Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Autore: Dina Pagina 5 di 39

Direttore senior IT noto per migliorare le prestazioni, contrastare sfide complesse e guidare il successo e la crescita aziendale attraverso leadership tecnologica, implementazione digitale, soluzioni innovative ed eccellenza operativa.

Con oltre 20 anni di esperienza nella Ricerca & Sviluppo e nella gestione di progetti di crescita, vanto una solida storia di successo nella progettazione ed esecuzione di strategie di trasformazione basate su dati e piani di cambiamento culturale.

Un caffè al Bar dei Daini: Apple e Amazon tra nuvole tossiche, dazi di Trump e tribunali: benvenuti nell’era post-illusione tech


C’era una volta il rally tecnologico. Mercoledì, Meta e Microsoft avevano fatto brillare gli occhi a Wall Street come un bambino davanti alla vetrina di una pasticceria. Giovedì, invece, Apple e Amazon hanno spento la festa come uno zio ubriaco a un matrimonio: le trimestrali sono arrivate puntuali, ma l’effetto è stato un atterraggio morbido, quasi anestetico. La crescita? Un timido +5% per Apple e un più frizzante +9% per Amazon. Numeri dignitosi, ma assolutamente “normali”. Parola maledetta per chi vive e muore di storytelling iper-crescita.

Però qui la contabilità è solo la superficie. La vera frustrazione degli investitori si nasconde dietro una sigla antica e velenosa: dazi. Trump, che non ha ancora smesso di flirtare con le leve protezionistiche come fossero il telecomando del caos globale, ha rimesso sul tavolo le tariffe sull’import dalla Cina. E l’intero comparto tech americano è improvvisamente diventato un castello di vetro.

Quando Harvard ti dice no, tu fondi una startup da 30 milioni Cal ai

Nel grande zoo darwiniano della Silicon Valley, dove l’età media dei CEO sta diventando inversamente proporzionale alla capitalizzazione aziendale, la storia di Zach Yadegari è l’ennesima prova che l’università è, per alcuni, un ostacolo più che un trampolino. Mentre la Ivy League gli sbatteva le porte in faccia, lui apriva le app store con Cal AI, un’applicazione di fitness e nutrizione basata sull’intelligenza artificiale che oggi, a soli 18 anni, gli frutta proiezioni da 30 milioni di dollari all’anno. Tutto questo mentre frequenta l’ultimo anno di liceo.

Perché gli agenti AI non funzionano mai e cosa ha capito davvero Anthropic prima di tutti

Claude Code Best practices for agentic coding on memory management and tool

Mentre tutti sono impegnati a pubblicare paper che sembrano versioni patinate di PowerPoint motivazionali – pieni di buzzword, zero sostanza – Anthropic tira fuori un documento denso, ingegnerizzato, che finalmente puzza di olio di tastiera. Nessun marketing, niente storytelling emotivo da keynote, solo esperienze tecniche maturate sul campo: il risultato è un blueprint chirurgico per costruire agenti AI che funzionano davvero, in ambienti di produzione, e non solo in demo da conferenza.

Chi si occupa di LLM agent-based sa che il gap tra “demo in laboratorio” e “uso reale su repo con 30mila righe di codice legacy” è enorme. Il documento di Anthropic parte proprio da qui, spezzando il feticismo del prompt per promuovere un’architettura vera, pensata per agenti che devono convivere con CI/CD, branch Git e deploy continui. Ed è un cambio di paradigma: perché per quanto Claude sia il protagonista formale, le architetture delineate valgono benissimo per Codex, Copilot Workspace, Cursor o Goose: i principi sono solidi, Claude è solo il loro caso di studio.

Nvidia teme il drago: Huang avverte il congresso, Huawei può dominare l’intelligenza artificiale

In un incontro a porte chiuse degno di un thriller geopolitico, Jensen Huang, CEO di Nvidia, ha messo in allerta il Congresso degli Stati Uniti. Non si tratta di un nuovo lancio di chip o di un’altra conferenza sul futuro del gaming: stavolta il tema è esplosivo. Huawei, la nemesi tecnologica numero uno secondo Washington, starebbe guadagnando terreno nell’intelligenza artificiale, e non solo dal punto di vista teorico. A preoccupare Nvidia è il crescente potere computazionale dei chip AI di Pechino, che rischiano di stravolgere gli equilibri del mercato globale dei semiconduttori.

Il teatro dell’evento è stata una riunione con il Comitato per gli Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti USA. Non un evento pubblico, non uno di quei keynote patinati alla Silicon Valley: ma un confronto riservato, dove si è parlato di DeepSeek-R1 e scenari futuri che più che futuri sembrano già presenti. Il messaggio è chiaro: se i modelli AI open source venissero ottimizzati per l’hardware di Huawei, potremmo assistere a un’inversione di rotta epocale. In altre parole, l’ecosistema globale dell’AI potrebbe iniziare a orbitare attorno a chip cinesi, anziché americani.

Dietro la cortina del tecnicismo, si nasconde una guerra commerciale che è anche culturale, ideologica, sistemica. Le sanzioni imposte dagli Stati Uniti sui chip di Nvidia destinati alla Cina – pensate come un freno alla corsa tecnologica di Pechino – potrebbero avere l’effetto opposto: forzare Huawei ad accelerare il proprio sviluppo interno e creare una domanda globale per i propri prodotti. Lo scenario ipotizzato da Huang al Congresso ha il sapore della profezia autoavverante, in perfetto stile strategia del contenimento che alimenta ciò che tenta di sopprimere.

La minaccia non è più solo teorica. I chip AI di Huawei, come quelli impiegati per l’addestramento del modello DeepSeek-R1, stanno già ottenendo risultati preoccupanti (per gli americani) e promettenti (per chi vuole un’alternativa al monopolio di Nvidia). Il rischio reale, secondo quanto filtrato dalle fonti del Congresso, è che queste soluzioni cinesi vengano ottimizzate in modo aggressivo per funzionare meglio con software open-source, creando così uno standard de facto che emargina le tecnologie statunitensi dal mercato globale.

Gli investitori di Xai svelano le chiavi del successo: il reinforcement learning è davvero obsoleto?

La Silicon Valley è in piena transizione. Le buzzword si rincorrono, gli investimenti pivotano da un trend all’altro con l’agilità di un algoritmo impazzito, e oggi al centro della scena c’è Xai, startup blockchain e IA, uscita dal cilindro della scuderia Elon Musk-style, supportata da colossi come a16z e Multicoin Capital. Mentre la stampa generalista recita il rosario delle solite promesse – decentralizzazione, intelligenza artificiale, democratizzazione dell’accesso – dietro le quinte, gli investitori iniziano a porsi una domanda che pochi osano formulare ad alta voce: il reinforcement learning è già superato?

Il caso Xai è emblematico. L’azienda, che si definisce una “AI-native blockchain”, sta tentando di colonizzare un territorio che fino a ieri era dominato da soluzioni che impilavano modelli pre-addestrati e RLHF (Reinforcement Learning from Human Feedback). La promessa? Una rete progettata per agenti IA autonomi che interagiscono on-chain, senza umani a regolare il flusso. In teoria, un paradiso per chi sogna DAO alimentate da intelligenze artificiali, contratti intelligenti che si modificano da soli, ed economie algoritmiche dove l’umano è spettatore più che protagonista.

TikTok scommette sulla Finlandia: 1 miliardo per blindare i dati europei e sfidare la paranoia occidentale

ikTok investirà un miliardo di euro per costruire il suo primo data center in Finlandia, a conferma di una strategia che cerca disperatamente di convincere l’Occidente che ByteDance la casa madre con sede in Cina non è un cavallo di Troia al servizio del Partito Comunista. Confermato da un portavoce dell’azienda, ma senza alcun dettaglio aggiuntivo (per non rovinare la suspense?), il progetto si inserisce nel più ampio piano da 12 miliardi di euro noto come Project Clover, una sorta di foglia di fico digitale pensata per coprire le pudenda della privacy europea.

La Finlandia non ha ancora commentato ufficialmente. Ma se guardiamo ai numeri, capiamo che Helsinki non sta aspettando il via libera morale: nel paese sono previsti oltre 20 nuovi data center per un valore totale di circa 13 miliardi di euro e una capacità stimata di 1,3 gigawatt. Non è solo una questione di freddo anche se le basse temperature aiutano a raffreddare i server senza dover costruire centrali nucleari per alimentare l’aria condizionata ma di energia green a basso costo e infrastrutture digitali che fanno gola ai giganti del tech, da Microsoft a Meta. Come ha sottolineato Brad Smith, presidente di Microsoft, “Finlandia significa energia carbon free e ottima connettività: la combo perfetta per servire tutto il continente”.

Alibaba sfida gli dei dell’AI: la Cina ora parla il linguaggio di Qwen3

Mentre l’Occidente dorme sugli allori di ChatGPT, Alibaba si sveglia di soprassalto e lancia la terza generazione del suo modello di intelligenza artificiale open source: Qwen3. Non si tratta di un semplice aggiornamento, ma di una vera e propria dichiarazione di guerra simbolica e tecnologica, fatta di miliardi di parametri, codice open source e una narrativa cinese sempre meno sottomessa al monopolio americano. L’annuncio, avvenuto a Hangzhou per bocca di Alibaba Cloud, sancisce non solo un balzo evolutivo nella corsa globale all’AI, ma anche l’ascesa incontestabile del modello cinese all’interno della comunità open source mondiale.

Otto modelli, da 600 milioni a 235 miliardi di parametri, distribuiti con la stessa disinvoltura con cui si carica un’app su GitHub o Hugging Face, dimostrano che l’era in cui solo gli Stati Uniti detenevano la leadership del pensiero computazionale sta volgendo al termine. Il Qwen3-235B, la punta di diamante della famiglia, ha superato i mini modelli di OpenAI come o3-mini e o1, e anche l’R1 di DeepSeek, in ambiti dove solitamente si celebrava solo l’inglese algoritmico: comprensione linguistica, conoscenza specialistica, matematica e programmazione. E lo ha fatto da open source. Ironico.

Un caffè al Bar dei Daini Meta e Microsoft contro la paranoia da recessione: la realtà tecnologica batte la narrativa economica

1 Maggio, festa dei lavoratori, il BAR è giustamente chiuso!

Nel teatro sempre più disordinato dell’economia americana, dove la politica commerciale di Donald Trump gioca al flipper tra dazi, minacce e improvvisi rovesciamenti, la narrazione dominante racconta di imprese che tremano all’orizzonte di una recessione. La volatilità, l’incertezza, e la paranoia sono moneta corrente nei salotti dei macroeconomisti e nei report delle banche centrali. Eppure, due colossi della tecnologia americana hanno appena gettato un secchio d’acqua gelata su queste ansie da crollo: Microsoft e Meta, in barba al mood catastrofista, hanno pubblicato risultati trimestrali sorprendentemente robusti. E non stiamo parlando di briciole.

Susan Li, la Chief Financial Officer di Meta, ha fotografato un mese di aprile più roseo del previsto. A parte un evidente freno della spesa da parte delle piattaforme asiatiche di e-commerce che invadono il mercato americano (Temu e Shein, i due dragoni digitali low-cost), tutto il resto del panorama appare, nella sua parole, “sano”. Nessun collasso imminente, nessuna fuga dai consumi, niente che somigli nemmeno vagamente a un preludio recessivo. L’economia reale, almeno quella che scorre nei cavi in fibra e nei data center, sembra immune alle tensioni geopolitiche e tariffarie.

Roberto Navigli LLM e semantica: il grande inganno dell’intelligenza artificiale

Le grandi promesse dei modelli linguistici di nuova generazione si scontrano con una realtà imbarazzante: non capiscono davvero il significato delle parole. La loro capacità di generare testo è impressionante, la fluidità con cui costruiscono frasi è sorprendente, ma quando si scava sotto la superficie emerge un problema: la comprensione del linguaggio da parte degli LLM è molto più fragile di quanto sembri.

A dirlo in una recente intervista ad aihub.org  non è uno scettico dell’intelligenza artificiale, né un nostalgico dell’epoca pre-LLM, ma un ricercatore che lavora proprio su questi temi il Prof Roberto Navigli. La fluidità, ovvero la capacità di generare testo in modo scorrevole e convincente, ha ingannato molti. Abbiamo partecipato a un’ondata di entusiasmo, con aziende e media che parlano di questi modelli come se fossero dotati di una vera comprensione linguistica. Ma la realtà è che, quando si tratta di afferrare il senso profondo delle parole, soprattutto nei loro usi meno comuni, gli LLM brancolano nel buio.

3D GUIDED GENERATIVE AI Nvidia trasforma la generazione di immagini AI: ora si parte dal 3D per dominare il 2D

Nvidia ha appena sganciato un’altra bomba sul mercato della generazione di immagini guidate dall’intelligenza artificiale, e stavolta ha deciso di ribaltare l’ordine naturale delle cose. Anziché partire da prompt testuali ambigui e frustranti, si parte da uno spazio 3D costruito manualmente. Il risultato? Un workflow che promette di trasformare i designer da scribacchini del prompt a veri e propri registi visivi dell’AI generativa.

Si chiama Nvidia AI Blueprint for 3D-guided generative AI, un nome talmente ingegneristico che ti fa venire voglia di leggere il manuale di istruzioni solo per principio. Ma sotto questa facciata da white paper per dottorandi si nasconde una potenza creativa reale: scaricabile da oggi, funziona su PC equipaggiati con una GPU Nvidia RTX 4080 o superiore. Il cuore del sistema è un ponte fra Blender — lo strumento 3D open source più popolare fra creativi, architetti e sviluppatori indie e FLUX.1, il motore generativo creato dal laboratorio tedesco Black Forest Lab.

American panopticon: la fine della privacy tra Silicon Valley e Stato profondo

La storia del Panopticon nasce nel 1791, ma la sua realizzazione più perversa sta accadendo adesso, sotto gli occhi impassibili dell’opinione pubblica e grazie a una convergenza inquietante tra potere politico, infrastruttura digitale e sorveglianza algoritmica. Jeremy Bentham l’aveva pensato per le prigioni, uno strumento architettonico per il controllo totale con il minimo sforzo. Ora siamo di fronte a una trasmutazione concettuale: da prigione fisica a prigione algoritmica. Da struttura penitenziaria a infrastruttura statale.

E se c’è un luogo dove questa distopia sta prendendo forma con velocità inquietante, è negli Stati Uniti d’America.

AI e la legge dei ritorni decrescenti come quando ti sposi

Sembra quasi il matrimonio di lunga data tra le Big Tech e le scaling laws: all’inizio fu passione, promesse di AGI e cieli infiniti, poi arrivano i calzini per terra, tubetto del dentifricio e la noia del sabato sera senza aver rinnovato Netflix o Prime. Le stesse formule che ci avevano dato ChatGPT e l’illusione dell’intelligenza artificiale onnisciente iniziano a mostrare rughe profonde. Non è un divorzio, sia chiaro, ma il romanticismo tra “più dati, più GPU, più neuroni” e progresso esponenziale si è incrinato. Oggi, persino i padri fondatori dell’hype cominciano a cercare nuove amanti concettuali: benvenuti nell’era della “test-time compute”.

Negli ultimi cinque anni, le AI labs hanno creduto in una religione molto semplice: se vuoi che un modello diventi più bravo, devi solo ingrassarlo. Più parametri, più dati, più potenza. Un banchetto infinito in cui l’intelligenza sembrava salire in modo lineare, o addirittura esponenziale, col solo gesto di accendere più GPU. Ma la festa, come ogni after che si rispetti, ora puzza di stantio. E chi ha investito miliardi nella dieta proteica dell’AI oggi scopre che il metabolismo è cambiato. Digerisce male, ingrassa poco, e i risultati non sorprendono più.

Wells Fargo Microsoft e la sua evoluzione strategica nei data center: La nuova era del cloud

La recente decisione di Microsoft di fermarsi nell’espansione della propria capacità di data center autogestiti ha suscitato alcune domande sull’approccio infrastrutturale della compagnia, in particolare alla luce della sua partnership con OpenAI. Questa mossa, sottolineata dagli analisti di Wells Fargo, appare come una parte di un ripensamento strategico che Microsoft sta facendo nella gestione della propria infrastruttura, piuttosto che un segnale di rallentamento nella domanda. La causa principale di questo cambiamento risiede nel mutato rapporto tra Microsoft e OpenAI, che sta influenzando profondamente le scelte di Microsoft nella costruzione di nuovi data center.

Lyft lancia il suo “Earnings Assistant”: AI, fumo negli occhi o vera rivoluzione per gli autisti?


Nel mondo a trazione algoritmica del 2025, anche guidare per vivere non è più un’attività a basso contenuto tecnologico. Lyft il fratello minore e meno arrogante di Uber ha appena lanciato in un nuovo strumento AI chiamato “Earnings Assistant”. Lo scopo dichiarato è quello di aiutare gli autisti a “ottimizzare il tempo sulla strada”. In realtà, sembra più un modo per tenere gli autisti in una bolla di efficienza iper-cinetica, dove ogni minuto è una commodity e ogni curva è monitorata da un’intelligenza artificiale dal sorriso sintetico.

Alibaba lancia Qwen3 e sfida OpenAI: il colosso cinese vuole dominare l’IA open source

Mentre l’Occidente si agita attorno ai soliti noti – OpenAI, Google, Meta – in Cina il gioco si fa decisamente più spietato, veloce e silenzioso. Alibaba, il gigante di Hangzhou spesso relegato alla narrativa dell’e-commerce, ha appena calato il suo asso nella manica: Qwen3, la terza generazione del suo modello AI open source. E questa volta non si accontenta di rincorrere. Vuole comandare.

Il pacchetto Qwen3 non è un giocattolo per ricercatori o un demo da startup affamata di attenzione. Parliamo di otto modelli, dai più leggeri a 600 milioni di parametri fino al colosso da 235 miliardi, con l’ambizione dichiarata – e supportata da benchmark – di battere o eguagliare OpenAI, Google e DeepSeek su compiti chiave come il code generation, problem solving matematico e la comprensione complessa delle istruzioni. Non è una dichiarazione di intenti: è una minaccia industriale.

LlamaCon Meta AI app e la guerra invisibile dei cloni digitali

Nel silenzio assordante della Big Tech che gioca a Risiko con i dati personali, Meta torna sul campo da gioco con una mossa tanto prevedibile quanto chirurgicamente strategica: il lancio ufficiale di Meta AI, il suo assistente virtuale basato su Llama, l’ormai celebre modello linguistico proprietario. E lo fa con un piglio che tradisce un’ambizione chiara: sfidare apertamente ChatGPT, ovvero il poster boy della rivoluzione AI targata OpenAI.

Dietro al solito comunicato stampa zuccheroso, infarcito di parole come esperienza sociale, personalizzazione, riflesso del mondo reale, si cela l’ennesimo tentativo di Meta di piantare la sua bandierina nel Far West dell’intelligenza artificiale generativa.

Effective Accelerationism, e/acc e Stato profondo: come DARPA, NSA e Pentagono usano la Silicon Valley per dominare il futuro

C’era una volta, in quella fiaba aziendalista chiamata Silicon Valley, una generazione di tecnologi illuminati che giuravano fedeltà al “lungotermismo”, quella nobile idea secondo cui l’umanità dovrebbe pensare in grande, guardare ai secoli futuri e proteggersi dai famigerati “rischi esistenziali” dell’intelligenza artificiale.

Sembrava quasi che ogni startupper con un conto miliardario si considerasse un custode della civiltà, intento a garantire che i robot non sterminassero i loro stessi creatori mentre sorseggiavano un matcha latte.

Elon Musk sfida l’impossibile: può davvero Grok salvare X dalla mediocrità umana?


Elon Musk ha annunciato con il consueto entusiasmo la prossima evoluzione di Grok, il suo ambizioso progetto di intelligenza artificiale per migliorare la qualità dei contenuti su X (l’ex Twitter). Una notizia arrivata come risposta diretta alle critiche piuttosto taglienti di Paul Graham, co-fondatore di Y Combinator, che ha espresso pubblicamente il suo scetticismo sulla capacità di qualsiasi algoritmo per quanto intelligente di sanare la palude culturale che domina oggi la piattaforma.

Chi sarà il prossimo Papa il 7 maggio ? Gli algoritmi scommettono su Tagle, ma i mercati puntano su Parolin

La morte di Papa Francesco ha scosso il mondo, e ora, come da tradizione, il Collegio dei Cardinali si prepara a quel rito tanto sacro quanto spietatamente politico: il Conclave. L’evento che, nei prossimi decenni, potrebbe plasmare il volto della Chiesa Cattolica come pochi altri. Mentre i fedeli recitano rosari e invocano lo Spirito Santo per ispirare i cardinali, dietro le quinte si muovono interessi geopolitici, calcoli di opportunità e, sorprendentemente, anche le previsioni delle intelligenze artificiali più sofisticate del pianeta.

In un esperimento che definire “divino” sarebbe eccessivo ma “illuminante” forse no, tredici modelli di intelligenza artificiale avanzata sono stati messi alla prova per rispondere a una domanda semplice quanto temeraria: chi sarà il prossimo Papa? E ancora: chi sarebbe il miglior Papa possibile per traghettare la Chiesa nel prossimo futuro?

Blackrock suona la carica: investire nell’IA è l’unica certezza nel caos globale

Gli analisti di BlackRock, con il solito aplomb da “padroni universali dei portafogli”, ci ricordano che l’unica ancora di salvezza nei marosi della volatilità geopolitica è mantenere esposizione su azioni guidate dall’intelligenza artificiale, come quelle rappresentate dal fondo NYSEARCA:AIEQ.

La dichiarazione, contenuta nel loro Spring Investment Directions Report, suona come una predica tecnocratica: “aziende altamente profittevoli e con bilanci solidi sono quelle che riusciranno a navigare in questo mare agitato”. E chi siamo noi per contraddirli? In fondo, BlackRock è quel tipo di entità che potrebbe probabilmente comprare un paese a colazione.

Distant writing: come l’intelligenza artificiale sta reinventando la scrittura e demolendo l’autore

Benvenuti nella nuova era della “distant writing”, un concetto introdotto da Luciano Floridi, che si candida ad essere la prossima rivoluzione copernicana della letteratura. Se prima si parlava di “distant reading”, ovvero l’analisi computazionale dei testi su larga scala proposta da Franco Moretti, oggi il pendolo si sposta ancora più in là: non ci limitiamo a leggere macro-pattern letterari, ora li generiamo direttamente con l’ausilio di modelli di linguaggio come GPT.

Nvidia e ByteDance: l’oro dei chip in fuga, e Tencent e Alibaba fanno incetta come sciacalli

Geopolitica: Nel teatrino tecnologico globale, mentre l’Occidente si accapiglia su etica dell’AI e regolamenti da salotto, in Cina si combatte una guerra ben più tangibile: quella per la potenza computazionale. La notizia arriva direttamente da Caijing: Tencent Holdings e Alibaba Group Holding hanno svuotato gli scaffali virtuali di ByteDance, comprandosi una bella fetta dei suoi preziosissimi chip grafici (GPU) Nvidia. E mica noccioline: parliamo di qualcosa che ruota attorno ai 100 miliardi di yuan, circa 13,7 miliardi di dollari americani. ByteDance, che già aveva stivato GPU come un contadino medievale nascondeva il grano prima della carestia, ora cede parte del suo tesoro per trarre profitto dalla fame altrui.

Huawei sfida Nvidia: la corsa cinese al super chip che può cambiare il futuro dell’AI

Huawei Technologies sta giocando una partita che non ha nulla di meno di una guerra tecnologica globale, e lo sta facendo con la tipica spavalderia di chi sa di avere poco da perdere e tutto da guadagnare. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal (fonte), Huawei è in trattative serrate con una serie di aziende tecnologiche cinesi per sviluppare un nuovo chip di intelligenza artificiale chiamato Ascend 910D. L’obiettivo? Semplice: prendere a calci Nvidia fuori dalla porta della Cina.

Il piano è tanto ambizioso quanto disperato, nel miglior stile Huawei. Sostituire, o almeno ridurre, la dipendenza da Nvidia, che con i suoi chip domina incontrastata il mercato dell’AI, non è esattamente una passeggiata. Ma la pressione geopolitica degli Stati Uniti, con il suo repertorio di restrizioni, ha reso inevitabile questo percorso. È una di quelle mosse da “o la va o la spacca”, tipica di chi si è visto tagliare le gambe ma continua a correre, sanguinante, verso il traguardo.

Superintelligenza americana: sogno di potenza o auto sabotaggio tecnologico?

In un’America che si racconta come paladina dell’innovazione, la realtà si sta rapidamente sgretolando sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. La narrazione istituzionale — una spinta muscolare verso l’intelligenza artificiale “American-made“, una serie di Executive Orders che suonano più come comandi militari che direttive democratiche si scontra violentemente con il fatto brutale che i laboratori di ricerca si svuotano, i fondi evaporano, i talenti migliori migrano verso lidi più fertili e meno tossici.

Abbiamo trovati il report “America’s Superintelligence Project” di Gladstone AI, una pietra miliare intrisa di paranoia strategica e inquietudine geopolitica, dipinge un futuro degno di un romanzo distopico di fine anni ’80. Qui, le facilities che si immaginano non sono campus universitari vivaci, né laboratori open-space da Silicon Valley, ma fortezze remote, sorvegliate da apparati militari, dove la creatività dovrebbe prosperare sotto occhi vigili, magari armati.

White Paper. Il nuovo disordine globale: Trump, la Cina e l’Intelligenza Artificiale alla conquista del futuro

Cento giorni fa, Donald Trump è tornato alla Casa Bianca con l’imponenza di un elefante in una cristalleria, pronto a ribaltare l’ordine mondiale che lui stesso aveva contribuito a plasmare. Con la promessa di un “Liberation Day”, ha dichiarato guerra ai suoi “cattivi partner commerciali” e ha sognato di annettersi territori che nemmeno il più sfrenato imperialismo avrebbe mai osato immaginare. Mentre Trump gioca a Risiko, il mondo risponde con una combinazione letale di panico, dazi e – ovviamente – intelligenza artificiale.

La polveriera Kash Patel: dall’arresto della giudice di Milwaukee alla guerra contro la “Deep State”

Nei giorni in cui i media sembrano concentrarsi su altri fronti, la notizia dell’arresto della giudice di Milwaukee, accusata di aver aiutato un immigrato irregolare a sfuggire alla giustizia, passa quasi inosservata. Ma a mettere questa vicenda al centro dell’attenzione è stato il direttore dell’FBI, Kash Patel, una figura che non lascia indifferenti, tanto per le sue posizioni politiche quanto per la sua carriera.

Quando i numeri iniziarono a sognare: la grafica computazionale secondo Melvin Lewis Prueitt

Dal genio visionario di los alamos ai diffusion model: l’arte computazionale come profezia delle intelligenze artificiali

Nel 2025 parliamo ossessivamente di modelli di diffusione, intelligenze artificiali capaci di generare immagini partendo dal rumore, algoritmi che trasformano pixel casuali in scene iperrealistiche degne di fotografi umani. Eppure, se ci fermassimo un attimo a scavare nella genealogia di questa rivoluzione visiva, scopriremmo che tutto è iniziato molto prima. Non con Google, non con OpenAI. Ma con uomini come Melvin Lewis Prueitt, fisico teorico di provincia, che dalla remota cittadina di Wickes arrivò ai laboratori di Los Alamos per trasformare funzioni matematiche in arte visiva, usando calcolatori come pennelli e coordinate cartesiane come pigmenti.

Quantum watch: il tempo assoluto esiste, ed è pure bastardo

Quantum watch and its intrinsic proof of accuracy

Se siete arrivati fin qui senza cambiare pagina, allora forse avete abbastanza fegato per affrontare la verità: in laboratorio, sulle spalle di Helio innocente, abbiamo visto nascere un nuovo modo di misurare il tempo. Non con ingranaggi, non con cristalli vibranti, e nemmeno con gli orologi atomici che vi fanno sentire moderni, ma con l’intelligenza ruvida e brutale della meccanica quantistica. Si chiama quantum watch, e non conta un bel niente: non batte secondi, non somma oscillazioni, non segue il ritmo di un pendolo o di una frequenza standard. No. Questo bastardo crea impronte, impronte di tempo che sono così uniche da diventare una carta d’identità temporale.

Il cuore sporco di questo esperimento pulsa intorno a pacchetti d’onda Rydberg estremamente complessi, costruiti eccitando stati energetici alti dell’elio. A differenza dei soliti noiosi stati singoli, un pacchetto d’onda multi-stato si comporta come una rissa da bar quantistica: interferenze, battiti, caos apparente che però, sotto il velo della casualità, nasconde una struttura precisa, ossessivamente determinata. Questo caos ordinato permette di tracciare il tempo trascorso dall’eccitazione iniziale con una precisione che fa impallidire i vostri Rolex.

Trump e Zelensky si incontrano in Vaticano: tra pace e scambi velenosi

Se pensavate che l’atmosfera di un funerale papale fosse immune dai giochi di potere, vi sbagliavate di grosso. A San Pietro, sabato, nel silenzio imponente della basilica, Donald Trump e Volodymyr Zelensky si sono incontrati brevemente ma intensamente, tra gli sguardi severi dei santi e il peso di un conflitto che non accenna a spegnersi. Non un tête-à-tête qualunque, ma il primo incontro diretto dopo l’accesissimo scontro alla Casa Bianca, quella pièce teatrale che aveva lasciato intendere quanto poco zucchero ci fosse rimasto nei rapporti bilaterali.

Zelensky ha parlato di “un cessate il fuoco incondizionato”, come chi chiede una tregua mentre l’altra parte sta già caricato il fucile. “Speriamo in risultati”, ha detto con quell’ottimismo forzato da leader di un Paese in fiamme. I media ucraini si sono affrettati a diffondere foto di Trump e Zelensky seduti faccia a faccia, entrambi protesi in avanti, in quell’atteggiamento che conosciamo bene: il corpo che dice “ti ascolto” e la mente che urla “quanto manca alla fine di questa farsa?”. Sullo sfondo, come a ricordare l’ineluttabilità di tutto, la bara semplice di legno di Papa Francesco.

Papa Francesco, funerale tra popoli e poteri: l’ultimo show di un mondo in crisi

Papa Francesco è riuscito, persino da morto, a realizzare il suo sogno più grande: mettere insieme l’umanità tutta, dai migranti disperati ai capi di Stato più cinici, davanti a una bara di legno semplice e una parola incisa: Franciscus. Altro che cerimonia sobria. Sabato a San Pietro è andata in scena una rappresentazione globale che ha mischiato spiritualità, diplomazia, ambizione e ipocrisia, in un groviglio che solo il Vaticano sa orchestrare con tanta arte antica.

Circa 250.000 fedeli hanno invaso Piazza San Pietro mentre le autorità contavano almeno altre 200.000 anime riversate lungo via della Conciliazione, in uno dei raduni più oceanici della storia recente. Il feretro, posato su un vecchio papamobile modificato, ha percorso i 4 km che separano il cuore della cristianità dalla Basilica di Santa Maria Maggiore, accolto da applausi, lacrime e cori di “Papa Francesco” scanditi in decine di lingue. In quel pezzo di strada, il mondo intero sembrava finalmente d’accordo su qualcosa: la gratitudine verso un uomo che aveva fatto della periferia la sua casa.

Ibm ignora l’intelligenza del mercato: cresce, ma resta un pachiderma contro i jet di Microsoft e Aws

Il Q1 2025 di IBM si chiude con risultati solidi, almeno sulla carta. La divisione Software e l’area Infrastructure spingono la crescita, generando margini sani e numeri in linea con le aspettative, se non superiori. Ma basta grattare un po’ la superficie per accorgersi che il colosso di Armonk continua a ballare una lenta mentre tutto il mercato è passato al breakdance.

Claude su Bedrock: l’intelligenza artificiale con il freno a mano tirato,

Nel panorama dell’intelligenza artificiale, la collaborazione tra Amazon Web Services (AWS) e Anthropic ha suscitato notevoli discussioni, The Information, Nicola Grandis di Vitruvian, soprattutto riguardo ai limiti imposti all’utilizzo dei modelli Claude attraverso la piattaforma Bedrock. Queste restrizioni, sebbene giustificate da esigenze tecniche e di sicurezza, stanno sollevando interrogativi sulla libertà operativa degli sviluppatori e sull’effettiva scalabilità delle soluzioni AI offerte.

Uno dei principali punti di attrito riguarda i limiti di richiesta imposti da AWS. Ad esempio, per il modello Claude 3 Opus, il numero massimo di richieste di inferenza al minuto è limitato a 50 per regione supportata. Questo significa che, in scenari ad alta intensità di utilizzo, gli sviluppatori possono facilmente raggiungere questi limiti, ricevendo errori HTTP 429 che indicano un eccesso di richieste. Sebbene AWS consenta di richiedere aumenti di quota attraverso ticket di supporto, l’approvazione dipende dalla capacità disponibile e può richiedere tempo.

Mark Zuckerberg non tiene il passo con i deepfake

La situazione è talmente grottesca che sembra uscita da un episodio di Black Mirror 7, siamo sotto l’influenza ancora della serie, ma è tutto reale. Martin Wolf, una delle firme più rispettate del Financial Times, si ritrova trasformato in testimonial di investimenti truffaldini su Facebook e Instagram, vittima di deepfake pubblicitari che Meta, la presunta avanguardia mondiale dell’AI, non riesce o non vuole fermare. E qui sorge il dilemma: incapacità tecnica o negligenza sistemica?

Microsoft: Outlook sulle prossime trimestrali, tra aspettative di crescita dell’Azure più modeste e l’opportunità di un rimbalzo a lungo termine

Microsoft si prepara a rilasciare i risultati finanziari del terzo trimestre dell’esercizio 2025 la prossima settimana, e gli analisti di Evercore ISI hanno già tracciato le loro previsioni sul futuro dell’azienda. Secondo la nota degli analisti, guidati da Kirk Materne, il gigante del software ha la possibilità di “resettare e rimanere competitivo”, ma con aspettative di crescita più contenute per Azure. Questo, come sottolineato, non è un segno di debolezza, ma una strategia per “aggiustare” le aspettative, aumentando le possibilità di una ripresa a lungo termine.

OpenAI: Superbot in Gestazione

L’idea che OpenAI possa evolversi in una “superbot” o addirittura diventare un nuovo monopolio tecnologico solleva diverse domande cruciali, soprattutto in un contesto dove la crescita e la diversificazione della compagnia, sotto la guida di Sam Altman, sono rapide e incessanti. È uno scenario affascinante, che vede OpenAI non solo dominare il campo dell’intelligenza artificiale, ma anche espandersi in numerosi settori strategici e redditizi. Questo percorso di OpenAI dipinge il quadro di un’azienda decisa a plasmare il futuro, non solo come leader nell’AI, ma come un attore globale in tutto l’ecosistema tecnologico.

Germania e Giappone vogliono parlare cinese: l’AI di Pechino prende il volante

Mentre Tesla attende il placet del Partito per far sfrecciare il suo Full Self-Driving (FSD) sulle strade cinesi, i grandi nomi dell’automotive tedesco e giapponese stanno già firmando accordi a tutta manetta con i campioni nazionali dell’intelligenza artificiale made in China. La scena è il salone dell’auto di Shanghai, ma l’aria è quella di una rivoluzione culturale – questa volta digitale.

Mercedes-Benz sfodera la CLA elettrica a passo lungo, un salotto su ruote pensato per il mercato cinese, con sotto il cofano non solo batterie ma ByteDance. No, non balla su TikTok: il motore qui si chiama Doubao, un Large Language Model sviluppato proprio dal colosso social. L’assistente vocale del veicolo parte in 0,2 secondi letteralmente più veloce di un impiegato pubblico nel timbrare l’uscita. ByteDance promette che l’auto non si limita a capire, ma esegue comandi in tempo reale. Non chiacchiere, ma fatti, nel vero spirito della nuova frontiera LLM.

Un caffè al Bar dei Daini – Comcast, Intel, Volkswagen e Meta: quando la grande tecnologia perde la maschera dell’infallibilità

Comcast ha appena regalato agli investitori una doccia fredda: l’utile netto è sceso del 13% nel primo trimestre, un numero che puzza di vecchio, come i loro decoder. I ricavi sono stati “leggermente inferiori”, una di quelle espressioni corporate che suona come “abbiamo sbattuto contro il muro, ma con stile”. Il punto è che stanno perdendo clienti sia nel ramo TV via cavo che in quello della banda larga, confermando che la disaffezione per la vecchia guardia del telecom sta accelerando. Chi ha ancora voglia di pagare per una TV lineare quando ci sono streaming on demand e connessioni mobili sempre più performanti?

Google e l’illusione della solidità: quando la stagnazione viene vestita da crescita

Rapporto sugli utili del primo trimestre 2025 di Alphabet

  • Ricavi:  90,23 miliardi di dollari contro gli 89,12 miliardi di dollari previsti
  • Utile per azione:  $ 2,81 contro $ 2,01 previsti

Wall Street sta monitorando anche altri numeri del rapporto:

  • Ricavi pubblicitari di YouTube : 8,93 miliardi di dollari contro 8,97 miliardi di dollari, secondo StreetAccount
  • Fatturato di Google Cloud:  12,26 miliardi di dollari contro 12,27 miliardi di dollari, secondo StreetAccount
  • Costi di acquisizione del traffico (TAC) : 13,75 miliardi di dollari contro 13,66 miliardi di dollari, secondo StreetAccount

Intel si gioca tutto a Shanghai: LLM in auto, chip cinesi e l’intelligenza artificiale che vuole guidare

Mentre Nvidia sfodera il suo arsenale grafico e AMD prepara la riscossa sul mercato dei semiconduttori automobilistici, Intel il vecchio colosso americano spesso dato per morto nel mondo dell’AI rinasce sotto nuove forme nel posto più strategico di tutti: la Cina. E non lo fa con timidi annunci. Alla Shanghai Auto Show, davanti al palcoscenico dell’automotive elettrico globale, ha svelato il cuore del suo nuovo piano: la seconda generazione del suo System-on-a-Chip (SoC) per software-defined vehicle (SDV), alimentato da AI e pronto a entrare direttamente nel cruscotto delle auto intelligenti.

Ma la vera mossa di potere non è la presentazione del chip. È il tipo di alleanze che Intel ha siglato. Due nomi, apparentemente minori ma carichi di peso strategico: ModelBest, start-up AI fondata nel 2022 da ex cervelli di Tsinghua, e Black Sesame Technologies, designer di chip per veicoli, recentemente quotata a Hong Kong. Intel non sta semplicemente “entrando” nel mercato delle auto smart cinesi, ci si sta trasferendo con armi e bagagli. Non è un caso se ha persino spostato l’headquarter della divisione Automotive direttamente in Cina, e il suo vicepresidente Jack Weast a Pechino. Un “trasloco geopolitico” più che tecnologico.

Trump lancia un’America AI-first mentre la Cina inizia a 6 anni: propaganda, tagli e contraddizioni

Mentre Pechino inserisce l’intelligenza artificiale nei programmi scolastici obbligatori per i bambini di sei anni, Washington cerca di rincorrere la corsa globale all’AI con un’operazione di facciata mascherata da piano educativo. Con una firma rapida e teatrale, Donald Trump ha appena approvato un ordine esecutivo per espandere l’educazione all’intelligenza artificiale, proclamando una nuova iniziativa nazionale e istituendo una task force dedicata. Tutto molto patriottico, tutto molto 2025. Ma sotto la patina di slogan altisonanti, emergono i soliti difetti strutturali di una politica scollegata dalla realtà del sistema educativo americano.

L’ordine esecutivo, firmato a gennaio durante il suo secondo mandato (sì, Trump è tornato), ribalta le restrizioni in materia di AI introdotte durante l’era Biden. Al centro del progetto troviamo la “White House Task Force on AI Education”, presieduta dal direttore dell’Ufficio per la Politica Scientifica e Tecnologica. Tra i membri figurano alti funzionari dei dipartimenti dell’Energia, dell’Agricoltura, dell’Istruzione e del Lavoro, oltre a David Sacks, consigliere speciale della Casa Bianca per l’AI e le criptovalute. Una cabina di regia composta da figure politiche e tecnocrati, con il compito di rendere gli studenti americani “partecipanti fiduciosi nella forza lavoro assistita dall’AI”.

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