Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Intelligenza Artificiale, Politica, Democrazia, Normativa, Regolamenti

Iran sta per fare la bomba? il paradosso nucleare innescato da Israele

Non è l’uranio arricchito a costruire una bomba. È la paura. La paura che il nemico, messo all’angolo, abbandoni ogni freno ideologico e giochi la sua ultima carta: la dissuasione atomica. Israele lo sa, ma ha scelto comunque di alzare la posta. Con chirurgica brutalità ha colpito il cuore pulsante del programma nucleare iraniano, assassinando scienziati, bombardando impianti e facendo saltare in aria non solo edifici, ma equilibri strategici.

L’Iran si ritrova oggi in un vicolo cieco. E come ogni bestia ferita, potrebbe scegliere di fare ciò che ha sempre negato pubblicamente: costruire l’arma che non osa nominare. Perché tra Teheran e la bomba, ormai, non ci sono più barriere tecnologiche. Solo un velo sottile di reticenza politica, l’ultima linea di difesa prima del punto di non ritorno.

Trump annuncia un’intesa con la Cina ma Wall Street non applaude più

«OUR DEAL WITH CHINA IS DONE» twitta Trump con la sobrietà di un adolescente che ha finalmente ricevuto un like da Elon Musk. È mercoledì mattina, e il Presidente più imprevedibile della storia americana getta la notizia come un osso a una stampa affamata: l’accordo commerciale preliminare con la Cina è stato raggiunto. Una dichiarazione che, in altri tempi, avrebbe acceso i riflettori di Wall Street come Times Square a Capodanno. Ma stavolta no. Il mercato scrolla le spalle, forse sbadiglia. Perché?

I negoziatori di Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un’intesa preliminare su un “quadro” generale, che ora verrà sottoposto ai rispettivi leader per la revisione, nel tentativo di riattivare l’accordo di tregua commerciale siglato a Ginevra il mese scorso.

Alla domanda su eventuali concessioni americane sul controllo delle esportazioni dopo i colloqui di Londra, la Casa Bianca ha evitato dettagli, ribadendo solo il rispetto dell’accordo di Ginevra. Secondo la portavoce Leavitt, la Cina si è detta disponibile ad aprire i suoi mercati agli USA in modo separato e ha acconsentito al rilascio di minerali strategici impiegati nei magneti, secondo i termini già pattuiti a Ginevra.

Moratoria o morfina? Il tentativo Trumpiano di sedare l’AI con una legge che congela il futuro

Se volevate un esempio plastico del connubio perverso tra lobby, politica miope e Big Tech in cerca di deregulation, eccolo servito su piatto d’argento: un emendamento, sepolto nella finanziaria proposta da Donald Trump — il suo “big, beautiful bill” — che di fatto congela per dieci anni qualsiasi regolazione statale sull’intelligenza artificiale. Una mossa che ha più il sapore di una sabotaggio preventivo che di una visione strategica. Ma forse è proprio questo il punto: la strategia è uccidere il dibattito sul nascere, mentre si finge di attendere un’ipotetica, mai vista regolamentazione federale.

L’emendamento non si limita a fermare la corsa alla regolazione locale — la sola che negli ultimi anni abbia prodotto qualcosa di concreto — ma revoca retroattivamente anche quelle poche norme già esistenti. Uno stop totale, indeterminato e regressivo, imposto nel momento esatto in cui il settore AI accelera verso un’adozione massiva e incontrollata.

AI.gov o l’algoritmo dell’Impero: la Casa Bianca reinventa la burocrazia col GPT. Happy Uploading, America

Benvenuti nell’era in cui l’intelligenza artificiale sostituisce l’intelligenza istituzionale, e la democrazia si trasforma in un backend API-first. Non è un distopico racconto di Gibson né una bozza scartata di Black Mirror: è l’America del 2025, dove l’innovazione di governo si chiama AI.gov e parla fluentemente il linguaggio dei Large Language Models. La fonte? Il codice sorgente pubblicato su GitHub. E come sempre, il diavolo si nasconde nei commit.

L’amministrazione Trump, evidentemente non ancora sazia di plot twist tecnocratici, ha deciso di lanciare una piattaforma di intelligenza artificiale gestita dalla General Services Administration, guidata da Thomas Shedd, ex ingegnere Tesla e fedelissimo del culto eloniano. Un tecnico più affine al codice che alla Costituzione. Il sito AI.gov – attualmente mascherato da redirect alla Casa Bianca – è il punto focale di una nuova strategia: usare l’AI per “accelerare l’innovazione governativa”. La parola chiave, naturalmente, è “accelerare”, il verbo preferito da chi taglia, privatizza, automatizza.

Quando Elon morde Trump: il reality techno-pop che incendia Washington

È successo di nuovo. Un altro episodio del più grande reality americano, una tragicommedia di potere, ego e tweet: Elon Musk e Donald Trump, due poli magnetici del narcisismo contemporaneo, si sono scontrati in pubblico come due CEO con troppo tempo libero e un’ossessione condivisa per l’attenzione. Il loro litigio ha avuto il sapore di un wrestling elettorale tra chi vuole dominare Marte e chi ancora pensa di poter ri-conquistare Manhattan. Il risultato? Più fumo che fuoco, ma anche un riflettore impietoso acceso sul rapporto torbido tra la Silicon Valley e la nuova – o meglio, rinnovata – MAGAcronica amministrazione trumpiana.

Trump blocca Harvard sugli studenti stranieri: paranoia nazionale o strategia elettorale?

Sembrava una battaglia culturale. È diventata un assalto istituzionale. In un proclama dai toni apocalittici – firmato con l’enfasi di chi ama più la guerra che la diplomazia – l’amministrazione Trump ha vietato formalmente all’Università di Harvard di accettare nuovi studenti internazionali. Non solo: ha ordinato una revisione delle attuali iscrizioni straniere con la minaccia concreta di revoca dei visti. Motivo? “Rischi per la sicurezza nazionale”. Ovviamente, c’è di mezzo la Cina. E il sospetto, sempreverde, che dietro ogni studente con un laptop si nasconda un agente del Partito Comunista.

Dominare l’intelligenza artificiale senza sicurezza: l’america secondo Trump

La notizia, se la si legge di fretta, pare una banale ristrutturazione burocratica: l’AI Safety Institute del Dipartimento del Commercio americano cambia nome e si trasforma nel Center for AI Standards and Innovation. Ma sotto questa vernice lessicale si cela una vera rivoluzione geopolitica mascherata da riforma amministrativa. Non è più questione di “sicurezza”, bensì di supremazia. E soprattutto: non è più una questione globale, ma eminentemente americana. “Dominanza sugli standard internazionali”, come ha dichiarato il Segretario al Commercio Howard Lutnick. Una frase che potrebbe uscire da un meeting di strategia militare più che da un piano di governance tecnologica.

Trump, Musk e l’abominio della spesa: quando il tech sputa nel piatto del potere

Era tutto troppo bello per durare. Il bromance postmoderno tra Donald Trump ed Elon Musk una miscela tossica di testosterone, libertarismo fiscale e narcisismo performativo — ha cominciato a scricchiolare sotto il peso di una delle cose più antiche del mondo: i soldi. Ma non soldi qualsiasi. Parliamo del disegno di legge sulla spesa federale, un pachiderma legislativo definito da Musk come “disgustoso abominio”, con un vocabolario degno di un predicatore texano in un rave.

Elon’s Musk e il mito del padre globale: tra etica riproduttiva e show mediatico

Il nuovo episodio della saga Elon Musk, quel moderno novello Re Mida della tecnologia che trasforma in oro ogni battito d’ali social, aggiunge un capitolo surreale ma perfettamente coerente con la sua leggenda: un figlio nato – o forse solo sussurrato con una popstar giapponese. Notizia esplosa come una miccia nell’infuocato panorama mediatico nipponico, dove si mescolano curiosità morbosa, ironia tagliente e inquietudini etiche degne di un romanzo distopico.

Elon Musk, imprenditore che più che CEO sembra un demiurgo della narrativa tech, è ormai sinonimo di un’umanità iperconnessa e frammentata, con famiglie e discendenti che sembrano moltiplicarsi come widget in un ecosistema digitale. Ashley St Clair, ex partner e madre del quattordicesimo figlio noto del magnate, ha messo sul tavolo la bomba: Musk avrebbe confidato di aver seminato ovunque, compresa una popstar giapponese anonima. La notizia, riportata da un quotidiano globale come il New York Times, si trasforma rapidamente in un’inquietante riflessione sulla privacy dei vip, sulle derive dell’etica riproduttiva e sul concetto stesso di paternità nel XXI secolo.

Berlino contro Seattle: l’ipocrisia teutonica dell’antitrust tra tariffe, algoritmi e vecchie ruggini

La Germania, l’economia più pesante d’Europa, ha appena rispolverato il suo strumento preferito nei confronti degli Stati Uniti: il moralismo regolatorio. Sotto la patina del “fair play competitivo” e della protezione del mercato interno, si cela in realtà il più classico dei giochi geopolitici: colpire i gioielli della corona digitale americana – Amazon, Meta, Google – perché sono le uniche entità che contano davvero in un’economia immateriale dominata dagli algoritmi.

L’Italia e l’Intelligenza Artificiale: la terza via… dopo la tangenziale

Pare che l’Italia sia pronta a lanciarsi in una “terza via” sul fronte dell’intelligenza artificiale. Non tra Bologna e Modena, ma tra Washington e Pechino. Il ministro Adolfo Urso, con encomiabile ottimismo istituzionale, ha annunciato la nascita a Roma di un AI-Hub globale che collegherà le multinazionali occidentali del G7 alle start-up africane, nell’ambito del Piano Mattei. In pratica, una superstrada digitale che parte dal Colosseo e arriva, dopo un algoritmo e mezzo, a Nairobi.

Acciaio, armi e arroganza: l’Unione Europea si sveglia dal letargo doganale

Il teatro delle guerre commerciali ha una nuova puntata, e come sempre, Donald Trump è il protagonista con la faccia di bronzo e il pollice sul pulsante delle tariffe. Questa volta il bersaglio si chiama acciaio, il metallo simbolo dell’industria pesante e delle economie che vogliono fingere di essere ancora sovrane. Dal 25% al 50% di dazio sulle importazioni: una mossa che il presidente USA ha annunciato con la stessa soddisfazione con cui un bambino mostra il suo nuovo martello, pronto a colpire qualsiasi cosa si muova.

ChatGPT alla Casa Bianca: quando il declino della vita americana diventa un prompt mal formattato

Non è la sceneggiatura di una satira politica, è la realtà post-verità che ci meritiamo. Un documento federale la punta di lancia dell’iniziativa “Make America Healthy Again” (MAHA), voluta da Robert F. Kennedy Jr. è stato smascherato come un Frankenstein di fonti fasulle, link rotti e citazioni generate da intelligenza artificiale, con tutti gli errori tipici di una generazione automatica mal supervisionata. No, non è un errore di battitura umano: sono proprio quelle impronte digitali inconfondibili dell’AI, le oaicite, a tradire la genesi siliconica del documento.

La keyword è report MAHA, le secondarie ovvie: ChatGPT, declino dell’aspettativa di vita negli USA. Ma qui il problema non è solo tecnico, è ontologico. Se la verità ufficiale è un’illusione generata da un modello linguistico, cosa rimane della governance democratica? Un reality show scritto da algoritmi, supervisionato da stagisti?

Quando anche le Flying Monkeys se ne vanno da DOGE

Nel mondo surreale della governance americana, dove ormai la Silicon Valley è più presente nei corridoi del potere che nelle linee di codice, il sipario è appena caduto su un altro atto tragicomico: Elon Musk abbandona l’amministrazione Trump. Ma il vero spettacolo inizia dopo il suo tweet.

Meno di 24 ore e la catena di dimissioni diventa virale. Steve Davis, genio austero della razionalizzazione economica e uomo ombra di Musk da anni, chiude la porta. Lo segue James Burnham, avvocato e stratega giuridico dietro DOGE (che non è la crypto, tranquilli, ma il fantomatico Dipartimento per l’Efficienza Governativa). Infine, Katie Miller, portavoce con pedigree trumpiano, che ha deciso di saltare giù dal carro per imbarcarsi direttamente sull’astronave Musk.

Software vietato, chip castrati: l’America ha deciso di spegnere la Cina (e forse anche sé stessa)

La mossa è chirurgica, ma il bisturi è arrugginito e il paziente è globale. Gli Stati Uniti, ancora una volta, tirano il freno a mano sull’export tecnologico verso la Cina, questa volta colpendo il cuore invisibile dell’innovazione: l’Electronic Design Automation, EDA per gli adepti, il software che non costruisce chip, ma li rende possibili. Senza EDA, progettare semiconduttori diventa un’arte rupestre. Lo riferisce il Financial Times, sempre più simile a un bollettino di guerra commerciale piuttosto che a un quotidiano economico.

Ma andiamo con ordine, se ordine si può chiamare questa escalation da Guerra Fredda digitale. A partire da maggio 2025, ogni singolo byte di software EDA che voglia attraversare il Pacifico verso Pechino dovrà essere accompagnato da una licenza di esportazione concessa – o negata – dal Bureau of Industry and Security del Dipartimento del Commercio USA. E no, non si tratta più solo di tool per chip all’avanguardia: adesso il divieto si estende a tutta la linea di prodotti, dall’entry-level al bleeding edge. Anche i cacciaviti digitali sono considerati arma strategica.

Elon Musk abbandona Trump ma lascia dietro di sé un campo minato: il sogno tossico dell’efficienza governativa

Cosa succede quando un tecnocrate con deliri da ingegnere zen si lancia nella giungla burocratica di Washington? Succede Elon Musk. E succede che, dopo una breve ma devastante parentesi come special government employee una carica tanto ambigua quanto pericolosa l’uomo che voleva rendere il governo americano “snello come un razzo Falcon” si ritira con un tweet degno di un film Marvel: la missione non è finita, anzi, è diventata uno stile di vita. Per chi, però, non è chiaro.

Benvenuti nel DOGE, il Dipartimento per l’Efficienza Governativa, partorito dall’ego collettivo di Musk e di un’amministrazione Trump ormai sempre più modellata come una startup tossica in fase di IPO permanente. Una macchina da guerra neoliberista travestita da innovazione, il DOGE non ha risparmiato nessuno: migliaia di dipendenti federali licenziati, intere agenzie federali smantellate come fossero rami secchi di un’azienda in crisi, tagli lineari mascherati da “ottimizzazione”.

Bitcoin come arma strategica: se Pechino la odia, Washington dovrebbe amarla

Là dove l’Impero Celeste chiude le porte, l’Impero dell’Ovest dovrebbe spalancarle. Non per amore della libertà — concetto vago e flessibile, soprattutto quando si parla di politica monetaria — ma per strategia, dominio tecnologico e quel sottile desiderio di mettere i bastoni tra le ruote a Xi Jinping. Così ha parlato il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance alla Bitcoin Conference di Las Vegas, senza troppi giri di parole: “La Cina odia Bitcoin. Noi, quindi, dovremmo abbracciarlo.”

Un pensiero semplice, quasi infantile nella sua linearità, eppure tremendamente efficace in termini geopolitici. Perché sì, la keyword è Bitcoin. E quelle che lo seguono da vicino sono asset strategico e riserva digitale. Il nuovo lessico del potere non parla più solo di missili ipersonici o porti militari in Africa, ma di nodi blockchain e SHA-256.

Europa, Cina, Apple e l’ego digitale: la tariffa come arma, la trattativa come teatro

Il palcoscenico della politica commerciale globale si è trasformato ancora una volta in uno spettacolo ad alta tensione. Trump, da sempre più showman che statista nel senso classico, ha colpito ancora su Truth Social, quella sua arena personale dove il filtro istituzionale evapora come un tweet di Musk alle tre del mattino. Stavolta al centro della scena ci sono le trattative commerciali con l’Unione Europea, la Cina come spettatore interessato, e un’icona tech come Apple usata come leva simbolica e semantica. La parola d’ordine? Tariffe parola chiave principale. Intorno a lei orbitano “negoziati commerciali”, “Apple” e “Trump”, come satelliti in cerca di una nuova orbita geopolitica.

L’intelligenza artificiale senza freni e il grande ritorno del muro: benvenuti nell’era del “One Big Beautiful Bill”

L’America ha appena partorito il suo mostro legislativo più distopico, ed è così orgogliosa da metterci un nome da spot pubblicitario anni ‘90: “One Big Beautiful Bill”. Bello? Forse per chi lo ha scritto, votato e sponsorizzato con un sorrisetto di plastica da fondo schiena. Per il resto del paese e per chi guarda da fuori è un colpo di grazia alla sovranità digitale, alla tutela ambientale, ai diritti civili e al buon senso.

Alla Camera, i Repubblicani l’hanno approvato con una maggioranza risicata e l’appoggio inequivocabile del solito fantasma di Mar-a-Lago. Ora tocca al Senato. Ma già si annusa la tensione fra i falchi conservatori che, a tratti, sembrano ancora ricordarsi cos’è il federalismo.

Trump firma il Take It Down Act: censura vestita da crociata morale

C’è una cosa che Trump sa fare meglio di molti altri: trasformare l’indignazione morale in una clava politica. E il Take It Down Act, appena firmato con grande fanfara presidenziale, è l’ennesimo esempio. Una legge che, sulla carta, promette di proteggere le vittime di immagini intime non consensuali (NCII), comprese quelle generate da intelligenza artificiale, ma che in pratica apre le porte a una nuova stagione di censura discrezionale e abusi normativi. Il tutto condito dall’ormai familiare retorica trumpiana del “sono io la vera vittima di internet”.

Europa offline. Draghi lancia l’allarme: perché stiamo perdendo la corsa all’intelligenza artificiale

È ormai chiaro come l’Europa abbia mancato anche l’appuntamento con la rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Adesso rischia di perdere anche il prossimo treno perchè l’innovazione nel vecchio continente continua ad essere soffocata da norme, frammentazione e una buona dose di miopia strategica.

Copyrightpocalypse: come la guerra per l’AI sta cannibalizzando Washington

Elon Musk voleva mangiarsi la torta e farsela servire dal Congresso. Ma stavolta gli è rimasta di traverso. Il tentativo di prendere il controllo dell’Ufficio Copyright statunitense roba da nerd che scrivono documenti noiosi da 300 pagine che nessuno legge, ma che decidono il futuro dell’intelligenza artificiale si è trasformato in un boomerang politico, giuridico, e pure un po’ esistenziale. Una guerriglia tra oligarchi della Silicon Valley, populisti a caccia di vendette, e funzionari pubblici buttati giù dal treno in corsa senza biglietto di ritorno.

Europa che figura barbina

Un’altra volta ci siamo trovati nel mezzo dello scontro tra giganti, e no, non come protagonisti. Come comparsa malvestita sul set sbagliato. Mentre Stati Uniti e Cina giocano a Risiko commerciale lanciandosi tariffe come freccette ubriache al bar di fine serata, l’Europa resta ferma sullo sgabello a fissare il bicchiere vuoto, chiedendosi quando è successo che ha smesso di contare qualcosa.

Il punto non è che ci siano stati colloqui tra Washington e Pechino – quelli sono inevitabili, come i cerotti dopo le scazzottate. Il punto è come si sono chiusi. Gli USA, guidati dal solito Trump in modalità “Reality Show Diplomacy”, annunciano trionfi storici, tariffe dimezzate, vittorie strategiche. La Cina, dall’altra parte, non solo esce con un’economia più tutelata, ma soprattutto con un’immagine geopolitica rafforzata. E noi? Abbiamo commentato. Forse.

Trump: 80 e stò

Bill Gates contro Trump: come i miliardari possono riscrivere la filantropia per distruggere il potere politico

Nel teatro globale della ricchezza e del potere, Bill Gates sta riscrivendo la sceneggiatura. Non con i toni sommessi di un benefattore tradizionale, ma con l’eleganza glaciale di chi ha deciso che fare il bene non basta più: ora serve fare la guerra, anche se con i guanti bianchi. La recente decisione di chiudere la Bill & Melinda Gates Foundation entro il 2045 non è solo un atto filantropico accelerato, ma un’operazione chirurgica contro il disfacimento sistemico dell’ordine liberale, con un bersaglio preciso: Donald Trump. O più precisamente, il modello politico-corporativo che Trump rappresenta.

Entriamo nella nuova era della speranza: quando il coraggio della leadership diventa la chiave del futuro

Stiamo per entrare in una nuova era, un’era che promette di ridare speranza. Ma, come in ogni grande epica, sono necessari coloro che abbiano il coraggio di guidare il cammino. Quello che ci aspetta potrebbe sembrare un futuro brillante, ma non arriverà senza un rischio. Oggi viviamo in un mondo dominato dalla paura, dove la maggior parte della leadership si trova in modalità di sopravvivenza, nascosta nei bunker e protetta dalle consulenze e dai fogli di calcolo, alla ricerca di sicurezza nel cuore della massa.

Silicon Valley chiede regolamentazione morbida sull’AI: tra lobbying, geopolitica e interessi aziendali

Il 8 maggio 2025, il Senato degli Stati Uniti ha ospitato una delle udienze più significative dell’anno, con protagonisti i vertici di OpenAI, Microsoft, AMD e CoreWeave. L’obiettivo? Convincere i legislatori a adottare un approccio più “leggero” nella regolamentazione dell’intelligenza artificiale, evitando che norme troppo rigide possano ostacolare l’innovazione e compromettere la leadership tecnologica americana rispetto alla Cina.

Sam Altman ha partecipato a un’udienza presso la Commissione Commercio del Senato, dove ha testimoniato che imporre l’approvazione governativa prima del lancio di sistemi di intelligenza artificiale sarebbe “disastroso”.Alla domanda se l’autoregolamentazione fosse sufficiente, ha risposto: “Alcune politiche sono buone… [ma] è facile che vadano troppo oltre”.”Gli standard possono contribuire ad aumentare il tasso di innovazione, ma è importante che prima l’industria capisca quali dovrebbero essere”. VEDI notizia Washington Post

Trump stablecoin: la geopolitica tokenizzata tra figli di papà, sovranisti arabi e rendite passive da 80 milioni

Che la criptosfera sia un circo non è più notizia. Ma quando il figlio dell’ex presidente più controverso d’America si siede su un palco a Dubai con il rampollo di un plenipotenziario mediorientale, e da lì annunciano che un sovereign wealth fund ha pagato Binance con una stablecoin brandizzata Trump, allora siamo di fronte a qualcosa che non è solo teatrale, è strategico. E parecchio, parecchio redditizio.

Nel giro di tre giorni, la capitalizzazione del cosiddetto USD1 la stablecoin lanciata da World Liberty Financial, cripto-startup con DNA trumpiano è schizzata da 130 milioni a 2,1 miliardi di dollari. Boom. Un’esplosione da far invidia anche a Tether nei suoi giorni migliori. Il detonatore? L’investimento del fondo sovrano MGX di Abu Dhabi in Binance, regolato proprio in USD1. Il dettaglio della stablecoin usata non era stato specificato a marzo, quando Binance aveva confermato l’affare. Ma ora il sipario è caduto: è la moneta di Trump. E il pubblico, cioè il mercato, ha applaudito con miliardi.

Musk vs OpenAI: la guerra sporca delle nonprofit mascherate da startup

C’è qualcosa di profondamente ironico – e persino grottesco – nel vedere Elon Musk, il più teatrale dei capitalisti ipertecnologici, salire in cattedra come difensore della purezza filantropica. In un’aula di tribunale federale, davanti alla giudice Yvonne Gonzalez Rogers, va in scena un dramma che non riguarda solo contratti infranti o donazioni idealistiche mal ripagate, ma il cuore stesso dell’ipocrisia dietro molte “nonprofit” della Silicon Valley: sono incubatrici di profitti camuffate da enti morali.

La notizia è che la giudice ha decimato l’accusa: 11 delle 16 rivendicazioni presentate da Musk contro OpenAI sono state stracciate senza pietà. Addio quindi alla narrativa del contratto esplicito tra Musk e l’originaria OpenAI e addio all’idea che Microsoft abbia “istigato” la frode. Roba da soap opera legale. Tuttavia, ciò che resta in piedi ed è tutt’altro che banale è l’accusa che OpenAI abbia violato un contratto “implicito” con Musk tentando la mutazione genetica da no-profit a macchina di profitti.

Quando Harvard ti dice no, tu fondi una startup da 30 milioni Cal ai

Nel grande zoo darwiniano della Silicon Valley, dove l’età media dei CEO sta diventando inversamente proporzionale alla capitalizzazione aziendale, la storia di Zach Yadegari è l’ennesima prova che l’università è, per alcuni, un ostacolo più che un trampolino. Mentre la Ivy League gli sbatteva le porte in faccia, lui apriva le app store con Cal AI, un’applicazione di fitness e nutrizione basata sull’intelligenza artificiale che oggi, a soli 18 anni, gli frutta proiezioni da 30 milioni di dollari all’anno. Tutto questo mentre frequenta l’ultimo anno di liceo.

Trump riscrive le regole sull’AI Diffusion Rule: lobbying miliardaria, paranoia geopolitica e il grande bluff della sicurezza tecnologica

Dopo mesi di pressing ai massimi livelli da parte di colossi come Nvidia, AMD, Broadcom e una discreta fetta di Capitol Hill, la futura amministrazione Trump sta lavorando a una revisione delle famigerate restrizioni note come AI Diffusion Rule. Si tratta del classico esempio di legislazione partorita nel panico, vestita da sicurezza nazionale, ma cucita addosso a un’agenda economica che sa di protezionismo con una spruzzata di Guerra Fredda digitale.

La norma, introdotta a gennaio dal team Biden, intendeva limitare l’esportazione di chip AI avanzati verso Paesi “non amici”, dividendo il mondo in tre fasce con livelli crescenti di sospetto. Il primo gruppo, che include 17 Paesi più Taiwan, ha accesso illimitato agli acceleratori AI. Il secondo – circa 120 Stati – riceve le briciole sotto forma di tetti quantitativi. Il terzo, naturalmente, è la gabbia di Faraday geopolitica: Cina, Russia, Iran e Corea del Nord non ricevono nemmeno un transistor.

Disparate Impact L’Ultimo decreto esecutivo di Trump: un cambiamento epocale per la discriminazione nel mercato del lavoro, nell’educazione e nell’AI

Il recente decreto esecutivo dell’amministrazione Trump, volto a “ripristinare l’uguaglianza delle opportunità e la meritocrazia,” ha preso di mira in modo silenzioso uno degli strumenti anti-discriminazione più cruciali della legge americana, specialmente nei settori dell’occupazione, dell’educazione, dei prestiti e persino dell’intelligenza artificiale (IA). Le implicazioni di questa mossa potrebbero richiedere anni per essere completamente comprese, ma le conseguenze saranno profonde, soprattutto per le comunità più vulnerabili della società. Questo cambiamento politico potrebbe alterare significativamente il modo in cui vengono gestiti i casi di discriminazione, rendendo più difficile per avvocati e difensori dei diritti civili provare i pregiudizi sistemici nelle industrie in cui persistono. Sebbene l’ordine venga minimizzato da alcuni, il suo potenziale di impatto su milioni di americani è sostanziale e non dovrebbe essere sottovalutato.

L’incredibile influenza di Elon Musk sul governo USA potrebbe risparmiargli miliardi in responsabilità legali

L’impero di Elon Musk, che include aziende di spicco come SpaceX, Tesla, Neuralink, The Boring Company e xAI, potrebbe non solo trarre vantaggio da innovazioni tecnologiche e crescita vertiginosa, ma anche evitare sanzioni legali e costi potenziali che altre aziende si troverebbero a pagare. Secondo un rapporto del sottocomitato permanente per le indagini sulla sicurezza interna del Senato, l’impatto dell’influenza di Musk sul governo degli Stati Uniti potrebbe permettergli di evitare responsabilità legali per un valore che supera i 2,37 miliardi di dollari, grazie alla sua straordinaria connessione con l’ex presidente Donald Trump e alla creazione del controverso Dipartimento per l’Efficienza del Governo (DOGE).

Anatomia dei primi 100 giorni di Trump: Groenlandia, dazi e autoritarismo

Nel suo ritorno alla Casa Bianca, Donald Trump ha rilanciato l’idea di un nuovo “Liberation Day”, una giornata simbolica per affrancare aziende e consumatori americani da quelli che definisce “trattamenti ingiusti” dei partner commerciali. Dietro la retorica nazionalista, però, si cela una strategia politica ed economica che rischia di riscrivere gli equilibri mondiali. Con una politica economica fondata su dazi aggressivi e una politica estera che strizza l’occhio all’espansionismo — dalle pretese sulla Groenlandia al controllo del Canale di Panama — Trump apre la strada a una nuova stagione di autoritarismo. Una stagione che potrebbe ispirare leader come Vladimir Putin in Ucraina, Xi Jinping su Taiwan e Benjamin Netanyahu in Medio Oriente, alimentando una destabilizzazione globale senza precedenti.

White Paper. Il nuovo disordine globale: Trump, la Cina e l’Intelligenza Artificiale alla conquista del futuro

Cento giorni fa, Donald Trump è tornato alla Casa Bianca con l’imponenza di un elefante in una cristalleria, pronto a ribaltare l’ordine mondiale che lui stesso aveva contribuito a plasmare. Con la promessa di un “Liberation Day”, ha dichiarato guerra ai suoi “cattivi partner commerciali” e ha sognato di annettersi territori che nemmeno il più sfrenato imperialismo avrebbe mai osato immaginare. Mentre Trump gioca a Risiko, il mondo risponde con una combinazione letale di panico, dazi e – ovviamente – intelligenza artificiale.

La polveriera Kash Patel: dall’arresto della giudice di Milwaukee alla guerra contro la “Deep State”

Nei giorni in cui i media sembrano concentrarsi su altri fronti, la notizia dell’arresto della giudice di Milwaukee, accusata di aver aiutato un immigrato irregolare a sfuggire alla giustizia, passa quasi inosservata. Ma a mettere questa vicenda al centro dell’attenzione è stato il direttore dell’FBI, Kash Patel, una figura che non lascia indifferenti, tanto per le sue posizioni politiche quanto per la sua carriera.

Trump e Zelensky si incontrano in Vaticano: tra pace e scambi velenosi

Se pensavate che l’atmosfera di un funerale papale fosse immune dai giochi di potere, vi sbagliavate di grosso. A San Pietro, sabato, nel silenzio imponente della basilica, Donald Trump e Volodymyr Zelensky si sono incontrati brevemente ma intensamente, tra gli sguardi severi dei santi e il peso di un conflitto che non accenna a spegnersi. Non un tête-à-tête qualunque, ma il primo incontro diretto dopo l’accesissimo scontro alla Casa Bianca, quella pièce teatrale che aveva lasciato intendere quanto poco zucchero ci fosse rimasto nei rapporti bilaterali.

Zelensky ha parlato di “un cessate il fuoco incondizionato”, come chi chiede una tregua mentre l’altra parte sta già caricato il fucile. “Speriamo in risultati”, ha detto con quell’ottimismo forzato da leader di un Paese in fiamme. I media ucraini si sono affrettati a diffondere foto di Trump e Zelensky seduti faccia a faccia, entrambi protesi in avanti, in quell’atteggiamento che conosciamo bene: il corpo che dice “ti ascolto” e la mente che urla “quanto manca alla fine di questa farsa?”. Sullo sfondo, come a ricordare l’ineluttabilità di tutto, la bara semplice di legno di Papa Francesco.

Pechino scatena l’intelligenza artificiale: la nuova corsa all’oro hi-tech tra ambizioni, chip e propaganda

Se qualcuno ancora si illudeva che la Cina avesse intenzione di restare a guardare mentre l’Occidente gioca a fare gli apprendisti stregoni dell’intelligenza artificiale, è ora di svegliarsi dal torpore. Xi Jinping, con la solennità tipica di chi ha in mano non solo il telecomando, ma anche la sceneggiatura dell’intero show, ha dichiarato senza giri di parole: la Cina mobiliterà tutte le sue risorse per dominare l’AI, scardinare ogni colletto tecnologico imposto dagli Stati Uniti, e guidare la prossima rivoluzione industriale mondiale.

UAE: l’intelligenza artificiale scrive le leggi. ecco come gli Emirati stanno codificando il futuro

Gli Emirati Arabi Uniti hanno appena annunciato un’iniziativa che potrebbe riscrivere non solo le leggi, ma anche il concetto stesso di legislazione: l’introduzione dell’intelligenza artificiale nel processo legislativo. In un mondo in cui la burocrazia spesso rallenta il progresso, gli Emirati puntano a una rivoluzione normativa, affidando all’AI il compito di redigere e aggiornare le leggi.

Il cuore di questa trasformazione è l’istituzione di un “Ufficio di Intelligenza Regolatoria”, un’entità che supervisionerà l’integrazione dell’AI nel processo legislativo. L’obiettivo? Creare un sistema legislativo più agile, capace di adattarsi rapidamente ai cambiamenti sociali ed economici. Attraverso l’analisi di dati in tempo reale, l’AI potrà identificare le necessità di riforma e proporre modifiche legislative con una velocità e precisione senza precedenti.

Trump e l’economia del disincanto: la luna di miele è finita, il conto arriva ora

La narrativa trionfale che ha accompagnato la rielezione di Donald Trump si sta sbriciolando sotto il peso delle aspettative mancate. L’ultimo sondaggio economico nazionale CNBC All-America fotografa un Paese più cupo, deluso e (cosa ancora più letale in politica) impaziente. Il consenso economico nei confronti del presidente ha toccato i livelli più bassi del suo secondo mandato, segnando un’inversione di rotta drammatica rispetto all’impennata di ottimismo che aveva accompagnato la sua riconferma. Con un approvazione economica al 43% e un netto 55% di disapprovazione, Trump entra ufficialmente nella zona rossa della fiducia pubblica, per la prima volta anche sul tema economico, da sempre il suo cavallo di battaglia.

Il dato più preoccupante per la Casa Bianca non è tanto la resistenza della base repubblicana, che regge, quanto la frattura profonda con gli indipendenti e l’ostilità feroce dei democratici. Tra questi ultimi, la disapprovazione netta sulle politiche economiche di Trump ha raggiunto il -90, un abisso politico mai visto nemmeno durante il primo mandato. E anche tra i lavoratori blue collar, una delle colonne portanti del trionfo trumpiano del 2024, il supporto mostra crepe evidenti: sì, ancora positivi nel complesso, ma con una crescita di 14 punti nei tassi di disapprovazione rispetto alla media del primo mandato. Il tempo della gratitudine è finito, ora si pretende il dividendo.

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