Vi ricordate Sean Connery che emerge dalle acque gelide dell’Atlantico settentrionale con il suo Ottobre Rosso inseguito dal sottomarino americano USS Dallas, mentre la Guerra Fredda ribolle sotto la superficie? Bene, questa volta, 35 anni dopo quel thriller che ha tenuto incollati allo schermo milioni di spettatori, non è la marina americana ma la Royal Navy che sta scrivendo un sequel non fiction, dove i protagonisti non sono più capitani dal fascino intramontabile, ma droni sottomarini autonomi che pattugliano i fondali per tre mesi filati, in cerca di ombre russe che minacciano cavi di fibra ottica e rotte vitali.
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Autonomia. Una parola che in aviazione ha sempre generato la stessa miscela di fascinazione e timore che un tempo si riservava ai motori a reazione o ai primi computer di bordo. Oggi gli aeromobili autonomi non sono più una provocazione futuristica per convegni tecnologici, ma un dossier concreto che gli ingegneri stanno trasformando in hardware volante. La narrativa fantascientifica ha ceduto il passo a prototipi certificati, accordi industriali inattesi e una corsa strategica che unisce big tech, startup e contractor della difesa. Chi immaginava tempi lunghi dovrà ricalibrare lo sguardo, perché l’orizzonte si sta accorciando. La keyword che domina questo scenario è aeromobili autonomi, una leva ormai centrale per le strategie di mobilità avanzata, mentre autonomie di volo e intelligenza artificiale aeronautica agiscono come coordinate semantiche capaci di orientare i motori di ricerca e le AI generative verso ciò che davvero conta.
Passando al fronte statunitense, il DoD ha pubblicato il documento ufficiale “Responsible Artificial Intelligence Strategy & Implementation Pathway” (RAI S&I Pathway), datato giugno 2022. Questo è il cuore dell’approccio del Dipartimento della Difesa USA all’IA responsabile, con implicazioni massicce su governance, fiducia, ciclo di vita del prodotto, forza lavoro e requisiti operativi.
L’obiettivo dichiarato: garantire che l’adozione dell’IA avvenga in modo etico, sicuro, affidabile, scalabile e rapido, preservando al contempo il vantaggio strategico americano. Nel foreword, la vice-segretaria Kathleen Hicks afferma che è essenziale integrare l’etica fin dall’inizio, così da costruire fiducia interna ed esterna (alleati, coalizioni) nelle capacità AI.
Il 26 novembre 2025 è emersa la notizia che il House Homeland Security Committee degli Stati Uniti ha inviato una lettera a Dario Amodei chiedendo di comparire in audizione il prossimo 17 dicembre per rispondere su come Pechino (o gruppi statali cinesi) stiano «armando» l’IA e altre tecnologie avanzate per condurre hacking e cyber-spionaggio. L’incidente che ha innescato la chiamata al tavolo è piuttosto grave. Anthropic ha reso pubblico che hacker collegati alla Cina avevano manipolato il suo modello generativo Claude per orchestrare una campagna di cyber-spionaggio che ha coinvolto circa 30 organizzazioni globali istituzioni tecnologiche, finanziarie, chimiche e governative.
Il rumore sommesso dei sistemi d’arma più sofisticati raramente arriva alle orecchie dei cittadini, ma quando un colosso come Leonardo decide di svelare un progetto come il Michelangelo Dome, la sensazione è quella di assistere alla riscrittura silenziosa della sicurezza europea. La retorica ufficiale parla di multilayered air defence system, ma dietro questa definizione elegante si nasconde un cambio di paradigma che mette insieme difesa aerea, cybersicurezza, intelligenza artificiale predittiva e gestione integrata delle minacce, dal sottosuolo allo spazio. La parola chiave è chiaramente Michelangelo Dome, che diventa la base semantica di un discorso ben più ampio che coinvolge la difesa aerea europea e l’intelligenza artificiale militare come strumenti di potere strategico.
Partiamo dal documento UK intitolato “Decision-making: how do human-machine teamed decision-makers, make decisions?” (Concept Information Note 4), pubblicato su GOV.UK a maggio 2024. (vedi GOV.UK Assets)
Nell’ambito della difesa e della sicurezza, la quantità di dati “da processare” è ormai un oceano. I comandanti umani non possono cognitivamente sostenere tutto: ecco l’alleanza macchina-uomo, dove l’IA gestisce l’analisi massiva e il pattern recognition, e l’umano fornisce contesto, esperienza, intuizione, giudizio morale. Il documento parla di “teaming”, non solo automazione: non è che la macchina fa tutto e l’umano sta a guardare, ma una collaborazione strutturata.
La guerra informatica ha sviluppato un fascino ambiguo, quasi romantico, per chi immagina il futuro dei conflitti come una distesa di bit che sostituisce le bombe. Succede sempre quando una tecnologia appare nuova, veloce, seducente. Qualcuno, con l’entusiasmo di chi scambia l’adrenalina per strategia, propone che gli stati occidentali adottino quello che definisce un approccio responsabilmente irresponsabile, una formula che farebbe sorridere persino un consigliere politico di basso livello. L’idea è che imitare le tattiche più aggressive osservate in Ucraina, incluse campagne offensive senza troppe remore, renda la guerra digitale finalmente efficace. Il problema è che questa teoria si basa su una lettura superficiale del diritto internazionale umanitario, su un eccesso di fiducia nella potenza del cyberspazio e su un’impressione distorta di ciò che davvero accade quando i conflitti diventano lunghi, ad alta intensità e fortemente distribuiti.
AI for military decision making non è lo slogan con cui si riempiono le slide nelle conferenze, è il nuovo terreno dove si misura la lucidità di un comando che deve orientarsi in un ambiente informativo sempre più caotico. Qui l’IA non pretende di fare la guerra al posto degli umani, ma entra come forza silenziosa che riorganizza segnali, scova pattern e costringe le strutture militari a guardarsi allo specchio. Il tema non è la spettacolarità tecnologica ma la capacità di trasformare flussi di dati incoerenti in intuizioni operative, con una naturalezza che mette a disagio chi è abituato a decidere solo sulla base dell’esperienza. La vera rivoluzione non sta nell’autonomia delle macchine ma nella pressione che queste esercitano sul processo decisionale umano, accelerandolo, amplificandolo e a volte smascherandone le debolezze.
AI augmented decision-making systems and tools for military operations
La diffusione rapida dei modelli di intelligenza artificiale non è più una promessa futuribile ma una realtà che entra, pezzo dopo pezzo, nei processi decisionali della difesa. In questo dossier l’obiettivo è pragmatico: tenere insieme solo ciò che ha una traccia riproducibile, benchmark pubblici o documenti ufficiali rilasciati da laboratori e vendor principali. Il focus principale è AI per decisioni militari.
La corsa globale ai droni armati entra in una nuova fase che profuma di inevitabile trasformazione strategica, e il recente contratto assegnato dal Dipartimento della Difesa statunitense a XTEND rappresenta un indizio fin troppo esplicito. La keyword droni swarm sta diventando il nuovo mantra della dottrina militare americana, con l’intelligenza artificiale applicata che spinge verso una capacità di attacco modulare, autonoma e potenzialmente replicabile su scala industriale. La scena che si delinea è quella di un campo di battaglia dove il costo marginale della potenza di fuoco precipita, mentre la complessità tecnologica cresce in silenzio sotto l’effetto combinato di software, sensori, produzione distribuita e logiche di interoperabilità. L’America ha capito che il futuro della supremazia militare non passa più solo per portaerei e bombardieri, ma per sciami di micro piattaforme intelligenti capaci di saturare, confondere e colpire con precisione chirurgica.
In un’epoca in cui ogni settore vuole definirsi “smart”, anche la difesa ha deciso di non essere da meno. Non più soltanto droni, ma droni “intelligenti”. E, per chi ha gusti più estremi, persino droni “kamikaze”, un termine che nessuna strategia di comunicazione è mai riuscita davvero ad addolcire. È in questo contesto che nasce la nuova joint venture firmata da Indra, colosso tecnologico spagnolo, e Edge, gigante della difesa degli Emirati Arabi Uniti, annunciata ufficialmente a Madrid e destinata a diventare uno dei più rilevanti poli industriali europei nel settore delle tecnologie autonome per la sicurezza.
Se qualcuno pensa che la guerra ibrida sia ancora un concetto da convegno accademico, il non-paper del ministro Guido Crosetto pubblicato ieri in occasione della riunione del Consiglio Supremo di Difesa, intitolato “Il contrasto alla guerra ibrida: una strategia attiva“, ha il pregio di riportarci bruscamente alla realtà. E lo fa con la franchezza di chi ha smesso di credere che basti alzare un firewall più alto per dormire sonni tranquilli.
Quando si parla di sicurezza europea, pochi riescono a combinare analisi lucida e pragmatismo come Rosaria Puglisi e Fernando Giancotti. La loro visione non è solo teorica, ma operativa, puntando a un’Europa capace di difendersi e di contare su se stessa, senza dipendere esclusivamente da garanzie esterne. Il concetto di “autonomia strategica” non è un esercizio accademico: è la chiave per trasformare fragilità in forza e in opportunità, una narrativa di empowerment che finalmente mette l’Europa al centro della propria sicurezza.
L’industria dell’osservazione della Terra ha subito una metamorfosi quasi impercettibile per chi segue le immagini satellitari su Google Earth, ma devastante per la scienza e il commercio. Un tempo dominata da missioni climatiche, monitoraggio ambientale e cartografia commerciale, oggi la leadership è nelle mani della difesa e dell’intelligence. Il caso più lampante è Maxar Intelligence, storicamente riconosciuta per documentare conflitti e disastri globali, che ha cambiato nome in Vantor, segnalando senza ambiguità il suo allineamento con la sicurezza nazionale. L’acquisizione da parte di Advent International non è stata un semplice cambio di proprietà: le divisioni dell’azienda sono state smembrate e ridirezionate verso contratti militari, collocando Vantor nello stesso ecosistema di Palantir e Anduril. Oggi, oltre il 65% dei 2,2 miliardi di dollari del mercato globale dei dati di osservazione della Terra proviene da commesse di difesa e intelligence, un balzo impressionante causato dall’escalation delle tensioni geopolitiche.
C’è un paradosso inquietante che aleggia sopra l’Europa. Da un lato, i governi parlano di “solidarietà atlantica” e di “strategia comune”. Dall’altro, ognuno gioca una partita solitaria, priva di visione sistemica, mentre la Russia affila gli strumenti di una guerra ibrida che ha già superato le frontiere del visibile. L’assenza del pensiero sistemico è oggi la più grande vulnerabilità dell’Europa, più del gas, più delle armi, più della tecnologia. È un’assenza che si manifesta nella lentezza con cui i Paesi europei reagiscono ai segnali di una crisi che non è più potenziale, ma in corso.
Il dibattito pubblico sull’uso dell’intelligenza artificiale in contesti militari è passato rapidamente dalle aule universitarie ai titoli dei quotidiani grazie a Codice di guerra. Etica dell’intelligenza artificiale nella difesa di Mariarosaria Taddeo. Il saggio, pubblicato da Raffaello Cortina Editore, non si limita a una riflessione teorica: affronta il cuore pulsante di dilemmi concreti che riguardano la sicurezza nazionale, l’uso di armi autonome, il cyberspazio e le cosiddette guerre invisibili dei dati. La reazione della stampa non si è fatta attendere. Corriere della Sera, Il Giornale, Huffington Post, ANSA, SkyTg24, Il Sole 24 Ore e perfino Radio Rai 1 hanno messo sotto i riflettori una questione che fino a poco tempo fa sembrava confinata a specialisti di tecnologia e filosofia morale.
C’è qualcosa di ironicamente potente nel dire che la Sarajevo Security Conference è finita, ma non è finita. Perché gli eventi che contano davvero non si esauriscono nei comunicati stampa, si infiltrano nei circuiti neuronali della politica e del pensiero strategico. Le idee, soprattutto quelle pronunciate da uomini come il Generale Fernando Giancotti, non muoiono il giorno dopo. Si sedimentano, diventano visioni operative, o almeno tentativi di razionalizzare un mondo che sembra essersi disabituato alla razionalità.
Al 2025 Air, Space & Cyber Conference, il programma “Golden Dome” ha attirato più sguardi dei fuochi d’artificio a Capodanno. L’iniziativa di difesa missilistica, promossa dall’amministrazione Trump, non è un semplice progetto: è la prova tangibile di come Washington voglia mescolare tecnologia, geopolitica e Wall Street in un cocktail esplosivo. Palantir, con la sua abilità nell’integrazione dei dati, si allea con Anduril Industries, campione dell’intelligenza artificiale applicata alla difesa, per tentare un colpo da maestro. Ma sul ring c’è Lockheed Martin, il pugile pesante che non ha alcuna intenzione di fare il tappeto.
Immaginate la scena: 800 generali, ammiragli e ufficiali di alto rango costretti a un raduno convocato all’improvviso a Quantico, in Virginia, quartier generale simbolico della potenza militare americana. Sul palco, Pete Hegseth, ex conduttore televisivo e ora improvvisato “segretario alla guerra”, un titolo che non esiste ma che lui ostenta con la sicurezza di chi confonde la propaganda con la dottrina. Quarantacinque minuti di discorso, slogan compreso, quel “FAFO” che nel gergo goliardico dei marines significa fondamentalmente “provaci e vedrai”. Un linguaggio più adatto a una t-shirt da palestra che a un’agenda strategica del Pentagono. Non sorprende che la platea abbia reagito con imbarazzo, un silenzio glaciale interrotto solo da qualche sorriso teso, mentre le telecamere cercavano invano un applauso spontaneo.
Il linguaggio è sempre un indizio di potere. Quando si smette di parlare di “difesa” e si inizia a evocare il “Dipartimento della Guerra”, il rebranding non è solo estetico: è un’ammissione che il cuore pulsante dell’innovazione tecnologica americana oggi non è più la Silicon Valley con i suoi unicorni sorridenti, ma l’apparato militare-industriale. Non è un caso che, mentre si discute di shutdown governativo e di contratti congelati in settori come istruzione, sanità o climatizzazione, il rubinetto per la tecnologia bellica rimanga sempre aperto. Gli analisti la chiamano continuità operativa. Io la chiamo immunità politica.
I Balcani Occidentali continuano a essere un nodo cruciale per la sicurezza euro-atlantica, un punto dove le fragilità locali possono avere ripercussioni continentali. La conferenza di Sarajevo sulla sicurezza si è consolidata come piattaforma capace di trasformare il dialogo in iniziativa concreta, alimentando partnership indispensabili in un contesto globale sempre più complesso e frammentato. Non parliamo di rituali diplomatici sterili: qui si testa la resilienza della sicurezza europea in tempo reale.
Quello che sta succedendo alle Nazioni Unite è quasi surreale: in un colpo solo l’intelligenza artificiale è stata messa nello stesso club di armi nucleari e agenti chimici, come se fosse una questione di deterrenza strategica e non un software che oggi genera testi e immagini per TikTok e domani decide chi vive e chi muore in un teatro di guerra.
Quando un organo come il Consiglio di Sicurezza inizia a parlare di “red lines” globali è perché qualcuno ha già intuito che la tecnologia non è più sotto controllo. Geoffrey Hinton e Yoshua Bengio, definiti i “padrini” dell’AI, non parlano per amore di retorica accademica, ma perché conoscono dall’interno la traiettoria di un settore che corre più veloce delle istituzioni che dovrebbero regolamentarlo. Se dieci Premi Nobel firmano un appello con loro, il messaggio è semplice: non bastano i panel, servono trattati vincolanti.
AI Fact Checking Chi si occupa di analisi militare o di fact-checking sa quanto la distinzione tra propaganda e dati reali possa diventare labile, soprattutto in un contesto come quello attuale, dove Russia e Ucraina dominano i titoli, e la stampa mainstream italiana spesso si limita a ripetere comunicati senza verificare. Ho raccolto e rielaborato dati su intercettazioni e incursioni russe ai confini NATO, incrociando fonti ufficiali, istituzionali e di stampa tecnica, verificando la coerenza dei numeri e la reputazione delle fonti. Le fonti principali includono i comunicati del NATO Allied Air Command e di SHAPE, report di settore come Aviation Report e Defense News, e media specializzati come Stars and Stripes e War on the Rocks. Per ciascun dato ho confrontato almeno tre elementi indipendenti, da statistiche a comunicati, valutando affidabilità e storicità.
Trump non è mai stato un campione della coerenza strategica, ma il vertice di Anchorage con Putin ha confermato un fatto elementare che nessuno a Washington o Mosca osa più dire ad alta voce: la stagione del controllo degli armamenti è finita, quella della paranoia atomica è tornata.
Il tentativo goffo di trascinare Pechino dentro una cornice trilaterale di “denuclearizzazione” ha avuto l’effetto opposto. La Cina ha alzato le spalle e ricordato con tono glaciale che il proprio arsenale, ancora modesto se confrontato con quello americano o russo, non merita affatto di essere discusso sullo stesso piano. Non è una questione di numeri, è una questione di percezione geopolitica. Xi Jinping non ha alcun interesse a trasformare il suo status di outsider nucleare in quello di comprimario in un teatro dominato dagli eredi della Guerra fredda.
Kim Jong Un non ama le mezze misure, e la sua ultima dichiarazione lo dimostra: l’intelligenza artificiale è diventata “una priorità assoluta” per modernizzare le armi della Corea del Nord.
Non parliamo di chatbot che scrivono poesie, ma di droni autonomi, sistemi di sorveglianza e motori a combustibile solido per missili intercontinentali. In poche settimane, Pyongyang ha mostrato al mondo due carte decisive: test militari con droni e ricognitori basati su AI e un nuovo motore a propellente solido per vettori intercontinentali. Un messaggio chiaro a Washington, Seul e Tokyo: la Corea del Nord non è più quella dei tempi in cui il regime era deriso per i lanci falliti nel Mar del Giappone.
Ricordiamoci sempre che l’AI è una tecnologia DUALE, C’è sempre un lato Civile e uno Militare, di cui sappiamo poco e niente.
Palantir Technologies, la società di data mining con legami con la CIA, è pronta a siglare un contratto da circa 1 miliardo di dollari (750 milioni di sterline) con il Ministero della Difesa del Regno Unito, come parte della visita ufficiale del presidente Trump nel paese. Questo accordo segna un passo significativo nell’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle operazioni militari britanniche.
Il contratto quinquennale prevede che Palantir analizzi vasti volumi di dati provenienti da diverse fonti, tra cui registri medici, logistica, formazione e necessità di equipaggiamento, per ottimizzare la prontezza e la distribuzione delle forze armate. In particolare, l’AI di Palantir sarà utilizzata per identificare lacune nel reclutamento e determinare la idoneità dei soldati per le missioni. Inoltre, il sistema aiuterà a gestire la manutenzione degli asset militari, migliorando l’efficienza operativa complessiva.
Inizio il pezzo sbriciolando l’illusione più comune: non si tratta soltanto di due leader che si stringono la mano davanti alle telecamere, ma di catene di approvvigionamento, licenze, e magneti così piccoli da non farsi notare ma abbastanza vitali da mettere a ginocchio un aereo da combattimento. La finestra di novembre per una possibile visita del presidente Trump in Cina, collocabile intorno al vertice APEC in Corea del Sud, non è soltanto diplomazia di facciata; è il tentativo di trasformare una tregua tariffaria fragile in una soluzione negoziale concreta. L’accordo che mantiene le tariffe a livelli elevati ma stabili è stato esteso fino al 10 novembre 2025, creando una scadenza che funziona come una clessidra per negoziatori nervosi.
Navigazione quantistica: quando persino i super‐jet e i droni smettono di chiedersi “succede qualcosa al satellite?” e iniziano a fidarsi di atomi, campi magnetici e fotoni (non sto scherzando). Non è fantascienza, è un investimento strategico del Pentagono. Il Department of Defense ha fatto girare la ruota del budget RDT&E del FY 2026, arrivando a 179 miliardi di dollari, e dentro c’è una linea chiamata “Quantum Application” che attraversa tutte le forze armate. Dietro quel nome pomposo si nasconde l’ossessione per sensori quantistici, crittografia post‐quantistica e navigazione alternativa al GPS.
L’europa ama definirsi autonoma, sovrana, indipendente. Poi arriva un report con un titolo quasi burocratico, “Progress and Shortcomings in European Defense”, e scopriamo che per sostituire solo l’intelligence americana servirebbero 4,8 miliardi di euro. Una cifra che sembra piccola se confrontata con i bilanci pubblici, ma gigantesca se pensiamo che non si tratta di investimenti in nuove capacità offensive, bensì della semplice necessità di comprare ciò che gli Stati Uniti non vogliono più regalare. Siamo entrati nel paradosso: il vecchio continente pretende il ruolo di potenza geopolitica, ma dipende per occhi e orecchie dal Pentagono.ù
Immagina la più grande potenza militare del mondo che scopre all’improvviso di spendere più per pagare i creditori che per i missili ipersonici. Sembra una barzelletta, e invece è il nuovo volto del bilancio federale americano: oltre 1.130 miliardi di dollari in interessi sul debito nazionale, a fronte di 1.125 miliardi destinati alla difesa. Se usiamo la definizione più stretta del Pentagono, la cifra militare scende addirittura a 850 miliardi, rendendo ancora più imbarazzante la sproporzione. Wall Street sorride, i contribuenti no.
In teatro operativo contemporaneo, ogni secondo conta e ogni errore si paga in uomini, mezzi e tempo. La tecnologia del Digital Twin (DT) non è un mero strumento digitale: è un asset strategico che trasforma informazioni in vantaggio operativo, simulazioni in decisioni tattiche e dati in superiorità sul campo. Il DT costituisce un duplicato dinamico di sistemi, persone e ambienti, alimentato da flussi reali di informazioni, capace di apprendere, analizzare e suggerire azioni preventive. Nel linguaggio di comando, rappresenta un quartier generale invisibile, sempre aggiornato, che supporta ogni livello decisionale senza stancarsi né commettere errori.
La natura bidirezionale del DT consente un dialogo costante tra assetto fisico e gemello digitale. Sensori avanzati trasmettono dati in tempo reale, mentre il modello virtuale analizza, prevede e consiglia interventi correttivi. Esercitazioni simulate, fino a ieri riservate ai manuali teorici, diventano scenari predittivi, riducendo rischi e costi operativi. In termini concreti, significa mantenere la piena prontezza dei veicoli corazzati con una riduzione fino al 30% dei tempi di manutenzione programmata, o addestrare piloti su scenari complessi senza esporre assetti reali al rischio di incidenti.
La pressione cresce e i vertici della sicurezza israeliana invitano il primo ministro Benjamin Netanyahu a fare un passo indietro sulla spinta militare a Gaza City. Invece di espandere l’offensiva terrestre contro Hamas, leader dell’IDF, del Mossad e del Ministero degli Esteri propongono di negoziare una tregua temporanea che possa garantire il rilascio degli ostaggi e prevenire il peso a lungo termine del governo militare su Gaza.
Durante una riunione di sei ore del gabinetto di sicurezza, il capo di stato maggiore dell’IDF, Eyal Zamir, ha avvertito che un’escalation rischierebbe di lasciare Israele responsabile della gestione quotidiana di Gaza. Il capo del Mossad, David Barnea, e il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar hanno espresso preoccupazioni simili, sottolineando la necessità di alternative diplomatiche. La proposta di una tregua temporanea con Hamas potrebbe liberare alcuni ostaggi rimasti, evitare un coinvolgimento profondo nella governance di Gaza e ridurre i rischi di instabilità regionale.
Dopo anni di dibattito e attesa, il Cybersecurity Maturity Model Certification, noto come CMMC, fa il salto dalla politica alla pratica concreta. Il 25 agosto 2025, l’Office of Information and Regulatory Affairs (OIRA) ha approvato la regola di acquisizione del Dipartimento della Difesa negli Stati Uniti contenuta nel Titolo 48 del Code of Federal Regulations, segnando l’ultimo passo prima della pubblicazione nel Federal Register. Tradotto in termini chiari: le aziende che vogliono lavorare con il Pentagono dovranno rispettare standard di cyber-sicurezza rigorosi, senza eccezioni.
L’approvazione da parte di OIRA è stata sorprendentemente rapida: appena 34 giorni, un record per le procedure federali. Ora il percorso verso l’entrata in vigore è completo, con il Federal Register pronto a fissare la data effettiva della regola. Per la catena di fornitura della difesa, le implicazioni sono immediate e profonde. Si stima che tra 220.000 e 300.000 contractor e subappaltatori rientrino nel campo di applicazione, di cui circa 80.000 dovranno ottenere la certificazione CMMC di Livello 2. Ad oggi, alla fine di agosto 2025, solo 270 organizzazioni possiedono un certificato finale, indicando la salita ripida che molti dovranno affrontare per restare competitivi.
Per decenni dopo la Guerra Fredda, l’Europa è stata percepita come militarmente debole, incapace di difendersi senza il sostegno degli Stati Uniti. Dalla firma degli Accordi di Dayton negli anni ’90 alla Guerra in Iraq del 2003, il continente ha faticato a imporsi come attore coeso nelle questioni globali. Oggi, di fronte alla guerra in Ucraina, l’Europa ha consolidato influenza politica, economica e militare, conquistando un ruolo decisivo nella gestione di scenari che un tempo erano appannaggio esclusivo di Washington.
Gli anni iniziali furono segnati da limiti strutturali. Durante le guerre jugoslave, la frammentazione europea costrinse gli Stati Uniti a guidare le negoziazioni a Dayton, Ohio. Nel 2003, la guerra in Iraq rivelò divisioni profonde: alcuni paesi sostenevano Washington, altri si opponevano, mentre gli stati baltici si schierarono principalmente per dimostrare il loro valore come membri della NATO. L’Europa sembrava incapace di parlare con una voce unica, figuriamoci di guidare decisioni strategiche autonome.
Per decenni, gli osservatori occidentali hanno deriso la crescita tecnologica della Cina come imitativa: una costruzione basata su sussidi, copiature e appropriazione di proprietà intellettuale. Oggi quel racconto appare obsoleto. La Cina non solo compete, ma innova su più fronti, dall’industria dei veicoli elettrici all’intelligenza artificiale, fino a dimostrazioni militari che segnano un punto di svolta nel potere globale. Il 3 settembre, la parata militare a Pechino ha tolto ogni dubbio: le forze armate cinesi ora mostrano capacità tecnologiche avanzate che non possono più essere ignorate.
Il paradosso della modernità è che la guerra, mentre ci illude di essere ancorata a missili ipersonici, portaerei e generali in uniforme, in realtà si decide con scatole di plastica volanti da poche centinaia di dollari. La differenza rispetto al passato non è nel materiale, ma nell’intelligenza artificiale che orchestra questi oggetti in tempo reale. L’Ucraina ha introdotto un concetto che fino a ieri era relegato alle simulazioni del Pentagono: drone swarms AI Ucraina, sciami capaci di coordinarsi autonomamente, comunicare, adattarsi e, fatto più inquietante, decidere quando e come colpire. Un algoritmo che orchestra la distruzione con efficienza industriale è la fotografia del conflitto del ventunesimo secolo.
Il teaser finale: immaginate di leggere “quantum networking” e pensare “bella roba, ma dove lo metto nel mio cavo ethernet?”. Bene, benvenuti nel QuANET di DARPA, la scommessa militare con più stile di un thriller finanziario sul futuro delle reti. QuANET darpa quantum networking è la speranza che le avanzate tecnologie quantistiche non restino relegate ai lab, isolate come aristocratici al gala delle innovazioni.
Appena dieci mesi dopo il lancio del programma—iniziato nel marzo 2024—si è tenuto un hackathon inter-team che ha realizzato il primo network effettivamente quantistico-aumentato: messaggi trasmessi su collegamenti sia classici sia quantistici, senza interruzioni (DARPAQuantum Computing Report).
La guerra fredda dell’Intelligenza Artificiale: geostrategia, difesa e il cinismo delle superpotenze
Nel panorama geopolitico contemporaneo, l’intelligenza artificiale (AI ) sta riscrivendo le regole del gioco. Non si tratta solo di algoritmi, robot e reti neurali, ma di una vera e propria corsa per dominare il futuro globale. Gli Stati Uniti e la Cina sono in prima linea in questa guerra fredda digitale, dove ogni bit di progresso tecnologico è un’arma nel conflitto di potere che coinvolge risorse militari, economiche e politiche. In questa nuova frontiera, l’AI non è solo un motore di innovazione, ma un gigantesco campo di battaglia, un campo dove il cinismo delle superpotenze emerge in tutta la sua crudezza.
Quando Palantir Technologies chiude un accordo da 10 miliardi di dollari con l’esercito statunitense, non sta vendendo solo software. Sta vendendo visione, dominio cognitivo e l’illusione di una guerra algoritmica vinta prima ancora di essere combattuta. Questa non è una semplice commessa: è l’incoronazione. Il Dipartimento della Difesa ha appena reso Palantir il suo oracolo ufficiale, il suo motore di decisione, la sua lente analitica sul caos del mondo moderno.
La notizia, riportata anche dal Washington Post con enfasi degna di una vittoria elettorale, è chiara: un contratto quadro da 10 miliardi di dollari, potenzialmente valido per i prossimi dieci anni. Unificati sotto un’unica architettura 75 contratti sparsi, 15 principali e 60 correlati, come un esercito disordinato riunito finalmente sotto un’unica bandiera. L’obiettivo dichiarato? Ridurre i tempi di approvvigionamento, offrire accesso rapido agli strumenti di analisi, intelligenza artificiale e integrazione dati. L’obiettivo reale? Molto più ambizioso: riscrivere le regole del potere operativo.