Rivista AI

Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Apple e la tassa App Store: il bluff della concorrenza libera

Apple ha appena ricevuto un colpo che potrebbe incrinare la sua fortezza dorata chiamata App Store. Dopo anni di battaglie legali e proteste da parte degli sviluppatori, una recente sentenza ha aperto la porta ai pagamenti esterni, potenzialmente riducendo il controllo esclusivo di Cupertino e, soprattutto, le sue lucrose commissioni. Il palco è pronto per la WWDC della prossima settimana e tutti aspettano che Apple faccia un gesto, una specie di “ramo d’ulivo” per stemperare la tensione e sedurre di nuovo gli sviluppatori, quelli che da sempre finanziano il suo impero digitale.

Il nocciolo della questione non è solo il 30% di commissione che Apple ha applicato per anni con la sua politica rigida, ma un intero ecosistema costruito sulla dipendenza e sul monopolio apparente. Gli sviluppatori non si sono mai nascosti dietro un dito: quella tassa, in molti casi, è una strozzatura che limita l’innovazione, ma soprattutto i margini di profitto. Ora, con la sentenza che consente i pagamenti esterni, la melodia potrebbe cambiare. Immaginate un mondo in cui un’app potenzialmente paghi meno commissioni, o addirittura si liberi dalla presa di Apple, bypassando il sistema di acquisto in-app tradizionale.

Perché Eric Schmidt, Jeff Bezos e le startup stanno puntando sui data center nello spazio

C’è un nuovo Eldorado tecnologico, e non si trova né nella Silicon Valley né a Shenzhen. Si trova a centinaia di chilometri sopra le nostre teste, in orbita terrestre. Mentre i comuni mortali cercano di far funzionare i loro server on-premise o di migrare al cloud, i giganti della tecnologia stanno già pensando a data center spaziali, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Eric Schmidt, ex CEO di Google, ha recentemente preso le redini di Relativity Space, un’azienda che punta a costruire razzi stampati in 3D e a lanciare infrastrutture nello spazio. Nel frattempo, Jeff Bezos, con la sua Blue Origin, sta sviluppando “Blue Ring”, una piattaforma spaziale che offre potenza di calcolo resistente alle radiazioni, gestione termica e comunicazioni per carichi utili in orbita.

Ma perché tutto questo interesse per i data center nello spazio? Per cominciare, lo spazio offre un ambiente unico: temperature estreme, assenza di gravità e un’abbondanza di energia solare. Queste condizioni possono essere sfruttate per creare data center altamente efficienti e sicuri. Inoltre, con l’aumento esponenziale dei dati generati da dispositivi IoT,(o da reti tipo Starlink o Kuiper di Amazon) intelligenza artificiale e altre tecnologie emergenti, la domanda di capacità di elaborazione e archiviazione è in costante crescita. I data center spaziali potrebbero offrire una soluzione scalabile e sostenibile a lungo termine.

Deepseek assume stagisti per addestrare l’intelligenza artificiale clinica: il futuro della medicina cinese vale 70 dollari al giorno

Quando l’intelligenza artificiale incontra la medicina, la posta in gioco non è una startup da miliardi, ma la vita umana. Eppure, in Cina, l’ultima frontiera di questa rivoluzione si sta costruendo con budget da stagista. Letteralmente.

DeepSeek, startup AI cinese ancora misteriosamente silenziosa sul lancio del suo modello avanzato R2 reasoning, ha deciso che per migliorare l’accuratezza diagnostica servono… studenti pagati 500 yuan al giorno (circa 70 dollari). In cambio? Quattro giorni a settimana etichettando dati medici, scrivendo prompt in Python e domando la bestia linguistica dei Large Language Models. L’annuncio, apparso su Boss Zhipin, non sulla loro pagina ufficiale, sembra quasi un messaggio cifrato: “Sappiamo dove andiamo, ma non ve lo diciamo”.

Alibaba svela Qwen3 Embedding: così la cina trasforma gli embedding in una macchina da guerra semantica

Alibaba non vuole solo giocare la partita dell’intelligenza artificiale. Vuole riscrivere il regolamento, imporre il ritmo e magari anche cambiare il terreno di gioco. E lo fa con il lancio della serie Qwen3 Embedding, l’ultima mossa del colosso di Hangzhou per rafforzare la propria posizione globale nel settore più caldo e strategico del secolo: l’open-source AI. Altro che modelli chiusi e gelosamente custoditi in server americani. Qui si parla la lingua – anzi, le 100 lingue – del mondo. Compresi JavaScript e Python.

La notizia, rilasciata con l’eleganza strategica del giovedì sera (un tempismo che dice tutto sulla guerra psicologica dei lanci tech), nasconde in realtà un messaggio chiarissimo al resto del mondo: Alibaba non è più solo un marketplace. È un’armeria cognitiva.

Perché l’Intelligenza artificiale ama i tuoi dati sanitari più di quanto tu ami il tuo medico

Diciamolo senza girarci intorno: l’Intelligenza Artificiale non è interessata al tuo cuore, ma al tuo cuore visto da una risonanza magnetica, incrociato con i tuoi esami del sangue, i tuoi battiti notturni tracciati dall’Apple Watch, le tue abitudini alimentari dedotte da quanto sushi ordini su Glovo e da quanto insulina consumi nel silenzio della tua app.

Benvenuti nell’era dell’ecosistema dei dati sanitari, un mondo che sembra pensato da un bioeticista impazzito e un data scientist con la passione per il controllo.

Mentre l’European Health Data Space (EHDS, per gli amici stretti della Commissione Europea Regolamento 2025/327) si appresta a diventare il cuore pulsante del nuovo continente digitale della salute, le big tech affilano gli algoritmi. Il paziente europeo diventa il più grande fornitore gratuito di dati strutturati mai esistito. E noi? Noi firmiamo i consensi informati senza leggerli, applaudiamo all’efficienza predittiva, e poi ci indigniamo perché la nostra assicurazione sanitaria sa che abbiamo preso troppo ibuprofene a maggio.

The New York Times vs OpenAI: come distruggere la fiducia nell’AI in nome del copyright

Il paradosso perfetto è servito. In un’epoca in cui le Big Tech si fanno guerre epiche a colpi di etica e algoritmi, a tradire la promessa di riservatezza non è un CEO distopico né una falla nella sicurezza: è un’ordinanza giudiziaria. OpenAI, la regina madre dei modelli generativi, è costretta per ordine del tribunale a violare una delle sue stesse policy fondanti: la cancellazione delle conversazioni su richiesta dell’utente. Cancellazione, si fa per dire.

Quello che accade dietro le quinte di ChatGPT oggi non è un incidente tecnico né una svista legale. È un ribaltamento formale della logica contrattuale tra utente e piattaforma, e rappresenta un passaggio simbolico nella guerra fredda tra intelligenza artificiale e diritto d’autore. Il tutto, ovviamente, con in mezzo il cadavere illustre della privacy digitale.

Meta e il fantasma digitale di Ronaldo: come un deepfake scoperchia la farsa dell’intelligenza artificiale etica

È stato necessario l’intervento del Oversight Board, l’organo che Meta ha creato per farsi il bagno di trasparenza, perché qualcuno in azienda si degnasse di togliere un video truffaldino con protagonista a sua insaputa Ronaldo Nazário. Non il giovane Cristiano, ma il Fenomeno, quello vero. E anche il deepfake era tutto fuorché credibile: un doppiaggio posticcio, movimenti labiali scoordinati, e una promessa irreale guadagnare più che lavorando grazie a un giochino online chiamato “Plinko”.

Benvenuti nell’epoca dell’intelligenza artificiale generativa, dove la reputazione umana è una licenza open source, e i colossi tech oscillano tra l’ignoranza deliberata e la complicità algoritmica.

Il nuovo culto dei capitali: GPx, unicornizzazione e startup ai limiti della fede matematica

Nel sottobosco delle term sheet di carta lucida, tra pitch di PowerPoint e founder in hoodie che citano Wittgenstein, si sta aprendo un nuovo capitolo della religione laica della Silicon Valley: il ritorno del venture capital come culto esoterico, dove la logica è un optional e la narrazione vale più del bilancio. A comandare la liturgia? Intelligenza artificiale, valutazioni stratosferiche e un nuovo attore pronto a “dare un vantaggio ingiusto ai GP d’élite”: GPx. La nuova sigla magica che fa brillare gli occhi a chi vede più valore in una curva hockey stick disegnata con Figma che nei fondamentali economici.

ADVANCES AND CHALLENGES IN FOUNDATION AGENTS FROM BRAIN

INSPIRED INTELLIGENCE TO EVOLUTIONARY, COLLABORATIVE, AND SAFE SYSTEMS: Tradotto Il futuro ha già un cervello: come i Foundation Agents stanno trasformando l’intelligenza artificiale da pappagallo parlante a stratega senziente

Un paper con un titolo affascinante, abbiamo insegnato alle macchine a parlare prima ancora che sapessero fare. Gli LLMs, quegli oracoli linguistici superalimentati che da anni catturano titoli e investimenti, hanno un grande talento nel produrre parole ma, come tanti filosofi da salotto, faticano ad agire. È come avere un genio della lampada che può spiegarti come costruire un razzo, ma non riesce ad alzarsi dal divano per prendere un cacciavite.

Ecco perché oggi, in sordina ma con crescente inevitabilità, stiamo assistendo all’ascesa dei Foundation Agents, la vera mutazione darwiniana dell’AI. Non più solo modelli linguistici che sfornano risposte brillanti, ma entità modulari che percepiscono, ragionano, agiscono, apprendono e – con un pizzico di inquietudine – iniziano anche a sentire. O quantomeno, simulano molto bene la sensazione di farlo.

Zoltan Istvan e l’apocalisse dei robot: perché un androide in salotto sarà il tuo prossimo ammortizzatore sociale

Immaginate questo: un robot umanoide ti apre la porta, prepara la cena vegana sintetica, lava i piatti e ti ricorda che domani hai un colloquio di lavoro per un impiego che, probabilmente, non esisterà più tra sei mesi. Benvenuti nella California del futuro secondo Zoltan Istvan, ex paladino del Transumanesimo, oggi candidato Democratico alla carica di governatore. Il suo piano per evitare la “job apocalypse”? Reddito universale e un robot per ogni famiglia. Un’idea a metà tra Isaac Asimov e Karl Marx, impacchettata in retorica elettorale.

Istvan non è nuovo a trovate scenografiche: nel 2016 attraversò gli Stati Uniti su un camper a forma di bara per promuovere l’estensione indefinita della vita umana. Oggi, però, ha deciso di seppellire (o ibernare) il Transhumanist Party per tuffarsi nell’ecosistema Democratico californiano, ben consapevole che, come dice lui stesso, “correre con un altro partito equivale a non correre affatto”.

Quando Elon morde Trump: il reality techno-pop che incendia Washington

È successo di nuovo. Un altro episodio del più grande reality americano, una tragicommedia di potere, ego e tweet: Elon Musk e Donald Trump, due poli magnetici del narcisismo contemporaneo, si sono scontrati in pubblico come due CEO con troppo tempo libero e un’ossessione condivisa per l’attenzione. Il loro litigio ha avuto il sapore di un wrestling elettorale tra chi vuole dominare Marte e chi ancora pensa di poter ri-conquistare Manhattan. Il risultato? Più fumo che fuoco, ma anche un riflettore impietoso acceso sul rapporto torbido tra la Silicon Valley e la nuova – o meglio, rinnovata – MAGAcronica amministrazione trumpiana.

Hollywood si è venduta al silicio, e non tornerà indietro

AMC Networks e Runway

L’intelligenza artificiale generativa non è più l’ospite invisibile nella stanza dei bottoni di Hollywood. Con la partnership tra AMC Networks e la startup Runway, la tecnologia non sta più bussando alla porta: ha buttato giù i muri, ha messo i piedi sul tavolo e ha iniziato a scrivere le sceneggiature. Previsualizzazioni generate da AI, campagne marketing senza un solo ciak, versioni alternative di film per fasce d’età modellate da algoritmi: questo non è il futuro della TV via cavo, è il presente, spudorato e inequivocabile.

X vieta l’addestramento AI sui suoi post, ma li usa per sé: l’etica à la Musk

Nel grande bazar dei dati digitali, dove ogni parola postata è una pepita d’oro per l’addestramento delle intelligenze artificiali, X (ex Twitter) ha aggiornato il suo Developer Agreement con una nuova clausola: vietato usare i contenuti della piattaforma per addestrare modelli fondazionali o di frontiera. A meno che tu non sia… beh, X stessa.

L’annuncio, passato quasi inosservato se non fosse stato per TechCrunch, arriva con la delicatezza di un aggiornamento di sistema, ma nasconde una torsione strategica da manuale Machiavelli. Tradotto dal legalese: se sei uno sviluppatore esterno, dimentica l’idea di nutrire il tuo LLM con i tweet. Però X (cioè Elon Musk) può continuare a farlo. E lo fa. Con entusiasmo.

L’arte si fa algoritmo e costa quanto una Tesla: benvenuti nell’era della tela che respira

Ventiduemila dollari. Per un display. No, non stiamo parlando di un monitor da sala controllo NASA, né del cruscotto olografico di una navicella SpaceX. È Layer, la nuova creazione di Angelo Sotira, co-fondatore di DeviantArt, una delle prime culle della creatività digitale, oggi mutata in parco giochi per l’intelligenza artificiale.

Il prezzo non è casuale, è una dichiarazione. Un grido estetico incastonato tra pixel e marketing, che tenta di legittimare il generative AI art come nuova frontiera del collezionismo. Dimenticate le stampe numerate, i quadri firmati a mano o le fotografie d’autore. Qui siamo oltre la firma: qui il quadro si scrive da solo.

Anthropic lancia Claude Gov, l’intelligenza artificiale patriottica che non fa troppe domande

C’è un curioso dettaglio nelle democrazie moderne: ogni volta che una tecnologia diventa abbastanza potente da riscrivere le regole del gioco economico, qualcuno in uniforme entra nella stanza e chiede di parlarne a porte chiuse.

Così è stato per internet, per i satelliti GPS, per il cloud, e oggi ça va sans dire per l’intelligenza artificiale. La nuova mossa di Anthropic lo conferma: la startup fondata da transfughi di OpenAI ha appena annunciato Claude Gov, un set di modelli AI personalizzati creati su misura per le agenzie dell’intelligence americana. Il claim? “Rispondono meglio alle esigenze operative del governo.” Traduzione: sanno leggere, sintetizzare e suggerire azioni su documenti classificati, in contesti ad alto rischio geopolitico. Senza tirarsi indietro.

Gemini 2.5 pro fa il salto quantico che Google doveva al mondo dell’intelligenza artificiale

Ogni attore ha il suo momento di gloria, il suo rilascio “rivoluzionario”, la sua conferenza patinata da annunciare tra un keynote e una demo pompata a razzo. Ma oggi, finalmente, Google sembra aver smesso di rincorrere gli altri per tornare a fare scuola. Con il rilascio della versione aggiornata in anteprima di Gemini 2.5 Pro, siglata 06-05, Mountain View alza l’asticella in modo tangibile. E sì, stavolta i benchmark non mentono: stavolta è roba seria.

Partiamo da dove il dolore si sentiva di più: fuori dal mondo del coding, le release precedenti della famiglia Gemini 2.5 sembravano avvolte da una nebbia di mediocrità. Accuse non troppo velate su Reddit, sussurri negli ambienti dev più esigenti: “03-25 era più brillante”, “le nuove release hanno perso smalto”, “troppa ottimizzazione, poca anima”. Bene: con 06-05, Google prova a rimediare. E lo fa con un’operazione chirurgica sul linguaggio, sulla formattazione delle risposte e udite udite su una creatività finalmente leggibile, non più solo impressa nei prompt di marketing.

Palantir, il Trumpismo digitale e il lato oscuro dell’intelligenza artificiale

Il CEO di Palantir, Alex Karp, è apparso oggi su CNBC con lo stesso tono del professore universitario che ti guarda come se non capissi nulla, anche se è il tuo esame di dottorato. Karp ha risposto piccato all’articolo del New York Times che la scorsa settimana ha insinuato che Palantir fosse stata “arruolata” dall’Amministrazione Trump per creare una sorta di “registro maestro” dei dati personali degli americani. Un’accusa pesante. E prevedibile. In fondo, quando la tua azienda costruisce software per eserciti, spie e governi opachi, è difficile convincere il pubblico che stai solo “aiutando le agenzie a lavorare meglio”.

La smentita di Karp? “Non stiamo sorvegliando gli americani”. Certo, come no. È un po’ come se Meta dichiarasse: “Non vendiamo dati”, o come se TikTok sostenesse di non avere legami con la Cina. Palantir, per chi non la conoscesse, è l’azienda fondata con soldi della CIA e oggi quotata al Nasdaq (PLTR), che costruisce sistemi avanzati di analisi dei dati. È anche la compagnia preferita da chi vuole controllare senza che sembri controllo.

Amazon vuole sostituire i corrieri con androidi in furgoni elettrici. Ma davvero pensiamo che si fermeranno ai pacchi?

Mentre ci beviamo l’ultima birra artigianale a Brooklyn o ci lamentiamo della ZTL a Milano, Amazon ha iniziato a costruire silenziosamente un “parco umanoide” in un ufficio di San Francisco. No, non è un’attrazione turistica per nostalgici di Westworld, ma una palestra hi-tech dove androidi addestrati da intelligenze artificiali stanno imparando a saltar fuori dai furgoni Rivian per consegnare i nostri pacchi. Letteralmente.

Il progetto è tutto fuorché una boutade fantascientifica. Secondo The Information, il colosso di Seattle sta mettendo a punto software agentici avanzati sistemi capaci non solo di rispondere a comandi, ma di agire in modo autonomo e adattivo. Niente più macchine rigide a compiere task singoli come in una catena di montaggio fordista: Amazon vuole trasformare i suoi robot in creature quasi conversazionali, capaci di interpretare ordini in linguaggio naturale. Sì, tipo: “porta questo pacco al tizio col bulldog al terzo piano, ma attento a non calpestare il basilico della signora Rosina”.

Dario Amodei Moratoria senza morso: la finta tregua sull’intelligenza artificiale

C’è qualcosa di inquietante, quasi surreale, nell’idea di congelare lo sviluppo normativo dell’Intelligenza Artificiale per dieci anni. Un’era geologica in tempo algoritmico. Ma è proprio ciò che propone una corrente bipartisan americana: un moratorium regolatorio decennale sulla AI. Un’idea che sembra uscita da un comitato scolastico piuttosto che da un think tank geopolitico.

A scrivere contro questa bizzarria, sulle colonne del New York Times, è Dario Amodei, CEO e co-fondatore di Anthropic, l’unicorno addomesticatore di AI creato da ex ribelli di OpenAI. Il suo pezzo, lucido e chirurgico, è una dichiarazione di guerra travestita da appello alla ragionevolezza: “una moratoria di dieci anni è uno strumento troppo rozzo”, scrive, con la pacatezza di chi sa che l’AI non aspetta i calendari del Congresso.

Radiologia e Intelligenza Artificiale

Il mondo dell’imaging RM sta entrando in una nuova era. Non si tratta di cambiare macchina, ma di cambiare cervello. Con l’arrivo di AI, stiamo passando da un’acquisizione “meccanica” delle immagini a una “intelligente”. Ma niente tecnicismi inutili. Questo articolo frutto dell’evento ECM gratuito organizzato a Viterbo Commissione Albo per TSRM con Rivista.AI patrocinato dal Dott. M.Gentile spiega in modo pratico e chiaro a chi lavora davvero sulla macchina i tecnici radiologi cosa cambia davvero con l’uso dell’intelligenza artificiale nei parametri principali della risonanza magnetica.

Amazon investe 10 miliardi in North Carolina per dominare l’infrastruttura AI: il nuovo feudo dell’intelligenza artificiale è privato

Benvenuti nel nuovo Rinascimento digitale, dove i regni non sono più di pietra ma di silicio, e i feudatari si chiamano Amazon, Google, Microsoft. Con una mossa da 10 miliardi di dollari, Amazon ha piazzato la sua bandiera nel cuore della North Carolina, trasformando Richmond County in un futuro snodo neurale dell’intelligenza artificiale globale. Non si tratta di una semplice espansione di data center: è la costruzione fisica dell’infrastruttura su cui poggerà il prossimo secolo di innovazione tecnologica.

Il divario digitale e l’impatto generativo dell’AI sui bambini: tra opportunità e allarmi etici

The Alan Turing Institute: Understanding the Impacts of Generative AI
Use on Children

L’intelligenza artificiale generativa non è più solo un gadget per adulti appassionati di tecnologia o una curiosità da laboratorio: sta silenziosamente invadendo le aule, le case e le menti dei bambini. Un recente studio del 2025, frutto della collaborazione tra The Alan Turing Institute, Children’s Parliament e il colosso dei mattoncini LEGO, getta una luce senza filtri sull’uso di questi strumenti – come ChatGPT e DALL·E – tra i più giovani. Ma attenzione, perché dietro il fascino di immagini generate con un clic e risposte pronte all’istante, si nasconde un panorama complesso, fatto di disparità sociali, timori di sicurezza, e rischi educativi che sfidano la nostra capacità di governare questa nuova realtà.

Cohere Come costruire agenti AI da battaglia nei settori regolamentati senza finire nei guai con l’audit

Siamo nell’era dell’”AI che fa cose”, ma quando si tratta di finanza, sanità o pubblica amministrazione, la differenza tra un agente che genera valore e uno che genera una causa legale è questione di tooling, temperatura, e fallimenti. Cohere — azienda nota più per i suoi modelli LLM made in Canada che per le frasi ad effetto — ha appena pubblicato una guida su come costruire agenti AI “enterprise-ready” nei settori dove la compliance non è un’opinione ma un dio vendicativo.

E la guida ha un tono quasi insolitamente pragmatico, per essere un whitepaper AI. Niente arcobaleni quantici. Solo sei regole che dovrebbero già essere scolpite in pietra in ogni SOC 2 room con tanto di badge RFID.

La nuova ossessione Americana si chiama Manus

C’era una volta un’America che investiva solo in casa, con orgoglio patriottico e la presunzione di avere un primato tecnologico inalienabile. Poi è arrivata DeepSeek, un colosso cinese dell’intelligenza artificiale capace di mandare nel panico anche i più sfrontati VC di Sand Hill Road. All’improvviso, Silicon Valley si è ricordata che la Cina non è solo TikTok e supply chain: è anche cervelli, codice e modelli linguistici che, udite udite, funzionano.

È in questo contesto che Joshua Kushner, rampollo mediatico e fondatore di Thrive Capital, ha deciso di mandare i suoi emissari a Pechino. Non lui personalmente, per carità: l’odore della geopolitica è troppo forte. Ma il messaggio è chiaro come un alert su Bloomberg: la fame d’intelligenza artificiale non conosce confini. Neppure quelli sanciti da decenni di paranoia bipartisan tra Washington e Zhongnanhai.

Trump blocca Harvard sugli studenti stranieri: paranoia nazionale o strategia elettorale?

Sembrava una battaglia culturale. È diventata un assalto istituzionale. In un proclama dai toni apocalittici – firmato con l’enfasi di chi ama più la guerra che la diplomazia – l’amministrazione Trump ha vietato formalmente all’Università di Harvard di accettare nuovi studenti internazionali. Non solo: ha ordinato una revisione delle attuali iscrizioni straniere con la minaccia concreta di revoca dei visti. Motivo? “Rischi per la sicurezza nazionale”. Ovviamente, c’è di mezzo la Cina. E il sospetto, sempreverde, che dietro ogni studente con un laptop si nasconda un agente del Partito Comunista.

Microsoft punta tutto sugli agenti AI mentre Musk conta i miliardi e Apple perde il controllo

“Office è morto, viva l’agente AI.” Questo, in sintesi brutale, è il messaggio criptico ma chiarissimo lanciato da Satya Nadella ai suoi dipendenti. Con una riorganizzazione dirigenziale chirurgica, Microsoft svuota il salotto buono di Office 365 e Dynamics per dare spazio ai nuovi idoli aziendali: gli agenti di intelligenza artificiale. Addio Excel come lo conoscevamo. Addio CRM a misura d’uomo. Il futuro, secondo Redmond, è popolato da entità digitali che agiscono al posto nostro, imparano, parlano, vendono, chiudono contratti. Lo chiamano “copilot”, ma non illudetevi: chi comanda ora è lui.

Meta confessa: come sette milioni di libri sono diventati spazzatura per addestrare gratis la sua GenAI

Quando il più “itty bitty macho man” della Silicon Valley decide di riscrivere le regole del valore intellettuale, non stiamo parlando solo di algoritmi e codici, ma di un vero e proprio assalto al patrimonio culturale globale. Meta, colosso da 1.2 trilioni di dollari, ha appena svelato la sua nuova strategia di business: rubare proprietà intellettuale su larga scala, dichiarando i sette milioni di libri usati per addestrare la sua intelligenza artificiale come “privi di valore economico”. Tradotto: spazzatura.

Non è una trovata da nerd con scarsa etica, è una manovra di pura arroganza, con radici profonde in una concezione distorta di cosa significhi innovare nel ventunesimo secolo. Un’innovazione che profuma più di saccheggio che di genio creativo. Siamo di fronte a una Silicon Valley che, nel suo narcisismo, si crede il nuovo Rinascimento, ma dimentica che quello vero era costruito sulla protezione e valorizzazione delle opere d’arte, non sulla loro devastazione.

Quando l’algoritmo ti dice che morirai: il caso Clarity Breast e la scomparsa del dubbio nella medicina predittiva

C’è un momento preciso, in ogni sala di radiologia, in cui il silenzio si fa opprimente. Il clic secco della macchina, lo sguardo esitante del tecnico, la paziente che cerca di leggere negli occhi di chi la osserva. Fino a ieri, quel momento era seguito da giorni d’attesa, telefonate, diagnosi più o meno tempestive, spesso tardive. Da oggi, o meglio da fine anno, tutto potrebbe cambiare: è arrivata Clarity Breast. Un nome che sa di marketing farmaceutico e shampoo pubblicitario, ma dietro cui si nasconde qualcosa di molto più serio. Perché per la prima volta la Food and Drug Administration ha detto sì a una piattaforma d’intelligenza artificiale che, partendo da una mammografia 2D standard, predice il rischio di cancro al seno di una donna nei prossimi cinque anni. Non diagnosi. Predizione.

Yoshua Bengio AI godfather rompe il silenzio: nasce LawZero, l’intelligenza artificiale che rifiuta la menzogna

Yoshua Bengio ha finalmente deciso di sporcarsi le mani. E quando un Premio Turing, architetto fondante della moderna intelligenza artificiale, passa dal tavolo delle conferenze a quello di comando, qualcosa si muove. LawZero, la sua nuova creatura no-profit, sorge con un obiettivo che sa di eresia nell’ecosistema attuale: costruire un’IA che non solo non mente, ma rifiuta attivamente di farlo. Un’IA che non cerca di piacere, vendere o sedurre. Un’IA safe-by-design, come la chiama lui, con il coraggio di dire: “Non lo so.”

Semiconduttori e sovranità: perché l’EDA cinese è l’unico gioco possibile in città

Il settore più noioso dell’alta tecnologia – il software per la progettazione dei chip – si è trasformato nel protagonista indiscusso della nuova guerra fredda. E no, non è un’esagerazione giornalistica.

Quando Washington ha ordinato a Cadence, Synopsys e Siemens EDA di smettere di vendere in Cina, la notizia non ha fatto solo tremare i server di Pechino: ha acceso una miccia nella borsa di Shenzhen. Perché? Perché l’EDA, quell’oscuro acronimo che significa Electronic Design Automation, è letteralmente il software che pensa i chip, li disegna, li simula, li testa. Senza EDA non c’è chip. Senza chip non c’è AI. Senza AI non c’è dominio tecnologico. E senza dominio, in questo secolo, sei solo un gigantesco mercato di consumatori.

Glance AI: quando lo schermo di blocco diventa un centro commerciale e tu l’attrazione principale

In principio era il lock screen, l’innocuo spazio digitale tra te e il resto del mondo. Poi arrivò Glance AI, un’idea brillante nella sua distopia, figlia della fervida immaginazione di InMobi, la stessa compagnia che trasformò gli smartphone Motorola in volantini interattivi. Oggi, grazie a una partnership con Samsung Galaxy Store, quel piccolo spazio protetto sul tuo telefono è pronto a diventare un camerino virtuale, uno showroom algoritmico, un catalogo sartoriale generato da intelligenza artificiale. Benvenuti nel futuro, dove persino il tuo riflesso diventa un modello inconsapevole al servizio dell’e-commerce.

Dominare l’intelligenza artificiale senza sicurezza: l’america secondo Trump

La notizia, se la si legge di fretta, pare una banale ristrutturazione burocratica: l’AI Safety Institute del Dipartimento del Commercio americano cambia nome e si trasforma nel Center for AI Standards and Innovation. Ma sotto questa vernice lessicale si cela una vera rivoluzione geopolitica mascherata da riforma amministrativa. Non è più questione di “sicurezza”, bensì di supremazia. E soprattutto: non è più una questione globale, ma eminentemente americana. “Dominanza sugli standard internazionali”, come ha dichiarato il Segretario al Commercio Howard Lutnick. Una frase che potrebbe uscire da un meeting di strategia militare più che da un piano di governance tecnologica.

Meta rilancia con Aria Gen 2: gli occhiali che vogliono leggere nei tuoi occhi e forse nella tua anima

La Silicon Valley non sogna più di essere soltanto vista: vuole guardare dentro di noi. Meta, con l’annuncio dei suoi occhiali sperimentali Aria Gen 2, ha dato un’altra spinta all’inevitabile convergenza tra intelligenza artificiale, robotica e realtà aumentata. Ma attenzione, questi non sono occhiali per camminare per strada a caccia di Pokémon virtuali. Sono occhiali per chi, domani, vorrà essere letto più che leggere.

Siamo ben oltre il selfie con i Ray-Ban Stories. Aria Gen 2 è un laboratorio da indossare, un prototipo mascherato da accessorio, con un hardware che non scherza affatto. Meta parla con orgoglio del nuovo sistema di eye-tracking: riesce a monitorare ogni singolo occhio, distinguere i battiti di ciglia, stimare la posizione esatta delle pupille. Una macchina che segue lo sguardo, ma anche quello che potenzialmente stai per fare. Una sorta di pre-intenzione digitale, una lettura neuro-visiva anticipatoria.

Reddit fa causa ad Anthropic: il grande saccheggio dell’Intelligenza Artificiale

Non serve un algoritmo per capire cosa sta succedendo: siamo di fronte all’ennesimo episodio in cui il “diritto dei dati” si scontra frontalmente con la fame insaziabile dei modelli linguistici di nuova generazione. Reddit, la piazza digitale dove la cultura del web prende forma in tempo reale, ha deciso di portare in tribunale Anthropic, uno degli astri emergenti nel panorama dell’AI generativa, accusandolo di aver addestrato i suoi modelli sulle conversazioni degli utenti senza licenza né consenso.

C’è qualcosa di ironico, quasi poetico, in questo scontro tra un sito nato per democratizzare il sapere e una startup fondata da ex OpenAI proprio con l’intento di rendere l’AI “più allineata ai valori umani”. Reddit sostiene che Anthropic, creatore del modello Claude, abbia sistematicamente e volontariamente fatto scraping della piattaforma, colpendo i suoi server oltre centomila volte. Non un incidente. Non un’eccezione. Ma parole del documento depositato in California “una strategia deliberata e reiterata”.

Chatgpt record mode vuole essere il tuo capo, non il tuo assistente, ora legge Drive e DropBOX

Quando OpenAI annuncia che ChatGPT potrà registrare le tue riunioni, ascoltare i tuoi flussi di coscienza verbali e collegarsi direttamente al tuo Google Drive per rispondere alle tue domande aziendali più intime, non sta solo rilasciando funzionalità: sta piazzando un cavallo di Troia alla scrivania del middle management. Ed è vestito da stenografo amichevole.

Chiariamolo subito: record mode non è un’agenda digitale, è un orecchio onnisciente sempre acceso. ChatGPT ora prende appunti con timestamp, elenca action items, collega fonti direttamente dai tuoi documenti su SharePoint, OneDrive, Dropbox, Box, Google Drive. E lo fa “rispettando i permessi della tua organizzazione”. Tradotto: può vedere tutto quello che ti è già concesso vedere ma lo fa cento volte più velocemente di te. E senza mai dimenticare nulla. Sembra utile? Certo. Sembra anche un primo passo verso la totale dipendenza cognitiva da un’entità software? Assolutamente.

Claude spiega tutto, ma non sa perché: il blog artificiale che simula l’illuminazione umana

Difficile non sorridere davanti all’ultima trovata di Anthropic: Claude Explains, il blog in cui l’intelligenza artificiale Claude finge di avere qualcosa da spiegare, e gli umani fingono che sia tutto spontaneo. Un piccolo angolo della Silicon Valley in cui l’algoritmo si traveste da divulgatore, mentre una redazione invisibile gli regge il gobbo come in un vecchio varietà televisivo.

Benvenuti nel futuro della comunicazione, dove i contenuti non sono più pensati per essere letti, ma per essere indicizzati, reimpacchettati e, soprattutto, ammirati da altri algoritmi.

Huawei reinventa l’intelligenza artificiale mentre l’america gioca a poker con chip vietate

I cinesi non stanno copiando. Stanno innovando. E in silenzio, con l’ostinazione tipica delle dinastie millenarie, hanno messo in scacco gli esperti dell’Occidente con tre semplici lettere: MoGE.

Non è uno scherzo fonetico, ma l’acronimo che potrebbe far tremare OpenAI, Google DeepMind e gli altri signori del codice. Parliamo di Mixture of Grouped Experts, una variazione muscolosa, ingegnerizzata con precisione chirurgica, dell’approccio Mixture of Experts (MoE) già utilizzato da modelli come DeepSeek-V3.

Figma MCP Server prova a fare il lavoro sporco per l’AI: dalla forma al codice, senza più disegnini

C’è qualcosa di affascinante e vagamente inquietante nel modo in cui Figma ha deciso di rivoluzionare il flusso tra design e codice. Dopo aver trasformato il design collaborativo in una droga da whiteboard digitale, adesso la piattaforma vuole diventare il cervello esterno dei modelli di intelligenza artificiale, quelli che oggi arrabattano pixel e container, domani potrebbero programmare come dev navigati. Figma lancia infatti il Dev Mode Model Context Protocol, in beta, per smettere di far “indovinare” alll’intelligenza artificiale come trasformare un’interfaccia in codice funzionante. In pratica: se prima i modelli linguistici giocavano a “vedo/non vedo” con un mockup, ora leggono direttamente le istruzioni del designer.

Grazie Bezos, il Washington Post apre le porte agli amatori guidati dall’intelligenza artificiale

Nel mondo del giornalismo, dove la penna umana ha da sempre dettato legge, ecco arrivare una svolta che profuma di Silicon Valley: il Washington Post, di proprietà di Jeff Bezos, si prepara ad aprire il suo prestigioso spazio alle opinioni di chi non è professionista, affidandosi a un allenatore d’intelligenza artificiale chiamato Ember. Un nome che suona come il bagliore residuo di un fuoco antico, pronto a riaccendersi in chiave digitale.

Secondo il New York Times, questa mossa non è solo un tentativo di ampliare il ventaglio di voci, ma una vera rivoluzione nel processo editoriale. Ember non sarà un semplice correttore di bozze, ma un sistema che automatizza molte delle funzioni tradizionalmente riservate ai redattori umani. In altre parole, una redazione in miniatura dentro uno strumento AI che monitora la “forza della storia,” valuta la solidità del pezzo, e accompagna il neofita con un sidebar che scompone la narrazione in elementi base: la tesi iniziale, i punti a supporto, e il gran finale memorabile.

MANUS VIDEO GENERATION: la rivoluzione silenziosa che trasforma testo in video senza sforzo

Se pensavate che la generazione video fosse ancora un terreno riservato ai tecnici del montaggio o agli artisti digitali, Manus arriva come un’epifania tecnologica pronta a scuotere le fondamenta di quell’ecosistema. Immaginate di digitare una semplice frase e vederla prendere vita sotto forma di un video completo, orchestrato, sequenziato e animato in pochi minuti. Sembra fantascienza? No, è Manus.

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