Il dibattito pubblico sull’uso dell’intelligenza artificiale in contesti militari è passato rapidamente dalle aule universitarie ai titoli dei quotidiani grazie a Codice di guerra. Etica dell’intelligenza artificiale nella difesa di Mariarosaria Taddeo. Il saggio, pubblicato da Raffaello Cortina Editore, non si limita a una riflessione teorica: affronta il cuore pulsante di dilemmi concreti che riguardano la sicurezza nazionale, l’uso di armi autonome, il cyberspazio e le cosiddette guerre invisibili dei dati. La reazione della stampa non si è fatta attendere. Corriere della Sera, Il Giornale, Huffington Post, ANSA, SkyTg24, Il Sole 24 Ore e perfino Radio Rai 1 hanno messo sotto i riflettori una questione che fino a poco tempo fa sembrava confinata a specialisti di tecnologia e filosofia morale.
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C’è qualcosa di ironicamente potente nel dire che la Sarajevo Security Conference è finita, ma non è finita. Perché gli eventi che contano davvero non si esauriscono nei comunicati stampa, si infiltrano nei circuiti neuronali della politica e del pensiero strategico. Le idee, soprattutto quelle pronunciate da uomini come il Generale Fernando Giancotti, non muoiono il giorno dopo. Si sedimentano, diventano visioni operative, o almeno tentativi di razionalizzare un mondo che sembra essersi disabituato alla razionalità.
Al 2025 Air, Space & Cyber Conference, il programma “Golden Dome” ha attirato più sguardi dei fuochi d’artificio a Capodanno. L’iniziativa di difesa missilistica, promossa dall’amministrazione Trump, non è un semplice progetto: è la prova tangibile di come Washington voglia mescolare tecnologia, geopolitica e Wall Street in un cocktail esplosivo. Palantir, con la sua abilità nell’integrazione dei dati, si allea con Anduril Industries, campione dell’intelligenza artificiale applicata alla difesa, per tentare un colpo da maestro. Ma sul ring c’è Lockheed Martin, il pugile pesante che non ha alcuna intenzione di fare il tappeto.
Immaginate la scena: 800 generali, ammiragli e ufficiali di alto rango costretti a un raduno convocato all’improvviso a Quantico, in Virginia, quartier generale simbolico della potenza militare americana. Sul palco, Pete Hegseth, ex conduttore televisivo e ora improvvisato “segretario alla guerra”, un titolo che non esiste ma che lui ostenta con la sicurezza di chi confonde la propaganda con la dottrina. Quarantacinque minuti di discorso, slogan compreso, quel “FAFO” che nel gergo goliardico dei marines significa fondamentalmente “provaci e vedrai”. Un linguaggio più adatto a una t-shirt da palestra che a un’agenda strategica del Pentagono. Non sorprende che la platea abbia reagito con imbarazzo, un silenzio glaciale interrotto solo da qualche sorriso teso, mentre le telecamere cercavano invano un applauso spontaneo.
Il linguaggio è sempre un indizio di potere. Quando si smette di parlare di “difesa” e si inizia a evocare il “Dipartimento della Guerra”, il rebranding non è solo estetico: è un’ammissione che il cuore pulsante dell’innovazione tecnologica americana oggi non è più la Silicon Valley con i suoi unicorni sorridenti, ma l’apparato militare-industriale. Non è un caso che, mentre si discute di shutdown governativo e di contratti congelati in settori come istruzione, sanità o climatizzazione, il rubinetto per la tecnologia bellica rimanga sempre aperto. Gli analisti la chiamano continuità operativa. Io la chiamo immunità politica.
I Balcani Occidentali continuano a essere un nodo cruciale per la sicurezza euro-atlantica, un punto dove le fragilità locali possono avere ripercussioni continentali. La conferenza di Sarajevo sulla sicurezza si è consolidata come piattaforma capace di trasformare il dialogo in iniziativa concreta, alimentando partnership indispensabili in un contesto globale sempre più complesso e frammentato. Non parliamo di rituali diplomatici sterili: qui si testa la resilienza della sicurezza europea in tempo reale.
Quello che sta succedendo alle Nazioni Unite è quasi surreale: in un colpo solo l’intelligenza artificiale è stata messa nello stesso club di armi nucleari e agenti chimici, come se fosse una questione di deterrenza strategica e non un software che oggi genera testi e immagini per TikTok e domani decide chi vive e chi muore in un teatro di guerra.
Quando un organo come il Consiglio di Sicurezza inizia a parlare di “red lines” globali è perché qualcuno ha già intuito che la tecnologia non è più sotto controllo. Geoffrey Hinton e Yoshua Bengio, definiti i “padrini” dell’AI, non parlano per amore di retorica accademica, ma perché conoscono dall’interno la traiettoria di un settore che corre più veloce delle istituzioni che dovrebbero regolamentarlo. Se dieci Premi Nobel firmano un appello con loro, il messaggio è semplice: non bastano i panel, servono trattati vincolanti.
AI Fact Checking Chi si occupa di analisi militare o di fact-checking sa quanto la distinzione tra propaganda e dati reali possa diventare labile, soprattutto in un contesto come quello attuale, dove Russia e Ucraina dominano i titoli, e la stampa mainstream italiana spesso si limita a ripetere comunicati senza verificare. Ho raccolto e rielaborato dati su intercettazioni e incursioni russe ai confini NATO, incrociando fonti ufficiali, istituzionali e di stampa tecnica, verificando la coerenza dei numeri e la reputazione delle fonti. Le fonti principali includono i comunicati del NATO Allied Air Command e di SHAPE, report di settore come Aviation Report e Defense News, e media specializzati come Stars and Stripes e War on the Rocks. Per ciascun dato ho confrontato almeno tre elementi indipendenti, da statistiche a comunicati, valutando affidabilità e storicità.
Trump non è mai stato un campione della coerenza strategica, ma il vertice di Anchorage con Putin ha confermato un fatto elementare che nessuno a Washington o Mosca osa più dire ad alta voce: la stagione del controllo degli armamenti è finita, quella della paranoia atomica è tornata.
Il tentativo goffo di trascinare Pechino dentro una cornice trilaterale di “denuclearizzazione” ha avuto l’effetto opposto. La Cina ha alzato le spalle e ricordato con tono glaciale che il proprio arsenale, ancora modesto se confrontato con quello americano o russo, non merita affatto di essere discusso sullo stesso piano. Non è una questione di numeri, è una questione di percezione geopolitica. Xi Jinping non ha alcun interesse a trasformare il suo status di outsider nucleare in quello di comprimario in un teatro dominato dagli eredi della Guerra fredda.
Kim Jong Un non ama le mezze misure, e la sua ultima dichiarazione lo dimostra: l’intelligenza artificiale è diventata “una priorità assoluta” per modernizzare le armi della Corea del Nord.
Non parliamo di chatbot che scrivono poesie, ma di droni autonomi, sistemi di sorveglianza e motori a combustibile solido per missili intercontinentali. In poche settimane, Pyongyang ha mostrato al mondo due carte decisive: test militari con droni e ricognitori basati su AI e un nuovo motore a propellente solido per vettori intercontinentali. Un messaggio chiaro a Washington, Seul e Tokyo: la Corea del Nord non è più quella dei tempi in cui il regime era deriso per i lanci falliti nel Mar del Giappone.
Ricordiamoci sempre che l’AI è una tecnologia DUALE, C’è sempre un lato Civile e uno Militare, di cui sappiamo poco e niente.
Palantir Technologies, la società di data mining con legami con la CIA, è pronta a siglare un contratto da circa 1 miliardo di dollari (750 milioni di sterline) con il Ministero della Difesa del Regno Unito, come parte della visita ufficiale del presidente Trump nel paese. Questo accordo segna un passo significativo nell’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle operazioni militari britanniche.
Il contratto quinquennale prevede che Palantir analizzi vasti volumi di dati provenienti da diverse fonti, tra cui registri medici, logistica, formazione e necessità di equipaggiamento, per ottimizzare la prontezza e la distribuzione delle forze armate. In particolare, l’AI di Palantir sarà utilizzata per identificare lacune nel reclutamento e determinare la idoneità dei soldati per le missioni. Inoltre, il sistema aiuterà a gestire la manutenzione degli asset militari, migliorando l’efficienza operativa complessiva.
Inizio il pezzo sbriciolando l’illusione più comune: non si tratta soltanto di due leader che si stringono la mano davanti alle telecamere, ma di catene di approvvigionamento, licenze, e magneti così piccoli da non farsi notare ma abbastanza vitali da mettere a ginocchio un aereo da combattimento. La finestra di novembre per una possibile visita del presidente Trump in Cina, collocabile intorno al vertice APEC in Corea del Sud, non è soltanto diplomazia di facciata; è il tentativo di trasformare una tregua tariffaria fragile in una soluzione negoziale concreta. L’accordo che mantiene le tariffe a livelli elevati ma stabili è stato esteso fino al 10 novembre 2025, creando una scadenza che funziona come una clessidra per negoziatori nervosi.
Navigazione quantistica: quando persino i super‐jet e i droni smettono di chiedersi “succede qualcosa al satellite?” e iniziano a fidarsi di atomi, campi magnetici e fotoni (non sto scherzando). Non è fantascienza, è un investimento strategico del Pentagono. Il Department of Defense ha fatto girare la ruota del budget RDT&E del FY 2026, arrivando a 179 miliardi di dollari, e dentro c’è una linea chiamata “Quantum Application” che attraversa tutte le forze armate. Dietro quel nome pomposo si nasconde l’ossessione per sensori quantistici, crittografia post‐quantistica e navigazione alternativa al GPS.
L’europa ama definirsi autonoma, sovrana, indipendente. Poi arriva un report con un titolo quasi burocratico, “Progress and Shortcomings in European Defense”, e scopriamo che per sostituire solo l’intelligence americana servirebbero 4,8 miliardi di euro. Una cifra che sembra piccola se confrontata con i bilanci pubblici, ma gigantesca se pensiamo che non si tratta di investimenti in nuove capacità offensive, bensì della semplice necessità di comprare ciò che gli Stati Uniti non vogliono più regalare. Siamo entrati nel paradosso: il vecchio continente pretende il ruolo di potenza geopolitica, ma dipende per occhi e orecchie dal Pentagono.ù
Immagina la più grande potenza militare del mondo che scopre all’improvviso di spendere più per pagare i creditori che per i missili ipersonici. Sembra una barzelletta, e invece è il nuovo volto del bilancio federale americano: oltre 1.130 miliardi di dollari in interessi sul debito nazionale, a fronte di 1.125 miliardi destinati alla difesa. Se usiamo la definizione più stretta del Pentagono, la cifra militare scende addirittura a 850 miliardi, rendendo ancora più imbarazzante la sproporzione. Wall Street sorride, i contribuenti no.
In teatro operativo contemporaneo, ogni secondo conta e ogni errore si paga in uomini, mezzi e tempo. La tecnologia del Digital Twin (DT) non è un mero strumento digitale: è un asset strategico che trasforma informazioni in vantaggio operativo, simulazioni in decisioni tattiche e dati in superiorità sul campo. Il DT costituisce un duplicato dinamico di sistemi, persone e ambienti, alimentato da flussi reali di informazioni, capace di apprendere, analizzare e suggerire azioni preventive. Nel linguaggio di comando, rappresenta un quartier generale invisibile, sempre aggiornato, che supporta ogni livello decisionale senza stancarsi né commettere errori.
La natura bidirezionale del DT consente un dialogo costante tra assetto fisico e gemello digitale. Sensori avanzati trasmettono dati in tempo reale, mentre il modello virtuale analizza, prevede e consiglia interventi correttivi. Esercitazioni simulate, fino a ieri riservate ai manuali teorici, diventano scenari predittivi, riducendo rischi e costi operativi. In termini concreti, significa mantenere la piena prontezza dei veicoli corazzati con una riduzione fino al 30% dei tempi di manutenzione programmata, o addestrare piloti su scenari complessi senza esporre assetti reali al rischio di incidenti.
La pressione cresce e i vertici della sicurezza israeliana invitano il primo ministro Benjamin Netanyahu a fare un passo indietro sulla spinta militare a Gaza City. Invece di espandere l’offensiva terrestre contro Hamas, leader dell’IDF, del Mossad e del Ministero degli Esteri propongono di negoziare una tregua temporanea che possa garantire il rilascio degli ostaggi e prevenire il peso a lungo termine del governo militare su Gaza.
Durante una riunione di sei ore del gabinetto di sicurezza, il capo di stato maggiore dell’IDF, Eyal Zamir, ha avvertito che un’escalation rischierebbe di lasciare Israele responsabile della gestione quotidiana di Gaza. Il capo del Mossad, David Barnea, e il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar hanno espresso preoccupazioni simili, sottolineando la necessità di alternative diplomatiche. La proposta di una tregua temporanea con Hamas potrebbe liberare alcuni ostaggi rimasti, evitare un coinvolgimento profondo nella governance di Gaza e ridurre i rischi di instabilità regionale.
Dopo anni di dibattito e attesa, il Cybersecurity Maturity Model Certification, noto come CMMC, fa il salto dalla politica alla pratica concreta. Il 25 agosto 2025, l’Office of Information and Regulatory Affairs (OIRA) ha approvato la regola di acquisizione del Dipartimento della Difesa negli Stati Uniti contenuta nel Titolo 48 del Code of Federal Regulations, segnando l’ultimo passo prima della pubblicazione nel Federal Register. Tradotto in termini chiari: le aziende che vogliono lavorare con il Pentagono dovranno rispettare standard di cyber-sicurezza rigorosi, senza eccezioni.
L’approvazione da parte di OIRA è stata sorprendentemente rapida: appena 34 giorni, un record per le procedure federali. Ora il percorso verso l’entrata in vigore è completo, con il Federal Register pronto a fissare la data effettiva della regola. Per la catena di fornitura della difesa, le implicazioni sono immediate e profonde. Si stima che tra 220.000 e 300.000 contractor e subappaltatori rientrino nel campo di applicazione, di cui circa 80.000 dovranno ottenere la certificazione CMMC di Livello 2. Ad oggi, alla fine di agosto 2025, solo 270 organizzazioni possiedono un certificato finale, indicando la salita ripida che molti dovranno affrontare per restare competitivi.
Per decenni dopo la Guerra Fredda, l’Europa è stata percepita come militarmente debole, incapace di difendersi senza il sostegno degli Stati Uniti. Dalla firma degli Accordi di Dayton negli anni ’90 alla Guerra in Iraq del 2003, il continente ha faticato a imporsi come attore coeso nelle questioni globali. Oggi, di fronte alla guerra in Ucraina, l’Europa ha consolidato influenza politica, economica e militare, conquistando un ruolo decisivo nella gestione di scenari che un tempo erano appannaggio esclusivo di Washington.
Gli anni iniziali furono segnati da limiti strutturali. Durante le guerre jugoslave, la frammentazione europea costrinse gli Stati Uniti a guidare le negoziazioni a Dayton, Ohio. Nel 2003, la guerra in Iraq rivelò divisioni profonde: alcuni paesi sostenevano Washington, altri si opponevano, mentre gli stati baltici si schierarono principalmente per dimostrare il loro valore come membri della NATO. L’Europa sembrava incapace di parlare con una voce unica, figuriamoci di guidare decisioni strategiche autonome.
Per decenni, gli osservatori occidentali hanno deriso la crescita tecnologica della Cina come imitativa: una costruzione basata su sussidi, copiature e appropriazione di proprietà intellettuale. Oggi quel racconto appare obsoleto. La Cina non solo compete, ma innova su più fronti, dall’industria dei veicoli elettrici all’intelligenza artificiale, fino a dimostrazioni militari che segnano un punto di svolta nel potere globale. Il 3 settembre, la parata militare a Pechino ha tolto ogni dubbio: le forze armate cinesi ora mostrano capacità tecnologiche avanzate che non possono più essere ignorate.
Il paradosso della modernità è che la guerra, mentre ci illude di essere ancorata a missili ipersonici, portaerei e generali in uniforme, in realtà si decide con scatole di plastica volanti da poche centinaia di dollari. La differenza rispetto al passato non è nel materiale, ma nell’intelligenza artificiale che orchestra questi oggetti in tempo reale. L’Ucraina ha introdotto un concetto che fino a ieri era relegato alle simulazioni del Pentagono: drone swarms AI Ucraina, sciami capaci di coordinarsi autonomamente, comunicare, adattarsi e, fatto più inquietante, decidere quando e come colpire. Un algoritmo che orchestra la distruzione con efficienza industriale è la fotografia del conflitto del ventunesimo secolo.
Il teaser finale: immaginate di leggere “quantum networking” e pensare “bella roba, ma dove lo metto nel mio cavo ethernet?”. Bene, benvenuti nel QuANET di DARPA, la scommessa militare con più stile di un thriller finanziario sul futuro delle reti. QuANET darpa quantum networking è la speranza che le avanzate tecnologie quantistiche non restino relegate ai lab, isolate come aristocratici al gala delle innovazioni.
Appena dieci mesi dopo il lancio del programma—iniziato nel marzo 2024—si è tenuto un hackathon inter-team che ha realizzato il primo network effettivamente quantistico-aumentato: messaggi trasmessi su collegamenti sia classici sia quantistici, senza interruzioni (DARPAQuantum Computing Report).
La guerra fredda dell’Intelligenza Artificiale: geostrategia, difesa e il cinismo delle superpotenze
Nel panorama geopolitico contemporaneo, l’intelligenza artificiale (AI ) sta riscrivendo le regole del gioco. Non si tratta solo di algoritmi, robot e reti neurali, ma di una vera e propria corsa per dominare il futuro globale. Gli Stati Uniti e la Cina sono in prima linea in questa guerra fredda digitale, dove ogni bit di progresso tecnologico è un’arma nel conflitto di potere che coinvolge risorse militari, economiche e politiche. In questa nuova frontiera, l’AI non è solo un motore di innovazione, ma un gigantesco campo di battaglia, un campo dove il cinismo delle superpotenze emerge in tutta la sua crudezza.
Quando Palantir Technologies chiude un accordo da 10 miliardi di dollari con l’esercito statunitense, non sta vendendo solo software. Sta vendendo visione, dominio cognitivo e l’illusione di una guerra algoritmica vinta prima ancora di essere combattuta. Questa non è una semplice commessa: è l’incoronazione. Il Dipartimento della Difesa ha appena reso Palantir il suo oracolo ufficiale, il suo motore di decisione, la sua lente analitica sul caos del mondo moderno.
La notizia, riportata anche dal Washington Post con enfasi degna di una vittoria elettorale, è chiara: un contratto quadro da 10 miliardi di dollari, potenzialmente valido per i prossimi dieci anni. Unificati sotto un’unica architettura 75 contratti sparsi, 15 principali e 60 correlati, come un esercito disordinato riunito finalmente sotto un’unica bandiera. L’obiettivo dichiarato? Ridurre i tempi di approvvigionamento, offrire accesso rapido agli strumenti di analisi, intelligenza artificiale e integrazione dati. L’obiettivo reale? Molto più ambizioso: riscrivere le regole del potere operativo.
Non servono più generali geniali, servono algoritmi che sanno uccidere. Il Pentagono lo sa bene. Per questo ha appena firmato un contratto da 50 milioni di dollari con Auterion, una startup svizzera con sede a Zurigo e Arlington, per fornire 33.000 “strike kits” alimentati da intelligenza artificiale all’esercito ucraino. Cosa fanno questi kit? Trasformano droni commerciali da Amazon in killer autonomi. Praticamente, il futuro della guerra costa meno di uno smartphone.
Non parliamo di prototipi da laboratorio, ma di hardware pronto per la spedizione entro fine anno. Le specifiche tecniche fanno rabbrividire quanto entusiasmare chi investe nella difesa next-gen. Il cuore del sistema è Skynode S, un modulo grande come una carta di credito con 4GB di RAM, 32GB di storage e la capacità di navigare, riconoscere bersagli e colpirli anche sotto jamming elettronico. In altre parole: il drone non ha più bisogno di un pilota umano. Vede, pensa e attacca. In autonomia. Chi ha bisogno del joystick quando puoi dare carta bianca a un software che prende decisioni mortali a 100 km/h?
Ethical and Adversarial Risks of Generative AI in Military Cyber Tools
C’è un paradosso in atto nelle centrali strategiche dell’intelligenza artificiale militare. Da un lato, si grida all’innovazione e all’automazione etica, mentre dall’altro si coltiva, nel silenzio operazionale, un arsenale sempre più intelligente, più autonomo, più incontrollabile. La Generative AI non sta solo ridefinendo il perimetro della cybersecurity, sta riscrivendo il concetto stesso di difesa e minaccia. Quando una rete neurale è in grado di creare da sola scenari di attacco credibili, generare email di phishing personalizzate meglio di uno psicologo, oppure costruire malware polimorfi con l’agilità di un camaleonte digitale, allora sì, siamo oltre la linea rossa.
Quando il cinema e i videogame dipingono guerre ad alto rendimento di drone e laser, la realtà militare continua a girare su Excel, lavagne imbrattate e processi manuali. Mentre tutti si chiedono “come far detonare il prossimo missile”, Rune Technologies sta silenziosamente rivoluzionando il backstage: la logistica militare, l’arte impopolare che determina chi arriva primo e con le munizioni giuste al fronte. Parliamo di una keyword principale: “logistica militare moderna”, debitamente supportata da correlate semantiche come “intelligenza artificiale predittiva” e “edge computing tattico”.
“Il modo più sicuro per perdere una guerra è fingere che non sia ancora cominciata.” Questa frase, attribuita a un anonimo stratega militare europeo, calza perfettamente a ciò che sta accadendo oggi nel cuore della sicurezza informatica continentale. Chi si illude che il dibattito sulla post-quantum cryptography sia un argomento da accademici con troppe pubblicazioni e pochi problemi reali non ha compreso che la minaccia non è futura, ma già scritta nelle memorie dei data center. “Store now, decrypt later” non è un gioco di parole, è il nuovo “carica e spara” dell’intelligence globale. La differenza è che oggi i colpi sono pacchetti crittografati, destinati a esplodere fra dieci o quindici anni, quando qualcuno avrà la capacità computazionale per decifrarli.

Quello che inizia come una distopia da quattro soldi in un episodio mediocre di Black Mirror, si sta trasformando in realtà: il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha firmato un contratto per usare Grok, l’intelligenza artificiale generativa sviluppata da xAI, startup fondata da Elon Musk, proprio quella che nei giorni scorsi si è lasciata andare a citazioni hitleriane e uscite antisemite. No, non è satira. Sì, è tutto vero.
Mentre le testate generaliste provano a far passare la notizia sotto traccia, magari in un paragrafo sul fondo, la verità è che il Pentagono ha deciso di mettere in mano all’AI più controversa del momento una parte dei processi decisionali strategici, scientifici e di sicurezza nazionale. L’accordo, del valore potenziale di 200 milioni di dollari, prevede che il modello Grok 4 venga reso disponibile tramite la General Services Administration (GSA), quindi accessibile a qualsiasi agenzia federale. In pratica: l’intera macchina federale americana potrà pescare da Grok risposte, previsioni, analisi e supporto operativo. Anche se pochi giorni fa quel sistema rispondeva agli utenti chiamandosi “MechaHitler”.
C’è una scena che nessuno riprende mai: una stanza silenziosa, illuminata da luce neutra, una serie di schermi ad altissima risoluzione, occhi fissi su immagini satellitari statiche per ore, giorni, settimane. Niente inseguimenti. Niente spari. Solo dettagli che cambiano, impercettibilmente. Una scatola d’acciaio che non c’era. Un’ombra fuori asse. Una tenda spostata di mezzo metro nel Golan. Lì lavora l’unità 9900. E in particolare, lavora il programma Roim Rachok, composto da soldati che non sono “normali”, e proprio per questo funzionano benissimo. Tutti autistici. Tutti addestrati. Tutti scelti. Nessun errore.
Non servono più i droni Predator per colpire il nemico. Basta una virgola fuori posto in un dataset. L’arma del futuro non fa rumore, non produce crateri e non si vede nemmeno con i satelliti. Si chiama data poisoning, e se non hai ancora capito quanto sia centrale per la guerra moderna, stai leggendo i giornali sbagliati. Benvenuti nella nuova era della disinformazione algoritmica, dove un’immagine pixelata o un’etichetta sbagliata possono compromettere l’intera architettura decisionale di un sistema militare autonomo. E no, non è fantascienza. È dottrina militare, nascosta nei silenzi obliqui del Title 50 dello U.S. Code.
Si continua a parlare di rivoluzioni militari come se fossero aggiornamenti software, con l’entusiasmo di un product manager davanti a un nuovo rilascio beta. Droni, intelligenza artificiale, guerre trasparenti e interoperabilità digitale sono diventati il mantra ricorrente dei think tank euro-atlantici. La guerra, ci dicono, è cambiata. Il campo di battaglia sarebbe ormai un tessuto iperconnesso dove ogni oggetto emette segnali, ogni soldato è una fonte di dati, ogni decisione è filtrata da sensori, reti neurali e dashboard. Tutto bello, tutto falso.
Sul fronte orientale dell’Europa, tra gli ulivi morti e le steppe crivellate di mine, la realtà continua a parlare un’altra lingua. La lingua della mobilità corazzata, del logoramento, della saturazione d’artiglieria e, sì, anche della carne. In Ucraina si combatte come si combatteva a Kursk, con l’unica differenza che oggi il drone FPV è la versione democratizzata dell’artiglieria di precisione. Il concetto chiave, però, resta lo stesso: vedere, colpire, distruggere. Con un twist: adesso si può farlo a meno di 500 euro e senza bisogno di superiorità aerea.
C’è un elefante blu che si aggira nelle stanze che tutti fanno finta di non notare: l’uso dell’AI nelle guerre. Si dice che la seconda guerra mondiale è stata un volano per la realizzazione di nuove invenzioni, cosa di per sè opinabile se ci si riflette un po’, però oggi la stessa cosa si dice per lo sviluppo dell’AI nei teatri di guerra, ma è veramente così? Premessa: mi sforzerò di parlare della tecnologia senza fare commenti personali, cercherò di evitare descrizioni che indicano la crudeltà, l’assenza di moralità e di etica di chi progetta queste armi.

Nel giro di poche settimane OpenAI ha alzato il sipario su una strategia che mescola spionaggio high‑end e consulenza esoterica. Non più il chatbot di quartiere, ma un fornitore di modelli custom per élite, con contratti riservati come monili di famiglia. Il piatto forte? Servizi di consulenza AI da almeno 10 milioni di dollari – secondo The Information, “OpenAI charges at least $10 million for its AI customization and consulting services” e un contratto da 200 milioni con il Pentagono, inaugurando la nuova era “OpenAI for Government”.
Unlocking the potential of dual-use research and innovation –
Ti svegli e la nuova frontiera non è la base militare ma il tuo data center. L’ultimo report della European Commission su dual use non fa diagnosi: fa un’iniezione di realtà direttamente nel cervello dell’innovazione europea. Civilian tech is the frontline? No, non è una frase fatta: è letteralmente quello che siamo diventati.
Qualche fatto fresco? La prima è che gli investimenti in tecnologie difensive in Europa hanno toccato un record di 5,2 miliardi di dollari nel 2024, con un aumento del 24% rispetto all’anno precedente. Un segnale che, finalmente, l’intero continente sta rispondendo con i fatti, non solo con conferenze e white paper. Eppure la consapevolezza strategica è ferma al palo: dual-use è visto come un intralcio normativo, e non come il vantaggio competitivo che è diventato.
Quando un modello linguistico genera in 48 secondi ciò che un comandante impiega 48 ore a pianificare, non si parla più di innovazione. Si parla di mutazione genetica della guerra. Non è uno scenario futuristico né una trovata pubblicitaria da film di Hollywood. È quello che sta succedendo a Xian, nella provincia nord-occidentale della Cina, dove un team di ricerca dell’Università Tecnologica ha combinato large language models (LLM) e simulazioni militari con una naturalezza che ricorda più uno script di Black Mirror che un report accademico.
Il protagonista silenzioso della rivoluzione si chiama DeepSeek. Nome da start-up emergente, anima da mostro strategico. È un modello LLM nato a Hangzhou che, per efficienza e versatilità, ha fatto sobbalzare Washington e irritato il Pentagono, al punto che perfino Donald Trump lo ha definito una “wake-up call” per l’industria tech americana. Il perché è semplice: DeepSeek non si limita a produrre testo o contenuti generici come ChatGPT. Riesce a generare 10.000 scenari militari plausibili, coerenti, geolocalizzati e dinamicamente adattivi in meno di un minuto.
L’integrazione dell’AI nei processi decisionali strategici non è più una mera ipotesi futuristica, bensì una realtà che nel 2024 ha visto un’accelerazione esponenziale grazie a studi pionieristici e piattaforme tecnologiche d’avanguardia. La complessità degli scenari geopolitici e la necessità di anticipare crisi in tempo reale hanno spinto università, centri di ricerca e governi a investire in sistemi di augmented decision-making (ADM) capaci di fondere l’intelligenza algoritmica con il giudizio umano, creando una sinergia non priva di contraddizioni e cinismo quasi inevitabile in un mondo dove l’errore umano è ormai intollerabile.
C’è un paradosso che aleggia nell’aria rarefatta del Paris Air Show, tra voli acrobatici e salotti aziendali climatizzati: si parla di sovranità industriale, ma con componenti cinesi incastonati nei circuiti dei nostri caccia. Boeing, nella persona del vicepresidente Turbo Sjogren, ha avuto il coraggio — o l’astuzia — di dirlo ad alta voce: l’Europa deve svegliarsi. Non sarà mai autonoma finché continua a costruire la sua difesa con metalli raffinati a Pechino.
Sembra il copione di un episodio di Black Mirror, ma è solo cronaca: OpenAI, la stessa che ha trasformato l’intelligenza artificiale generativa in un assistente per studenti in crisi e copywriter disoccupati, ora gioca con le regole dell’intelligence a stelle e strisce. “OpenAI for Government” è il nome sobrio (e vagamente orwelliano) del nuovo programma lanciato negli Stati Uniti. Nessuna fanfara, ma un pilota da 200 milioni di dollari con il Dipartimento della Difesa come cliente zero. Se ChatGPT era il giocattolo dei marketer, ora è il soldato dei burocrati.
Il Pentagono non ha bisogno di decollare per far capire che intende restare in cima alla catena alimentare tecnologica globale. Con l’annuncio dei test a terra dei nuovi droni da combattimento YFQ-42A e YFQ-44A, gli Stati Uniti lanciano un messaggio diretto e in alta frequenza a Pechino: l’era dei caccia autonomi non è un esperimento accademico, è una corsa all’egemonia che sta per prendere quota.