Mentre Google finisce nel mirino della FIEG per gli AI Overviews, Meta sceglie la via diplomatica per nutrire il suo assistente AI con notizie fresche. È successo quello che fino a sei mesi fa sembrava fantascienza: un colosso tech ha aperto il portafoglio e ha detto ai giornali “vi paghiamo per usare i vostri contenuti”. Dopo il disastro degli Instant Articles (ve li ricordate? Parliamo del 2015) stavolta giura che paga davvero. Ci crediamo?

Meta ha infatti annunciato, con un comunicato scritto con il solito tono da primo della classe, una serie di partnership editoriali, con la CNN, Fox News, Usa Today, Le Monde Group e una manciata di altri gruppi editoriali, per integrare in tempo reale articoli, aggiornamenti sportivi e storie di lifestyle direttamente dentro Meta AI, l’assistente che vive su WhatsApp, Instagram, Facebook e Messenger.

L’accordo dovrebbe suonare un po’ in questo modo: “noi vi diamo i soldi, voi ci date le notizie fresche per Meta AI”. Peccato che sia esattamente la stessa canzone che Facebook cantava nel 2015 con gli Instant Articles. Ricordate?
“Pubblicate i vostri articoli direttamente sui nostri server, vi diamo il 100% dei ricavi pubblicitari se vendete voi, altrimenti il 70% se vendiamo noi”.
Risultato? Milioni di articoli caricati, ma ricavi di fatto quasi inesistenti. Poi, piano piano, l’algoritmo ha iniziato a guardare altrove e gli Instant Articles sono finiti in soffitta. Finché, nel 2018, Facebook ha chiuso tranquillamente il progetto e tanti saluti a tutti. Gli editori ci hanno rimesso tempo, soldi, autonomia, Meta ha incassato dati e attenzione gratuita.

Dieci anni dopo, stessa sceneggiatura, solo che invece di “velocità” (per chi non c’era, il mantra era che gli Instant Articles si sarebbero caricati più velocemente migliorando l’esperienza dei lettori), il tormentone ora è “notizie in tempo reale dentro l’AI”.

E invece di “vi diamo il 70% dei ricavi pubblicitari” ora è “vi paghiamo una licenza, fidatevi”. La differenza? Stavolta gli editori hanno imparato la lezione e (almeno alcuni) trattano con il coltello tra i denti.

Gli accordi sono veri contratti commerciali, non promesse scritte sull’acqua di Menlo Park. E soprattutto c’è un precedente: OpenAI sta già pagando (e bene) testate come News Corp e Financial Times. Chi arriva tardi, paga il conto.

Il paradosso se ci pensate è divertente. C’è un’azienda che per 20 anni ha vissuto e ha fatto business sui contenuti di altri, post su Facebook, galleries e reels su Instagram, senza sganciare un euro. Adesso, per non rimanere indietro, deve mettere mano al portafoglio.

Funzionerà? Per gli editori dico. Chi può dirlo. Certo è che per chi ha vissuto le proposte passate questo sembra essere un copione già visto.