emozioni e più algoritmi.” Così Google annuncia, con tono quasi amichevole, la sua ultima trovata: recensioni generate da intelligenza artificiale direttamente in Chrome, disponibili per ora solo in inglese e solo su desktop.

L’obiettivo dichiarato è aiutare gli utenti americani a capire dove convenga comprare, ma quello reale è decisamente più profondo. Più che un semplice aggiornamento del browser, si tratta di un’operazione chirurgica per innestare l’AI nelle vene del web. Non più solo risultati di ricerca. Ora Chrome entra a gamba tesa nella shopping experience, puntando dritto al cuore del retail digitale. Un click sull’icona accanto alla barra degli indirizzi e si apre una sintesi: qualità del prodotto, servizio clienti, politica di reso, prezzi. Non serve più cercare tra mille recensioni.

L’algoritmo ha già deciso cosa ti interessa sapere. E chi gliel’ha detto? Un mix di fonti dal pedigree curioso: Bazaarvoice, Trustpilot, ScamAdviser, Reputation.com. Un’accozzaglia di rating engine, piattaforme di feedback e sistemi reputazionali, tutti distillati in un’unica voce sintetica e insindacabile.

Google ha già vinto. La competizione generativa è un’ossessione per chi non capisce il potere della noia

La cosa più pericolosa nel mondo della tecnologia non è l’innovazione. È la distrazione. E mentre il mondo intero fissa il cielo aspettando che OpenAI liberi l’AGI come se fosse l’Apocalisse Digitale, Google stampa 28 miliardi di dollari di profitto con la freddezza glaciale di un adulto che osserva un’adolescente agitato fare breakdance al centro di una sala riunioni.

I numeri, come sempre, non mentono. Nel secondo trimestre del 2025 Alphabet ha riportato 96,4 miliardi di dollari di ricavi, in crescita del 14% anno su anno. La ricerca, quel dinosauro che secondo certi commentatori sarebbe ormai estinto, ha generato 54,2 miliardi. Cloud è cresciuto del 32%. CapEx? Alzato a 85 miliardi. Non c’è stata una diretta streaming. Nessun tweet criptico stile Silicon Valley messianica. Nessuna influencer che si svena in diretta per mostrare un prompt miracoloso. Solo profitti, infrastruttura, dominio silenzioso.

Vibe Coding rivoluziona lo sviluppo: Google Opal entra in campo

l mondo del vibe coding non è un’altra moda passeggera. Ora che Google ha lanciato Opal in versione beta negli Stati Uniti tramite Google Labs, la battaglia per democratizzare la creazione di app AI è entrata nel vivo

. Finalmente chiunque può descrivere a parole il proprio sogno di app e vederlo materializzarsi in un mini web app funzionante, senza bisogno di scrivere una riga di codice.

Google Web Guide: L’AI che vuole organizzare il caos dei risultati di ricerca

Google ha deciso di mettere ordine nel caos che lui stesso ha creato. Lo chiama Web Guide, un esperimento in Search Labs che promette di trasformare la classica pagina dei risultati in qualcosa di molto più raffinato. Non più l’elenco infinito di link, ma una mappa mentale alimentata da intelligenza artificiale, con i contenuti raggruppati per “aspetti specifici” di una query. Suona sofisticato, quasi accademico, ma la verità è più cruda. Google ha capito che il vecchio modello di ricerca sta diventando obsoleto nell’era dei chatbot conversazionali e della SGE, e questa è la sua mossa per non restare indietro.

Google Photos AI: la creatività diventa una questione di Algoritmi

È un colpo da maestro, o forse una mossa disperata, quella che Google ha appena giocato con Google Photos AI. La piattaforma con oltre 1,5 miliardi di utenti, fino a ieri un archivio patinato di ricordi digitali, si trasforma improvvisamente in un laboratorio di creatività generativa. E non è solo un aggiornamento tecnico: è un messaggio chiaro al mondo. L’intelligenza artificiale non è più un gadget per smanettoni, è un passatempo per masse annoiate. Perché? Perché quando puoi trasformare la foto del tuo cane in un’animazione 3D con un click, l’AI smette di essere misteriosa e diventa un giocattolo.

Aeneas DeepMind e la nuova archeologia digitale che sta cambiando la storia di Roma

Brillante, arrogante e con quel tocco di inevitabile superiorità che solo la Silicon Valley sa mettere in scena, Google DeepMind ha deciso che per capire il futuro dell’intelligenza artificiale bisogna scavare nel passato. Non quello recente, fatto di Big Data e algoritmi distribuiti, ma quello delle iscrizioni latine scolpite su pietra due millenni fa. Il nuovo modello AI, battezzato con un nome tanto altisonante quanto ambizioso, Aeneas DeepMind, promette di rivoluzionare la comprensione dei testi antichi. Qualcuno direbbe che è un vezzo da accademici, ma i numeri raccontano un’altra storia. Perché quando un colosso da miliardi di dollari investe per capire se l’autobiografia di Augusto fu incisa tra il 10 e il 20 d.C., il punto non è l’archeologia. Il punto è il controllo del linguaggio, e con esso, della conoscenza.

Il codice segreto dell’Europa che divide i giganti dell’AI: Microsoft strizza l’occhio, Meta sbraita e Google finge di dormire

C’è una frase che nessuno a Menlo Park vuole sentire ripetere a voce alta, ma che a Bruxelles cominciano a sussurrare come un mantra: “Il futuro dell’intelligenza artificiale passerà anche dal controllo politico”. E non è un’iperbole da burocrate con troppi caffè. L’EU AI Act non è più soltanto un documento tecnico, è diventato un campo di battaglia culturale e strategico, e il nuovo Codice di Pratica per i modelli di intelligenza artificiale di uso generale sta rapidamente trasformandosi nel simbolo di chi sta scegliendo di collaborare e di chi vuole continuare a giocare da anarchico californiano.

Come dominare l’AI Mode di Google e trasformare la SEO generativa in un’arma letale

“Il futuro del web non è più una pagina di link blu, ma un cervello che decide per te cosa è utile”. Non è marketing, è la nuova regola del gioco scritta da Google con il suo AI Mode e con gli AI Overviews che stanno divorando la vecchia Seo come un algoritmo affamato. Il motore di ricerca non si limita più a restituire risultati, interpreta, sintetizza, connette i puntini e ti offre una risposta già confezionata. Il problema? Gli utenti sembrano apprezzarlo. O, per essere più precisi, sembrano smettere di cliccare.

Google AI licensing è la vera resa di mountain view ai media o solo l’ennesimo trucco da gigante assediato

Google che chiede ai giornali un accordo di licensing per nutrire la propria intelligenza artificiale suona quasi ironico, se non fosse tragicamente coerente con la traiettoria del gigante di Mountain View. Per anni ha agito come un predatore elegante, raschiando titoli e snippet per alimentare Google News e i risultati di ricerca, mentre i publisher osservavano impotenti il drenaggio costante di lettori e inserzionisti. Oggi, però, qualcosa è cambiato. Non perché Google si sia improvvisamente scoperta etica, ma perché la fine dell’accesso illimitato ai dati è imminente. David Gehring l’ha detto senza mezzi termini: senza licenze, non ci sarà più sangue da mettere nelle vene del mostro AI. Una frase che merita di essere incorniciata nelle sale riunioni delle testate che ancora discutono se resistere o collaborare.

Update: Google e OpenAI sfidano la matematica e vincono dove gli umani falliscono

Questa è la frase che fa scattare il sorriso compiaciuto nei corridoi dei laboratori di ricerca e il brontolio scettico nei dipartimenti di matematica. Google Deepmind ha giocato la partita rispettando ogni regola dell’Olimpiade Matematica Internazionale, quella sacra competizione dove solo un’élite di giovani prodigi riesce a portare a casa una medaglia d’oro. Il modello Gemini Deep Think ha risolto cinque problemi su sei, performance da medaglia ufficiale, seguendo le stesse condizioni imposte agli umani: quattro ore e mezza di tempo, niente accesso a risorse esterne, dimostrazioni scritte e coerenti. Non è un esercizio da laboratorio, è un colpo al cuore dell’orgoglio accademico.

Perplexity contro Google il nuovo impero della ricerca si costruisce a colpi di intelligenza artificiale e capitali miliardari

Non è un semplice motore di ricerca, è un avvertimento. chi ancora pensa che l’intelligenza artificiale sia solo un giocattolo da geek non sta guardando i numeri. Diciotto miliardi di dollari di valutazione in meno di due anni, un’ascesa che umilia anche i grafici delle startup più iconiche della silicon valley.

A Framework for Evaluating Emerging Cyberattack Capabilities of AI

Chi continua a sprecare fiato parlando di “apocalisse AGI” dovrebbe fare un bagno di realtà. Il problema immediato non è l’ipotetico cervello digitale che un giorno deciderà di schiacciarci. Il problema, adesso, è che l’intelligenza artificiale sta rendendo i cyberattacchi economici, scalabili e automatizzati. Sta ribaltando le regole del gioco non con colpi di genio alla Matrix, ma abbassando drasticamente la barriera d’ingresso per chiunque voglia fare danni. Questo è il messaggio che DeepMind ha messo nero su bianco in uno dei documenti più inquietanti e lucidi dell’anno. Ed è esattamente il tipo di verità che il 90% dei board preferisce ignorare finché non è troppo tardi.

Google fa telefonate al posto tuo senza chiedere il permesso

Immagina un’intelligenza artificiale così avanzata da prendere il telefono e chiamare al tuo posto, come un assistente personale senza stipendio ma con una pazienza infinita. Google ha appena alzato l’asticella della comodità e della paranoia tecnologica, annunciando che la sua AI può ora effettuare chiamate reali per conto dell’utente. No, non è fantascienza da film di serie B, ma la nuova frontiera del “delegare” in salsa digitale, dove Siri e Alexa sembrano il telefonino di un bambino rispetto a un centrale telefonica automatizzata.

Google soffia Windsuf a OpenAI per 2.4 miliardi: il codice diventa campo di battaglia nell’intelligence devsecops

Google ha appena lanciato un guanto di sfida che suona come una sinfonia sinistra nelle orecchie di GitLab e JFrog. Si è presa Windsurf, startup specializzata in generazione di codice via AI, con una mossa chirurgica da 2.4 miliardi di dollari. No, non si tratta solo di un’acquisizione tecnologica. Qui siamo davanti a una dichiarazione di guerra nel cuore del DevSecOps, quel crocevia impazzito dove sviluppo, sicurezza e operations ballano sulle note dissonanti della produttività automatizzata. Un settore che, in piena esplosione, ha trovato nelle AI generative e negli agenti software autonomi la sua nuova arma nucleare.

Google NotebookLM reinventa il bloc-notes: la SGE entra in modalità editoriale

NotebookLM non è più soltanto l’ennesimo assistente AI che promette di aiutarti a prendere appunti meglio. Da oggi si comporta come un media. Un aggregatore autorevole. Un portale culturale travestito da app. Google ha appena annunciato l’introduzione dei cosiddetti “notebook in vetrina”, una selezione di contenuti editoriali curati da testate come The Economist e The Atlantic, accademici di varie discipline, autori, ricercatori e perfino Shakespeare, che evidentemente non aveva firmato alcun NDA. È il momento in cui l’AI da strumento diventa contenuto. O, per dirla come piace a Mountain View, da modello linguistico si trasforma in destinazione esperienziale.

Xiaomi sferra un pugno negli occhi al mercato degli occhiali AI

Sorpresa. Non da poco, e non da tutti. Xiaomi, la multinazionale cinese delle meraviglie elettroniche, è appena entrata a gamba tesa nel mercato degli occhiali intelligenti. Un settore che molti definiscono ancora di nicchia, ma che in realtà è il nuovo terreno di scontro per chi vuole presidiare il futuro del computing personale. Una guerra silenziosa fatta di microchip, lenti e assistenti vocali, dove chi ha il controllo dell’ecosistema può riscrivere le regole del gioco. Sì, perché qui non si vendono solo gadget: si piantano bandiere nel campo minato dell’intelligenza artificiale indossabile.

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