Il mercato globale dell’intelligenza artificiale sta subendo una trasformazione radicale, e pochi casi illustrano meglio le tensioni tra innovazione, governance e rischio strategico di OpenAI. La ristrutturazione dell’azienda, attesa da mesi, rischia di far saltare un investimento da 10 miliardi di dollari da parte di SoftBank, mettendo in discussione non solo la sua valutazione da 300 miliardi, ma anche la timeline per una IPO prevista inizialmente nel 2024. Per gli investitori, ogni giorno di ritardo è un piccolo terremoto nei portafogli. La promessa di guadagni esplosivi dall’AI si scontra con una complessità gestionale che pochi altri settori conoscono.

La disputa con Microsoft è il fulcro della crisi. L’esclusività di Azure come infrastruttura cloud principale di OpenAI garantisce a Microsoft un ruolo da guardiano, mentre l’azienda di Sam Altman spinge verso la diversificazione con AWS e Google Cloud. La contraddizione è palese: l’accordo con Microsoft offre stabilità e accesso privilegiato a risorse essenziali, ma limita la libertà strategica di OpenAI e aumenta i rischi di dipendenza. L’inserimento della cosiddetta “clausola AGI”, che permette all’azienda di revocare a Microsoft l’accesso alla proprietà intellettuale in caso di sviluppo di intelligenza artificiale generale, aggiunge un elemento di drammaticità: per Microsoft è un rischio strategico, per OpenAI un’assicurazione contro il monopolio tecnologico.

Il valore in gioco è gigantesco. SoftBank ha vincolato i suoi 10 miliardi all’ultimazione della ristrutturazione entro il 31 dicembre 2024. Un mancato completamento potrebbe far deragliare non solo il flusso di finanziamento ma anche la IPO stessa. Eppure, la valutazione dell’azienda vola già a 300 miliardi, con rumor di una secondary stock sale da 500 miliardi. Questa dicotomia tra valutazione stellare e rischi di governance impone agli investitori una riflessione: il futuro guidato dall’AI vale la volatilità e l’incertezza attuali?

Il passaggio da LLC a public benefit corporation è la chiave per l’IPO, ma ogni ritardo solleva bandiere rosse. Microsoft detiene tra il 30 e il 35% della società ristrutturata e le questioni su API e diritti di proprietà intellettuale restano aperte. L’incapacità di definire questi termini potrebbe spostare la IPO al 2026, dilatando il tempo necessario agli investitori iniziali per monetizzare e mantenendo alta l’ansia da liquidità. La clausola AGI aggiunge un ulteriore strato di rischio: cederla significherebbe comprometterne l’autonomia, mantenerla potrebbe costare l’accesso alle infrastrutture critiche. La governance dell’AI diventa così un campo minato finanziario oltre che etico.

La mossa strategica verso Oracle, con un contratto cloud da 30 miliardi, è un segnale chiaro di diversificazione. Riduce la dipendenza da Microsoft e apre la strada al progetto Stargate, ma complica le trattative con Azure. Per gli investitori, la partnership cloud multipla rafforza il potere negoziale, ma rischia di frammentare l’ecosistema di OpenAI, diluendo l’efficacia dei suoi modelli AI. Qui la valutazione AI incontra la complessità infrastrutturale: un ecosistema frammentato può tradursi in un vantaggio competitivo temporaneo, ma anche in un rischio di incoerenza operativa.

Guardando ai numeri, l’azienda mostra una crescita impressionante. I 12,7 miliardi di dollari di ricavi annualizzati e l’adozione rapida delle sue soluzioni enterprise giustificano il premio valutativo. Tuttavia, le proiezioni indicano perdite per 14 miliardi entro il 2026, sottolineando i rischi operativi. Gli investitori devono monitorare tre fattori critici: i progressi nelle trattative con Microsoft, la supervisione regolatoria e la pressione competitiva di rivali come Anthropic e Google DeepMind. La strategia di investimento più saggia sembra essere la diversificazione: mentre OpenAI rappresenta un’opportunità di alto rendimento, capitali aggiuntivi dovrebbero fluire in provider cloud complementari o in framework di AI ethics.

Questa fase dell’AI gold rush non ammette fretta. La capacità di OpenAI di risolvere le dispute con Microsoft e assicurarsi il finanziamento SoftBank determinerà se la sua valutazione da 500 miliardi rimarrà un obiettivo realistico o diventerà un monito per il settore. L’industria dell’intelligenza artificiale non premia i deboli o i distratti: governa chi sa combinare visione tecnologica e disciplina strategica. OpenAI è la cartina di tornasole di questa nuova era, dove la leadership tecnologica deve confrontarsi con la complessità finanziaria e normativa.

Chi saprà navigare tra partnership cloud conflittuali, ristrutturazioni ritardate e clausole AGI, avrà accesso a una fetta del mercato più trasformativo dal dopoguerra a oggi. La valutazione AI non è solo un numero: è il riflesso delle decisioni di governance, delle scelte strategiche e della capacità di gestire l’ecosistema tecnologico senza compromessi. In questa partita, pazienza e agilità sono più preziose di qualsiasi hype, e gli investitori più attenti stanno già calibrando i loro portafogli per cavalcare l’onda prima che diventi tsunami.