Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Google trasforma la ricerca in un podcast: l’AI diventa il tuo nuovo speaker personale

Hai digitato una query su Google. Ti aspettavi il solito elenco di link, quella noiosa gerarchia di SEO tossico, titoli clickbait e snippet semi utili. Invece, all’improvviso, una voce calda ti sussurra nelle orecchie una sintesi personalizzata, confezionata da un’intelligenza artificiale addestrata a suonare come un mix tra David Attenborough e il tuo barista di fiducia. No, non è fantascienza. È l’ultima trovata del colosso di Mountain View: trasformare le ricerche in un podcast istantaneo. Automatico. Sintetico. Inevitabile.

Google Weather Lab il ciclone perfetto: l’intelligenza artificiale prevede l’uragano, ma chi prevede l’intelligenza artificiale?

Se la Silicon Valley è la nuova Babilonia, oggi il suo oracolo si chiama DeepMind. E no, non sta leggendo i fondi di caffè: sta leggendo i venti, gli uragani e le correnti tropicali. Google ha appena annunciato il lancio di Weather Lab, una piattaforma che mostra al mondo come il suo modello sperimentale di previsione meteorologica, basato su intelligenza artificiale, possa battere — anzi, aggirare elegantemente — i modelli fisici tradizionali. Il bersaglio? I cicloni tropicali, che da fenomeni atmosferici stanno diventando test per stressare la soglia tra pubblico e privato, tra algoritmo e scienza, tra previsioni e controllo.

Android 16 ci guarda vivere: aggiornamenti in tempo reale, o solo il teatro dell’effimero?

Chiunque abbia mai fissato la piccola barra di stato di uno smartphone durante l’attesa di una pizza o di un Uber in ritardo sa bene quanto il tempo possa trasformarsi in un’entità maligna. Con Android 16, Google vuole redimere questa microfrustrazione quotidiana, lanciando finalmente i Live Updates sui Pixel, e promettendo – come sempre – una rivoluzione.

Ma sotto l’apparenza di una novità utile, si cela l’ennesimo rituale liturgico del gigante di Mountain View: un’imitazione dell’iPhone con qualche funzione in più, un’estetica un po’ più snella, un’eco di Material 3 che ancora non si vede ma aleggia come un fantasma promesso.

Google arma Gemini di orologio e volontà: scheduled actions ecco perché l’AI non dimentica più nulla

Nel gioco a scacchi tra Google e OpenAI, la prossima mossa si gioca sul tempo. Non nel senso generico della velocità, dove ormai tutto si misura in nanosecondi computazionali, ma nel senso umano del calendario, della pianificazione, delle piccole promesse che dimentichiamo e delle abitudini che ci raccontano chi siamo. E Google, con la sua Gemini, ha deciso di diventare un assistente con memoria e agenda. Altro che segretaria virtuale: adesso sa anche quando ricordartelo.

La funzione si chiama “scheduled actions” e sembra innocua, quasi banale. Ma chi conosce la guerra delle AI sa che sotto ogni rollout in punta di codice si nasconde una visione strategica. Tradotto: l’utente potrà dire a Gemini “ricordamelo domani alle 18” o “ogni lunedì mandami idee per il blog” e l’AI lo farà. Semplice? Solo in apparenza. Perché dietro quel “lo farà” c’è il passo definitivo verso un’AI che non reagisce più, ma agisce. È questo il punto. Non è un chatbot che risponde. È un agente che prende iniziative — su tua delega, ovvio, ma comunque in autonomia operativa.

Gemini 2.5 pro fa il salto quantico che Google doveva al mondo dell’intelligenza artificiale

Ogni attore ha il suo momento di gloria, il suo rilascio “rivoluzionario”, la sua conferenza patinata da annunciare tra un keynote e una demo pompata a razzo. Ma oggi, finalmente, Google sembra aver smesso di rincorrere gli altri per tornare a fare scuola. Con il rilascio della versione aggiornata in anteprima di Gemini 2.5 Pro, siglata 06-05, Mountain View alza l’asticella in modo tangibile. E sì, stavolta i benchmark non mentono: stavolta è roba seria.

Partiamo da dove il dolore si sentiva di più: fuori dal mondo del coding, le release precedenti della famiglia Gemini 2.5 sembravano avvolte da una nebbia di mediocrità. Accuse non troppo velate su Reddit, sussurri negli ambienti dev più esigenti: “03-25 era più brillante”, “le nuove release hanno perso smalto”, “troppa ottimizzazione, poca anima”. Bene: con 06-05, Google prova a rimediare. E lo fa con un’operazione chirurgica sul linguaggio, sulla formattazione delle risposte e udite udite su una creatività finalmente leggibile, non più solo impressa nei prompt di marketing.

Google mette l’intelligenza artificiale in tasca: l’app che non volevamo, ma che adesso tutti vogliono

In un’epoca dove tutto è “cloud-first” e l’AI è sinonimo di raccolta dati, Google ha fatto qualcosa di profondamente controintuitivo, quasi punk: ha rilasciato un’applicazione che non ha bisogno di internet, non ti spia, e non condivide niente con i suoi server. Sì, stiamo ancora parlando di Google, e no, non è uno scherzo. Si chiama AI Edge Gallery e sembra un errore di marketing. Eppure, è proprio quello che mancava.

Google accetta di pagare mezzo miliardo per l’antitrust, ma resta padrona del gioco

Chi pensa che $500 milioni in dieci anni siano una vera punizione per Alphabet dovrebbe prendersi un caffè più forte. È il costo di un paio di campagne marketing mal riuscite o di un aggiornamento di Android andato storto. Ma questa non è la parte più interessante della storia.

La notizia è che Google, colosso tra i colossi, ha deciso di risolvere un’azione legale dei suoi stessi azionisti pension fund del Michigan e della Pennsylvania, mica hacker ucraini che l’accusavano di averli esposti a rischi antitrust. E attenzione, non stiamo parlando delle cause del DOJ (Department of Justice), quelle sulle pratiche monopolistiche nella search e nell’adtech, dove Washington ha messo i tacchi a spillo. No, qui si parla di un’altra arena: la responsabilità fiduciaria verso gli azionisti.

Samsung vuole uccidere Google: l’alleanza con Perplexity è il colpo di grazia che nessuno si aspettava

Certe notizie non arrivano dai comunicati stampa. Le si intercetta nei corridoi, nei documenti “confidenziali”, negli sguardi dei dirigenti in trasferta in Corea. Ma quando Samsung e Perplexity AI iniziano a flirtare pubblicamente, con trattative così avanzate da sfiorare la firma, è chiaro che qualcosa di grosso sta accadendo. Altro che “Bixby 2.0”. Qui si parla di una guerra fredda tra giganti della tecnologia, e Google sta per ricevere il colpo più sottile, ma più letale degli ultimi dieci anni.

Google sotto attacco: la fine del monopolio o solo un’altra mossa da teatro regolatorio?

Benvenuti nell’era in cui anche i dinosauri digitali iniziano a sudare freddo. No, non è un altro aggiornamento dell’algoritmo di ranking. È un giudice federale americano che, finalmente, sembra aver capito che Google non è solo un motore di ricerca. È il motore. Il telaio. Il carburante. E l’autista dell’intero veicolo informativo globale. Ma ora, proprio quel veicolo rischia di finire smontato pezzo per pezzo.

La keyword di oggi è: monopolio. Le secondarie? Google Chrome, AI generativa, distribuzione della ricerca. Il palcoscenico è quello della “remedies phase” del processo che vede Google accusata di aver mantenuto illegalmente il suo dominio nella ricerca online. Il giudice Amit Mehta, apparentemente afflitto da un raro rigurgito di pragmatismo, ha cominciato a mettere in discussione le proposte sul tavolo. E quando un giudice federale definisce la cessione di Chrome “più pulita ed elegante”, attenzione: il colosso sente davvero il terreno tremare sotto i piedi.

Google abbandona l’AI offline: il colosso del cloud non vuole che pensiamo senza connessione

Google ha deciso che no, non ti meriti l’intelligenza artificiale offline.
Non più, almeno.
Il toolkit che permetteva di eseguire modelli open-source localmente, in edge, senza cloud, è stato abbandonato. Smantellato. Eliminato con la nonchalance tipica delle Big Tech quando qualcosa diventa troppo utile per essere libero.

Gemini di Google trasforma i video su Drive in testi intelligenti: l’inizio della fine per chi guarda ancora i meeting

C’è un silenzioso ma potentissimo colpo di stato in atto nei corridoi digitali di Google Workspace. Lo chiamano Gemini in Drive, e la sua missione è semplice quanto devastante per l’antico rituale del “guardarsi il video della riunione persa”. Ora lo fa lui. Lo guarda lui. E ti dice anche quello che ti serve sapere, senza che tu debba perdere mezz’ora della tua vita a fissare slide mosce e volti smarriti in videocall.

La novità è semplice nella sua superficie ma profonda nel suo impatto: Gemini ora riassume anche i video archiviati su Google Drive, dopo aver già colonizzato documenti e PDF con le sue sintesi algoritmiche. C’è un chatbot, ovviamente, con quella faccia finta-amichevole da assistente che “ti aiuta”, ma dietro c’è il motore semantico di Google che comincia a comprendere i contenuti visivi e trasformarli in azione testuale.

Gemini in Chrome: la finta rivoluzione dell’AI da browser, l’alternativa al Dior Cruise

Non mi hanno invitato al party privato di Dior Cruise a Villa Albani. Né me, né mia sorella. Una mancanza imperdonabile, lei mi ha detto questione di gerarchia, Bho..sarà il mio outfit inadeguato… cosi’ che ho deciso di sublimare dedicando la mia serata, con gli avanzi della festa di ieri sera, alla versione beta di Gemini in Chrome, l’ultima trovata di Google per convincerci che l’AI non è solo un hype, ma una presenza “agente”, onnisciente e pronta a servire. Spoiler: no, non lo è. Ma ci stanno lavorando, e molto seriamente.

L’integrazione di Gemini dentro Chrome attualmente disponibile solo per gli utenti AI Pro o Ultra e solo sulle versioni Beta, Dev o Canary del browser è presentata come il primo passo verso un’esperienza “agentica”, ovvero un’intelligenza artificiale che non si limita a rispondere, ma che agisce. L’illusione della proattività. L’assistente che “vede” ciò che c’è sullo schermo, e lo commenta. Tipo il tuo collega passivo-aggressivo che legge ad alta voce ogni riga di codice che sbagli.

Video senza anima, audio senza coscienza: la realtà di Google Veo 3

Lanciato da Google durante l’I/O con la solita retorica transumanista da Silicon Valley “Stiamo entrando in una nuova era della creazione” ha detto il VP di Gemini, Josh Woodward, col tono di chi presenta una nuova bibbia Veo 3 è stato mostrato come il Santo Graal della video-AI. Ma dietro gli slogan, il reale potere di questo strumento sta nella capacità di generare… spazzatura ipnotica. E lo fa benissimo.

Google dice che è dominante (ma solo quando gli conviene)

La schizofrenia narrativa di Google ha raggiunto vette degne di un thriller legale. In aula, davanti al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, il colosso di Mountain View piange miseria, sostenendo di essere assediato da concorrenti agguerriti come OpenAI e da una nuova generazione di motori di ricerca spinti dall’intelligenza artificiale. Ma, quando si tratta di vendere pubblicità – cioè fare veri soldi – la melodia cambia: improvvisamente Google diventa una potenza inarrestabile, un canale obbligato per chiunque voglia raggiungere un consumatore connesso.

Il problema è che entrambi i racconti non possono essere veri contemporaneamente, a meno che non si accetti l’idea che Big Tech viva in una realtà quantistica, dove può essere monopolista e vittima nello stesso istante, a seconda dell’osservatore.

Google scava la fossa ai publisher: benvenuti nel furto algoritmico legittimato

Nel teatrino digitale chiamato Google I/O, dove ogni anno si spaccia il futuro come progresso inevitabile, è andato in scena l’ennesimo colpo di mano ai danni dei produttori di contenuti: l’introduzione su larga scala della famigerata AI Mode la nuova interfaccia chatbot-style che sostituisce la ricerca classica con un blob generativo infarcito di “risposte intelligenti”. La parola chiave è: risposte, non link. Tradotto: meno click ai siti, più tempo dentro Google.

Così il motore di ricerca più potente del mondo si trasforma definitivamente in un recinto. Non ti porta più da nessuna parte, ti tiene dentro, ti mastica e poi ti sputa addosso una sintesi addestrata sui contenuti di altri. Magari i tuoi.

Google lancia NotebookLM per Android 

NotebookLM mobile: la voce dell’AI che ti racconta i tuoi appunti (e ti ascolta meglio di HR)

Google ha deciso di infilarsi anche nelle tue tasche, letteralmente. Dopo aver dato vita a NotebookLM come strumento AI “studioso” da scrivania, adesso lo piazza nel tuo Android e dal 20 maggio anche su iPhone e iPad con un’app che trasforma i tuoi documenti in voci sintetiche da podcast. Sì, hai letto bene: il tuo report trimestrale letto da un’intelligenza artificiale mentre sei in palestra. O mentre fingi interesse durante una riunione su Zoom.

AlphaEvolve Google: l’IA che cambia le regole della matematica e della tecnologia

Google ha recentemente svelato AlphaEvolve, un agente AI destinato a rivoluzionare il mondo dell’informatica e della matematica, promettendo di ottimizzare algoritmi e scoprire soluzioni innovative. Alimentato dalla potente piattaforma Gemini, AlphaEvolve non si limita a essere un semplice strumento di calcolo, ma è progettato per identificare e migliorare le idee più promettenti nel campo della ricerca algoritmica. Non si tratta solo di un’altra IA “intelligente”, ma di un agente che potrebbe essere un vero e proprio spartiacque nelle tecnologie moderne, spaziando dalla progettazione di chip e data center all’ottimizzazione di processi complessi come l’addestramento delle intelligenze artificiali.

Google vuole comprarsi il futuro

Senza nemmeno suonare il gong, Google entra nella gabbia dell’intelligenza artificiale con l’ennesima trovata, mascherata da filantropia tecnologica: l’AI Futures Fund. Un nome da romanzo cyberpunk di serie B, ma con dentro il solito schema di colonizzazione strategica: capitali, risorse, controllo. Questa volta però non si parla di acquisizioni muscolari alla “dammi la tua startup e ti compro pure il cane”, ma di una seduzione più sottile. Il fondo non ha scadenze, non segue coorti, non chiede pitch al minuto. È sempre aperto, sempre pronto. Tipo l’occhio di Sauron, ma con badge di Google Cloud.

Gemma, l’AI da 150 milioni di download: il cavallo di Troia di Google per conquistare l’open-source

Google ha appena piazzato un colpo da maestro (o da illusionista, dipende da quanto sei cinico): i modelli Gemma, la loro linea di AI open-source “lightweight”, hanno superato i 150 milioni di download. Un numero che fa scena, attira le luci dei riflettori e fa impazzire le dashboard degli sviluppatori su Hugging Face, Kaggle, Colab e compagnia cantante. Ma prima di far partire la ola, respiriamo un attimo. Perché dietro il marketing ben oleato, c’è ben altro da dire.

Google paga 1,375 miliardi per la privacy: un bel risarcimento per una causa già persa

Quando si parla di privacy, Google non è certo estraneo a sollevare polveroni, ma stavolta il gigante della Silicon Valley ha dovuto fare i conti con la giustizia texana. Il procuratore generale del Texas, Ken Paxton, ha annunciato che Google ha accettato di sborsare ben 1,375 miliardi di dollari per risolvere una causa che l’accusava di violare la privacy dei dati dei propri utenti. Una somma che fa sembrare “piccolo” l’importo che ha dovuto pagare Meta lo scorso luglio, in un caso simile riguardante il riconoscimento facciale.

Chrome ti legge le notifiche, ma per il tuo bene (forse)

Il mondo digitale, come ogni bar malfamato di Caracas, ha i suoi borseggiatori. Solo che qui non usano le mani, ma le notifiche. Quelle stesse notifiche che ti compaiono sullo smartphone alle tre di notte con promesse oscene di guadagni facili, antivirus miracolosi e principi nigeriani in cerca d’amore. Google ha deciso di affrontare questa fiera del click truffaldino con una mossa che sa di rivoluzione (ma con il solito retrogusto di controllo totale): Chrome su Android ora usa intelligenza artificiale on-device per analizzare le notifiche e sputtanare in tempo reale quelle truffaldine. Tutto questo, ovviamente, senza mandare nulla ai server centrali. Giurano.

Generatore di video da immagini AI di Google debutta sugli smartphone Honor

Hai presente quando pensavi che l’AI mobile fosse solo una scusa per filtri da influencer? E invece Google piazza un colpo da ko con il suo generatore di video da immagini, integrato direttamente nei nuovi smartphone Honor. Un lancio che sa di bivio tra “wow” e “mah, serviva proprio?” e che promette di trasformare ogni foto in un mini‐film da festival.

Google Assediata: Antitrust, AI e il tramonto del monopolio della ricerca

Questa estate a Mountain View non serviranno solo condizionatori. Serviranno avvocati, lobbisti e un discreto quantitativo di ansiolitici. Nella sede centrale di Google, l’aria si sta facendo densa di preoccupazioni, non solo per l’aria condizionata mal tarata, ma per il rischio concreto di un ridimensionamento epocale del suo core business: la ricerca.

Dopo un processo durato tre settimane, che si è chiuso a Washington con toni da processo storico (perché in effetti lo è), Google è in attesa della decisione di un giudice federale che potrebbe stravolgere le fondamenta economiche su cui l’azienda ha costruito il suo impero. Non è più questione di se, ma di quanto e come il giudice vorrà tagliare le unghie al colosso della Silicon Valley. E non parliamo di dettagli tecnici, ma del cuore pulsante di Alphabet: il motore di ricerca.

Crollo Google: l’inizio della fine o solo un campanello d’allarme?

Sette percento. In una giornata. Per un’azienda come Google, pardon Alphabet, non è un piccolo raffreddore da mercato: è una febbre improvvisa, di quelle che ti costringono a fermarti e domandarti se è solo influenza o l’inizio di qualcosa di più serio. Il tonfo è avvenuto dopo la testimonianza di Eddy Cue, alto dirigente Apple, in un’aula di tribunale a Washington. Cue, con la solennità tipica di chi sa che sta dicendo qualcosa di potenzialmente storico, ha ammesso che per la prima volta in assoluto il volume di ricerca su Safari – dove Google è ancora il motore di default è diminuito. Non rallentato. Non stagnato. Diminuito.

Questa frase, lanciata in aula quasi come una bomba ad orologeria, ha avuto un eco immediato a Wall Street. Il mercato non ama le sorprese, e meno ancora ama i segnali di declino sistemico. Ma il punto è: davvero è una sorpresa?

Intelligenza artificiale sull’orlo del blackout: Google lancia l’allarme infrastrutturale che nessuno vuole ascoltare

Powering a New Era of American Innovation

La narrativa sulla corsa all’intelligenza artificiale ha sempre avuto due protagonisti: chi costruisce i modelli e chi li alimenta. Ma ora Google cambia bruscamente il copione e ci sbatte in faccia una realtà che Silicon Valley e Washington sembravano troppo impegnate a ignorare: l’AI sta prosciugando la rete elettrica, e il collasso non è più una distopia cyberpunk ma una scadenza tecnica misurabile in megawatt.

Nel suo ultimo atto da gigante responsabile o, se preferite, da monopolista in preda a panico sistemico, Google ha pubblicato una roadmap energetica in 15 punti per evitare che il futuro dell’AI venga spento da un banale blackout. Non si parla più solo di chip, modelli linguistici o investimenti in data center: il vero nodo è la corrente, l’infrastruttura fisica, i cavi, i trasformatori e soprattutto le persone che li fanno funzionare. Perché senza una rete elettrica moderna e resiliente, anche il più potente dei modelli transformer non è altro che un costoso fermacarte digitale.

Controllo Genitoriale e l’Intelligenza Artificiale: Google Gemini e la Sicurezza dei Minori

Google, sempre più protagonista nell’universo della tecnologia, sta introducendo una nuova funzionalità per le famiglie, permettendo ai minori di utilizzare la sua intelligenza artificiale avanzata, Gemini, sui dispositivi Android monitorati tramite Family Link. Questo passo è stato annunciato tramite un’email inviata ai genitori, che presto vedranno i propri figli avere accesso a Gemini, un’IA progettata per assisterli in attività quotidiane come i compiti o la lettura di storie.

Google può comunque addestrare la sua AI con i tuoi contenuti, anche se hai detto no

Il tempismo è quasi comico. Da mesi circolano denunce, lamentele e segnalazioni sul fatto che i giganti del tech, Google in testa, abbiano usato i contenuti pubblici del web per addestrare le loro AI senza consenso esplicito. Eppure, la reazione collettiva era sempre la stessa: un’alzata di spalle ben coreografata. Tutti facevano finta di non sapere. Nessuno voleva toccare il vespaio. Dovevamo aspettare Bloomberg, ancora una volta, per vedere la bolla scoppiare in diretta.

Guida di Google al prompt engineering: il vangelo apocrifo dell’IA generativa

Nel mondo incerto dei Large Language Model, dove il confine tra genialità e delirio si gioca in pochi token, Google sgancia la bomba: un manuale di 68 pagine sul prompt engineering. Non è il solito PDF da policy interna. È la nuova Torah per chi maneggia IA come un alchimista contemporaneo, dove ogni parola può scatenare un miracolo… o un mostro.

La notizia completa (slides incluse) è qui: Google Prompt Engineering Guide

Google sfida Photoshop: ora Gemini ti cambia look e realtà in un clic

Google rilancia la sfida ad Adobe, Meta e OpenAI con un aggiornamento di Gemini che punta dritto al cuore dell’editing visivo. Da oggi, o meglio “nelle prossime settimane”, l’app Gemini sarà in grado di modificare direttamente immagini caricate dagli utenti o generate dall’AI stessa. Il tutto senza dover uscire dall’app o usare software terzi: è l’alba dell’editing nativo AI-driven secondo Mountain View.

Per capirci: carichi una foto tua, clicchi su “modifica” e puoi cambiare lo sfondo, aggiungere elementi, togliere persone, persino vedere che faccia avresti con i capelli viola. Fantascienza? No, solo la nuova normalità spinta al massimo dalla consumer AI.

Google rivoluziona la ricerca: arriva l’AI Mode, l’era dei link è finita?

Google ha appena lanciato una nuova funzionalità chiamata “AI Mode”, una modalità di ricerca che sostituisce i tradizionali risultati con risposte generate dall’intelligenza artificiale. Questa innovazione, alimentata dal modello Gemini 2.0, è ora disponibile per tutti gli utenti statunitensi iscritti a Google Labs, senza più necessità di lista d’attesa.

AI Mode si distingue dalle precedenti funzionalità come gli AI Overviews. Mentre questi ultimi offrono brevi riassunti sopra i risultati di ricerca, AI Mode fornisce risposte più dettagliate e personalizzate, integrando informazioni in tempo reale, dati di prodotti e attività commerciali locali.

Una delle caratteristiche principali è la capacità di gestire query complesse e multipartite. Ad esempio, è possibile chiedere: “Qual è la differenza tra le funzionalità di monitoraggio del sonno di un anello intelligente, uno smartwatch e un tappetino di tracciamento?”. AI Mode utilizzerà un approccio multistep per elaborare la risposta, cercando informazioni pertinenti e adattando la risposta in base ai dati trovati.

Inoltre, AI Mode introduce schede visive per luoghi e prodotti. Ad esempio, cercando “migliori negozi vintage per mobili mid-century modern”, verranno mostrati negozi locali con informazioni come valutazioni, recensioni, orari di apertura e dettagli promozionali.

Questa mossa di Google è vista come una risposta diretta alla crescente concorrenza di servizi come Perplexity e OpenAI’s ChatGPT, che offrono esperienze di ricerca basate sull’intelligenza artificiale . Con AI Mode, Google mira a mantenere la sua posizione dominante nel mercato della ricerca online, offrendo un’esperienza più interattiva e personalizzata.

Tuttavia, l’introduzione di AI Mode solleva anche preoccupazioni tra gli editori online, che temono una riduzione del traffico verso i loro siti a causa delle risposte generate dall’IA . Google sostiene che queste nuove funzionalità aumenteranno l’engagement degli utenti e forniranno un contesto migliore, ma resta da vedere come evolverà l’ecosistema della ricerca online.

Per ora, AI Mode è disponibile solo per gli utenti statunitensi iscritti a Google Labs. Non è ancora chiaro quando verrà esteso ad altri paesi, ma è probabile che Google stia monitorando attentamente l’adozione e il feedback degli utenti prima di un lancio globale.

Per ulteriori dettagli, è possibile consultare l’annuncio ufficiale di Google: (blog.google).

Apple e Google pronti al patto con il diavolo: Gemini dentro Siri, la rivoluzione silenziosa dell’IA su iPhone

Quello che si sta profilando all’orizzonte non è un semplice accordo tecnologico: è un armistizio tra titani, una tregua armata tra due delle aziende più potenti del pianeta. Google e Apple stanno per siglare un’intesa storica per integrare Gemini, il modello linguistico di Google, direttamente nei dispositivi iOS. Siri, la tanto vituperata assistente digitale di Apple, potrebbe finalmente evolversi e diventare qualcosa di più di una segreteria vocale di lusso. La conferma è arrivata in pieno processo antitrust, come spesso accade quando la verità salta fuori sotto giuramento: Sundar Pichai ha dichiarato che l’accordo con Apple per integrare Gemini dovrebbe chiudersi entro metà 2025. E il rollout? Entro fine anno.

Il sottotesto è chiaro: Apple non vuole restare schiacciata tra l’entusiasmo popolare per ChatGPT e la spinta tentacolare di Google. E se l’IA è il nuovo petrolio, Cupertino non intende comprarlo solo da un pozzo. La strategia è multi-modello, pluralista, e profondamente opportunistica. Craig Federighi lo aveva lasciato intendere già lo scorso anno: l’obiettivo è offrire agli utenti una scelta tra diversi modelli di IA, Gemini incluso. Questo spiega perché nell’ultima beta di iOS 18.4 sono comparsi riferimenti espliciti a “Google” come possibile opzione all’interno di Apple Intelligence. Non è un bug, è una bandiera piantata in territorio nemico.

Google aggiorna Gmail su mobile: ora puoi stravolgere tutto, con un tocco di IA

Google ha deciso di rimettere mano a Gmail su mobile, e come spesso accade, lo fa senza chiedere il permesso. Se sei un utente Android o iOS, preparati a trovarti un’interfaccia diversa, nuove trovate “intelligenti” e, ovviamente, una sottile ma inevitabile pressione a usare di più la loro AI. Gli aggiornamenti sono in rollout globale sia per gli account Workspace sia per quelli personali, quindi non sperare di scamparla.

Partiamo dal pezzo forte: i possessori di tablet Android e dei cosiddetti foldable (per chi ancora ci crede) riceveranno un’interfaccia Gmail finalmente quasi adulta. In modalità landscape ora puoi spostare liberamente il divisorio tra la lista delle email e la conversazione aperta. Vuoi vedere solo le email? Trascina tutto a sinistra. Vuoi vedere solo il contenuto? Spingi il divisore a destra. È un concetto di base talmente semplice che quasi ti chiedi come abbiano fatto a non implementarlo prima. Ah già, volevano tenere alto il tasso di frustrazione utente. A scanso di equivoci, l’animazione ufficiale che mostra il tutto in azione è una tristezza avvilente, ma se sei curioso, puoi dare un’occhiata qui.

Google Deepmind rilancia la sfida nella musica: nasce Lyra 2, l’IA che suona meglio di te

Non bastava qualche chitarrina stonata generata dall’intelligenza artificiale per mettere a soqquadro il già fragile ecosistema musicale, no. Google DeepMind ha deciso di alzare il volume (e l’asticella) presentando il suo nuovo prodigio: Lyria 2. Un upgrade spietato e chirurgico del suo Music AI Sandbox, pensato non per i soliti nerd da cameretta, ma per produttori, musicisti e cantautori professionisti che, guarda caso, cominciano a capire che l’IA non è più un giocattolo, ma un concorrente diretto sul mercato creativo.

Questa nuova versione di Lyria non si limita a generare canzoncine ascoltabili solo dopo sei gin tonic. Produce audio di qualità da studio, pensato per integrarsi senza cuciture in flussi di lavoro professionali. Parliamo di un salto quantico nella qualità dell’output: suoni puliti, dinamica curata, senso della struttura musicale… insomma, roba che non ti aspetteresti mai da una macchina, e invece eccoci qui a constatare che forse il chitarrista hipster del tuo gruppo può essere sostituito da un prompt di testo ben scritto.

Gemini 2.5 Pro: Un rapporto tecnico incompleto che non risponde alle aspettative sulla sicurezza

La recente pubblicazione del rapporto tecnico relativo a Gemini 2.5 Pro da parte di Google ha sollevato non poche polemiche, soprattutto per la sua scarsità di dettagli utili. Dopo settimane di attesa, il gigante di Mountain View ha finalmente rilasciato un documento che, tuttavia, lascia ancora molti interrogativi sulla sicurezza del suo modello. Come sottolineato da Peter Wildeford in un’intervista a TechCrunch, il rapporto in questione è troppo generico, al punto da risultare quasi inutile per una valutazione accurata della sicurezza del sistema.

L’assenza di dettagli chiave rende impossibile per gli esperti del settore capire se Google stia effettivamente rispettando gli impegni presi, e se stia implementando tutte le necessarie misure di protezione per garantire un utilizzo sicuro di Gemini 2.5 Pro. Il documento pubblicato non fornisce informazioni sufficienti a valutare se il modello sia stato sottoposto a test adeguati, né se le vulnerabilità potenziali siano state analizzate in modo rigoroso. In sostanza, non c’è modo di capire come Google stia affrontando la questione della sicurezza nei suoi modelli AI più recenti, lasciando un alone di opacità che solleva dubbi sulle reali intenzioni dell’azienda.

Google sotto assedio: OpenAI vuole il suo motore, ma Big G tiene stretto il monopolio e i cookie

Nel silenzioso fermento delle aule federali, si sta giocando una partita che potrebbe riscrivere le fondamenta della ricerca online. A luglio scorso, OpenAI ha bussato alla porta di Google con una richiesta non proprio modesta: accedere al suo motore di ricerca per alimentare un progetto chiamato SearchGPT, ovvero un ibrido tra motore AI e indicizzazione in tempo reale. Una mossa tanto audace quanto rivelatrice delle ambizioni di OpenAI nel diventare la piattaforma da cui passa la conoscenza digitale del futuro.

La risposta di Google? Un secco “no”, datato 13 agosto. Una data che non cade a caso: pochi giorni prima, un giudice federale aveva ufficialmente sancito che Google detiene un monopolio illegale nel mercato delle ricerche online. Curioso tempismo, verrebbe da dire. Ma la storia, come sempre, si complica.

Se Google dovesse perdere chrome, OpenAI è pronta a comprarlo: il browser diventa il nuovo campo di battaglia dell’intelligenza artificiale

Quando la giustizia statunitense mette una Big Tech all’angolo, il gioco si fa interessante. E questa volta il palco è dominato da Google, accusata formalmente di monopolizzare il mercato della ricerca online, con un processo che potrebbe portare a un evento storico: lo spin-off forzato del browser Chrome. A spingere sull’acceleratore non è solo il Dipartimento di Giustizia, ma anche OpenAI, che osserva la situazione con un certo appetito predatorio.

Nick Turley, il responsabile di ChatGPT, lo ha detto chiaro e tondo in aula: “Sì, saremmo interessati a comprarlo, come molte altre parti”. È la prima volta che OpenAI mostra pubblicamente la sua ambizione non solo di essere presente nel browser più usato al mondo, ma addirittura di metterci le mani sopra. Il contesto? Un’audizione in cui si decide il futuro della struttura industriale del search online. Il giudice Amit Mehta dovrà stabilire entro agosto quali pratiche commerciali Google dovrà abbandonare e, soprattutto, se dovrà separarsi dal suo gioiellino da miliardi: Chrome.

Come difendo il monopolio: Google, Samsung, Gemini e il balletto antitrust che nessuno vuole davvero fermare

Quando sei il re indiscusso del motore di ricerca globale e ti ritrovi sul banco degli imputati per monopolio illegale, non combatti per la tua innocenza, combatti per mantenere il potere il più possibile intatto. Questa settimana, il processo antitrust contro Google si è trasformato in un teatrino squisitamente illuminante su come funziona davvero il capitalismo delle Big Tech. E no, non è un complotto: è tutto documentato, verbalizzato e testimoniato davanti a un giudice federale.

Peter Fitzgerald, vice-presidente delle partnership di Google, ha confermato davanti al tribunale che da gennaio Google paga Samsung una cifra mensile definita “enorme” per preinstallare l’app Gemini AI su tutti i dispositivi Samsung di nuova generazione, come se fosse il nuovo Bixby, ma con molta meno personalità e molti più dati da succhiare. E no, non è uno scherzo. La stessa Samsung, che da anni tenta di affermare il proprio assistente vocale, ha sostanzialmente gettato la spugna per un assegno a sei (forse sette) zeri.

Google Research Dalle cellule al linguaggio naturale: la nuova grammatica della biologia con C2S-Scale

Sembra un’idea uscita da un laboratorio segreto di Google X, e invece è realtà open source. Prendi una cellula, una qualsiasi, una di quelle che ti porti appresso ogni giorno senza degnarla di uno sguardo. Quella cellula sta facendo qualcosa: produce proteine, si divide, reagisce agli stimoli. Ora immagina di trasformare tutte queste attività, tradizionalmente descritte da migliaia di numeri inaccessibili ai più, in una semplice frase in inglese. Voilà: benvenuti nell’era del linguaggio cellulare, dove le cellule parlano e i Large Language Models (LLM) ascoltano.

Dietro questa rivoluzione semiotica c’è C2S-Scale, una suite di modelli linguistici sviluppata a partire dalla famiglia Gemma di Google, pensata per interpretare e generare dati biologici a livello monocellulare. L’acronimo sta per “Cell-to-Sentence Scale” e il concetto è tanto semplice quanto spiazzante: convertire il profilo di espressione genica di una singola cellula in una frase testuale. Come trasformare una sinfonia genetica in una poesia sintetica. A quel punto puoi parlarci. Chiederle cosa fa. O come si comporterebbe sotto l’effetto di un farmaco.

Occhiali AI di Google al TED

@tedtoks

Misplace your things often? These AI glasses could help. In this live demo at TED2025, computer scientist Shahram Izadi debuts Google’s prototype smart glasses, powered by the new android XR system — which uses AI to see and think in real time. Visit the 🔗 in ☣️ to see more of what these wearables can do — from summarizing your favorite book to planning your next trip. #TEDTalk #XR #AI #SmartGlasses #Google #Android

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Demo rigorosamente controllata e potrebbe non rappresentare la realtà

Google e il vizietto del monopolio: intelligenza artificiale, vecchie abitudini

E rieccoci. Come un sequel che nessuno ha chiesto ma che tutti sospettavano sarebbe arrivato, Google torna al centro del mirino del Dipartimento di Giustizia USA. Il tema? Sempre lo stesso: abuso di posizione dominante. Cambia solo il contesto, perché se una volta si parlava di motori di ricerca, oggi il campo di battaglia è l’intelligenza artificiale generativa, dove il colosso di Mountain View starebbe già ripetendo lo stesso schema da libro di testo.

Durante l’ultima udienza del processo antitrust in corso, l’accusa è stata chiara: Google sta cercando di replicare nell’AI la stessa architettura monopolistica che ha consolidato nella search. L’avvocato del governo ha infatti puntato il dito contro un nuovo accordo commerciale stretto da Google con Samsung, grazie al quale l’app del chatbot Gemini sarà installata di default su tutti i nuovi dispositivi dell’azienda coreana. Déjà vu? Esattamente. Lo stesso tipo di accordo, con Apple in primis, era stato cruciale per cementare la leadership incontrastata del motore di ricerca di Google, come rilevato nella sentenza dello scorso agosto che lo ha bollato come monopolio illegale.

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