Cosa sei disposto a cedere per provare di essere umano? Una domanda che un tempo avrebbe fatto sorridere i più. Oggi, invece, assume contorni squisitamente reali, con un valore preciso, misurabile, convertibile: 42 dollari in Worldcoin, una criptovaluta creata ad hoc per costruire la più ambiziosa infrastruttura di identità digitale globale mai tentata. Tutto questo grazie a Orb, un globo futuristico che scansiona il tuo occhio e ti dà in cambio un’identità verificata. E, appunto, quei 42 dollari.
Sembra una puntata distopica di Black Mirror e invece è una strategia di business. Geniale? Forse. Inquietante? Sicuramente. Ma soprattutto, è un’operazione di potere mascherata da inclusività tecnologica. Un’utopia travestita da soluzione.
La tecnologia è, a ben vedere, di una semplicità disarmante: guardi dentro l’Orb, ti viene scannerizzata l’iride, ne esce un codice binario lungo 12.800 cifre, una sorta di DNA digitale, e voilà, sei un essere umano certificato. Il codice viaggia sul tuo smartphone, associato a un’app. Tu ricevi la tua moneta, loro ricevono la tua identità.

Il nuovo prezzo della carne viva nel cyberspazio.
Tools for Humanity, l’azienda dietro al progetto, vuole registrare 50 milioni di persone entro fine anno. Per ora ne ha racimolate 12 milioni. Per accelerare ha promesso 7.500 Orb distribuiti nelle città americane, a ricordarci che la salvezza digitale passa dall’iride, non dalla password.
La domanda ovvia sarebbe: perché? La risposta, manco a dirlo, è l’AGI, l’Intelligenza Artificiale Generale. Parola di Sam Altman, fondatore di OpenAI e co-creatore di Tools for Humanity. Per lui, questo sistema serve a tenere in piedi l’unica distinzione che conta nel nuovo millennio: chi è umano e chi no.
Altman, il Messia dell’intelligenza artificiale, ha ben chiaro lo scenario. Mentre l’AGI corre verso capacità sempre più simili (e superiori) a quelle umane, la sua visione è quella di un mondo in cui l’essere umano deve poter dimostrare di esserlo. Non per accedere a un social o al conto bancario. Ma per esistere in uno spazio digitale dominato da entità artificiali. Una visione che fa tremare i polsi. E solleva una domanda ancora più spaventosa: cosa succede se non riesci a provarlo?
Alex Blania, CEO operativo del progetto, lo dice chiaramente: “Se falliamo, non so cosa accadrà.” Voilà, il tono apocalittico che mancava. Secondo lui, Internet cambierà radicalmente nei prossimi 12-24 mesi. Tradotto: se non costruiamo un sistema di certificazione dell’umanità, il web sarà invaso da bot, cloni, deepfake e IA di ogni tipo. Addio reputazione, addio autenticità. Addio fiducia.
Ed è qui che entra il meccanismo sottile del ricatto tecnologico: ti convincono che l’unico modo per salvarti dal caos è aderire al sistema. Non vuoi che ti rubino l’identità? Scansiona l’iride. Non vuoi perdere il tuo status digitale? Ottieni il tuo codice. Non ti fidi delle AI? Allora fidati di Orb. Il gioco è questo. O dentro, o fuori. Ma il fuori non esiste più.
Un dettaglio curioso: dicono che i dati biometrici non vengono salvati. Le immagini dell’iride vengono cancellate. Lo giurano. Ma serve solo una distrazione, un cambio policy, un aggiornamento del consenso, e puff… il tuo occhio diventa patrimonio intellettuale. Se la storia della tecnologia ci ha insegnato qualcosa, è che ciò che può essere archiviato, prima o poi lo sarà.
Il paradosso dell’identità digitale è tutto qui: per dimostrare di essere umani, dobbiamo cedere la nostra umanità. Un pezzetto alla volta, iniziando dall’occhio, poi magari il volto, il DNA, la voce. Fino a quando ogni sfumatura biologica sarà tracciabile, commerciabile, assicurabile.
E attenzione: non si tratta solo di sicurezza informatica. L’identità è il nuovo oro. Sapere chi sei e poterlo dimostrare sarà l’unico modo per accedere a tutto: fondi pubblici, lavoro, servizi, assistenza sanitaria. La distinzione tra “verificato” e “non verificato” sarà la nuova divisione di classe. Altro che working class e upper class. Stiamo per entrare nella verified class society.
Qualcuno potrebbe dire che si tratta di una soluzione necessaria, perfino geniale, in un’epoca di deepfake e avatar autonomi. Vero. Ma chi controlla i controllori? Chi garantisce che la World ID non diventi l’ennesimo strumento di sorveglianza algoritmica? La risposta è sempre la stessa: fidati di noi. Ma in un mondo che ha visto Cambridge Analytica, Snowden, e le promesse vuote del Web3, l’unico vero atto di fede resta quello più pericoloso: credere nella neutralità tecnologica.
Intanto, milioni di persone nei paesi in via di sviluppo si mettono in fila per un pugno di criptomonete. Per loro 42 dollari sono più di quanto guadagnano in una settimana. Una nuova forma di estrazione, questa volta non del petrolio o delle risorse naturali, ma dell’identità stessa. Un colonialismo del dato, più raffinato, meno violento, ma altrettanto predatorio.
Qualcuno potrebbe dire: ma tanto siamo già tracciati da Google, Meta e compagnia. Vero. Ma questo è un salto di specie. Non parliamo più di preferenze, ma di ciò che sei. E nel capitalismo dei dati, essere oggi più che mai è già vendere.
In fondo, lo avevano previsto i cyberpunk: nel futuro, non avrai un’identità, sarai un’identità. Validata, codificata, venduta al miglior offerente.
Benvenuto nell’era dell’iride digitale. Dove essere umano è un’opzione, non un diritto.