Rivista AI

Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

OpenAI, la corsa cieca all’IA: quando la sicurezza diventa un optional

Nel 2023, OpenAI sembrava incarnare il paradigma della responsabilità etica nella corsa all’intelligenza artificiale. Sei mesi di test per GPT-4, un impegno pubblico verso la trasparenza e persino collaborazioni con istituzioni governative per garantire che la nuova tecnologia non si trasformasse in un’arma nelle mani sbagliate. Ma quell’immagine da tech-samaritani sembra già roba da archivio storico. Oggi, il nuovo modello “o3” viene lanciato dopo appena pochi giorni di valutazioni. Una marcia forzata al rilascio che ha tutta l’aria di una sindrome da IPO imminente o da guerra fredda tra colossi dell’IA. O entrambe.

Dietro questa virata non ci sono misteri: pressione competitiva, fame di mercato, e un culto ossessivo per il “first mover advantage” stanno spingendo OpenAI ad accelerare brutalmente il ciclo di sviluppo dei suoi modelli. Il problema? Che questi modelli non stanno diventando solo più intelligenti, ma anche più pericolosi. E il tempo per verificarlo si è drasticamente ridotto.

No Wafer No Party, Chips di guerra: la Cina ridefinisce l’origine dei semiconduttori e silura il piano di Trump

Quando si parla di guerre commerciali, si tende a pensare a dazi, ritorsioni e mercati in affanno. Ma in realtà, in ballo ci sono sempre definizioni. E stavolta, è la definizione di “origine” che sta facendo tremare le fondamenta dell’industria globale dei semiconduttori. La Cina, in un colpo da maestro di strategia geoindustriale, ha ufficializzato che l’origine doganale di un chip sarà determinata dal luogo in cui viene effettuata la wafer fabrication, ovvero la fase chiave in cui nasce fisicamente il semiconduttore, indipendentemente da dove venga impacchettato o testato. La notizia è stata diffusa dalla China Semiconductor Industry Association (CSIA) con un messaggio molto chiaro: chi fabbrica il wafer, vince.

Questa mossa, a prima vista meramente tecnica, è in realtà una bomba geopolitica travestita da comunicato doganale. Il suo effetto immediato? Spostare l’ago della bilancia verso le fonderie cinesi come SMIC e Hua Hong, che hanno registrato un balzo azionario rispettivamente del 5,9% e 14% subito dopo l’annuncio. In altre parole, un “boost” di fiducia che difficilmente si compra con una campagna pubblicitaria.

Debug Gym – AI sa scrivere ma non sa correggersi: perché gli LLM sono ancora lontani dal pensare come uno sviluppatore

Secondo uno studio MSFT 25% del codice nuovo scritto da Google è generato da AI. Non lo dice un anonimo post su Hacker News, lo dice Sundar Pichai in persona. Mark Zuckerberg, non certo noto per la moderazione nei suoi entusiasmi, vuole strumenti AI di coding ovunque dentro Meta. OpenAI e Anthropic stanno già infilando i loro modelli nei flussi di lavoro degli sviluppatori. Ma c’è un dettaglio fastidioso che rovina la festa: questi modelli sanno scrivere codice, ma non sanno correggerlo. O meglio, si perdono in bug che uno stagista al primo mese sistemerebbe in due minuti. Così, mentre ci illudiamo che la prossima frontiera sia il prompt che ti scrive l’app da solo, la realtà è che passiamo ancora la maggior parte del tempo a fare debugging. A mano. Come nell’era pre-AI.

Pechino suona la carica, Li Qiang a Ursula von der Leyen : “abbiamo gli strumenti per resistere alla guerra commerciale di Trump”

Nel teatro sempre più grottesco dell’economia globale, dove le regole del gioco sembrano essere scritte con l’inchiostro simpatico dell’interesse nazionale americano, la Cina ha deciso di mostrare i muscoli ma con il guanto bianco della diplomazia. Li Qiang, Premier della Repubblica Popolare, ha alzato la cornetta e parlato con Ursula von der Leyen per recitare un copione che sa di calma glaciale e determinazione sistemica: “abbiamo abbastanza strumenti politici in riserva” e “siamo pienamente in grado di contrastare gli shock esterni”.

Tradotto dal mandarino: Trump può pure giocare a Risiko con i dazi, noi giochiamo a Go con decenni di pianificazione centralizzata. Il messaggio è chiaro, e non è solo per l’Europa: Pechino non ha intenzione di piegarsi alla nuova ondata protezionistica partorita dalla Casa Bianca. Anzi, rilancia con il solito mantra del “difendere l’equità internazionale” un concetto che fa sorridere se pronunciato da un Paese che tiene in piedi il più sofisticato sistema di capitalismo di Stato mai concepito.

Sensetime sfida OpenAI: il colosso cinese lancia un modello AI che “ragiona meglio” SenseNova V6 e V6 Reasoner

In un mercato sempre più saturo di fuffa e slide patinate, dove tutti si dichiarano pionieri dell’intelligenza artificiale, SenseTime ha deciso di alzare la voce e i numeri. L’azienda cinese ha lanciato due nuove versioni della sua suite AI, SenseNova V6 e V6 Reasoner, con una dichiarazione che ha il sapore del guanto di sfida: siamo meglio di OpenAI, punto.

Mentre in Occidente ci si perde tra conferenze stampa dal retrogusto evangelico e annunci scritti come se fossero la quarta sinossi di un film Marvel, in Cina si lavora. E i risultati, per quanto tutti da verificare sul campo, iniziano a diventare ingombranti. SenseTime afferma che il nuovo modello V6, equipaggiato con 600 miliardi di parametri una cifra che fa impallidire anche GPT-4o – ha surclassato il rivale americano in discipline fondamentali per l’AI del presente e del futuro: fact-checking, ragionamento numerico, analisi e visualizzazione dei dati. Tutte aree dove la precisione conta, e il marketing si ferma alla porta.

Xu Li, CEO e chairman del gruppo, ha snocciolato i risultati facendo riferimento a TableBench, una piattaforma indipendente che si propone come metro di paragone neutrale nel Far West dell’AI. Secondo questi benchmark, il V6 Reasoner non solo ha “ragionato meglio”, ma ha anche consumato meno risorse, offrendo il miglior costo-performance del settore. Una frecciatina nemmeno tanto velata a chi in Occidente punta su modelli da miliardi di dollari ma ancora allergici alla logica più spicciola.

Trump ordina un’indagine sull’ex capo della cybersicurezza: vendetta o strategia preventiva?

Quando l’ex presidente Donald Trump firma un ordine esecutivo, non lo fa mai a cuor leggero. Mercoledì ha messo nero su bianco un attacco frontale a Christopher Krebs, ex direttore dell’Agenzia per la sicurezza informatica e delle infrastrutture (CISA), oggi dirigente di SentinelOne, società privata di cybersecurity. Sì, proprio lui, lo stesso che dopo le elezioni del 2020 ebbe l’ardire di smentire pubblicamente le teorie trumpiane sul presunto “furto” elettorale. Il prezzo? Ora si ritrova al centro di un’indagine ordinata dallo stesso uomo che l’aveva già licenziato con una mossa spettacolare e mediatica.

Trump, in questo nuovo ordine esecutivo, ha revocato il nulla osta di sicurezza a Krebs, etichettandolo di fatto come una minaccia all’apparato statale. Ma attenzione: non si tratta di un’azione isolata. Il tycoon è nel pieno di una campagna di rivincita sistematica contro individui, studi legali e università che a suo dire lo avrebbero danneggiato o screditato. Questo comportamento paranoico, o forse solo estremamente strategico, ci racconta più del modus operandi trumpiano che dell’effettiva pericolosità di Krebs.

La scelta di prendere di mira un esperto riconosciuto a livello internazionale, che aveva semplicemente affermato che le elezioni del 2020 furono “le più sicure nella storia americana”, non è solo un atto vendicativo, ma un segnale politico ben preciso. Siamo nel pieno del 2024 e Trump ha bisogno di polarizzare l’attenzione, consolidare la base e riscrivere la narrativa in vista delle prossime elezioni. Quale modo migliore se non riesumare i fantasmi del 2020 e attaccare chi, con freddezza e competenza tecnica, ha osato contraddirlo?

Amazon premia il suo CEO: Andy Jassy incassa 40 milioni, mentre i dipendenti fanno i pacchi

Andy Jassy, il successore designato di Jeff Bezos e oggi CEO di Amazon, ha incassato solo 40,1 milioni di dollari nel 2024. La cifra, rivelata nel proxy statement di Amazon pubblicato giovedì, rappresenta un aumento del 37% rispetto ai 29,2 milioni del 2023. Un bel balzo, considerando che non ha ricevuto nuove azioni da quando ha preso il timone nel 2021. Ma si sa, a Wall Street anche l’immobilismo può essere una strategia, se il mercato fa il lavoro al posto tuo.

Il grosso del compenso deriva da stock option che si sono “vestite” Vested termine che nel gergo finanziario fa sembrare la cosa più sexy di quanto non sia grazie alla fiammata del titolo Amazon in Borsa. La società ha sottolineato come Jassy abbia in realtà avuto il 6% in meno di azioni rispetto all’anno precedente. Ma quando il prezzo delle azioni vola, anche il paracadute d’oro si gonfia da solo.

La Cina punta su intelligenza artificiale e combattimento spaziale per vincere le guerre future

Nel panorama sempre più complesso della tecnologia militare, la Cina sta dando una chiara direzione alle sue forze armate, con un focus particolare sulle capacità avanzate come la guerra navale basata sull’intelligenza artificiale (AI) e le operazioni spaziali. Queste aree emergenti sono al centro di una serie di articoli pubblicati dal Study Times, il giornale che fa capo alla Scuola Centrale del Partito Comunista Cinese, dove i ricercatori dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) delineano le priorità strategiche del paese per i prossimi decenni. In particolare, la tecnologia AI è vista come il “fattore decisivo” per cambiare le regole della guerra futura, diventando la chiave per dominare i campi di battaglia di domani.

La mossa di Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare Cinese, di enfatizzare l’importanza di “innovazioni audaci” e di una “nuova potenza di combattimento di qualità” risponde alla sua visione di una Cina sempre più potente e tecnologicamente avanzata sul piano militare. Durante una riunione del mese scorso, Xi ha sottolineato la necessità per la PLA di esplorare e sviluppare nuovi tipi di forze di combattimento, liberando il potenziale delle tecnologie emergenti per fronteggiare la “lotta militare” che la Cina prevede di dover affrontare.

L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il settore marittimo: logistica, difesa e sostenibilità nel 2025

Nel 2025, l’intelligenza artificiale (IA) sta trasformando radicalmente il settore marittimo, influenzando profondamente la logistica, la difesa e la sostenibilità ambientale. Questa evoluzione è guidata da una serie di innovazioni e collaborazioni strategiche che stanno ridefinendo le operazioni e le strategie nel settore.​

Un esempio significativo è la partnership annunciata il 6 aprile 2025 tra il gigante dello shipping CMA CGM e la startup francese Mistral AI.

Questo accordo quinquennale, del valore di 100 milioni di euro, mira a migliorare il servizio clienti nel settore dello shipping e della logistica, oltre a implementare sistemi di fact-checking nei media francesi di proprietà di CMA CGM, come BFM TV. Questa iniziativa fa parte di una strategia più ampia di CMA CGM, che ha investito complessivamente 500 milioni di euro nell’IA, con l’obiettivo di aumentare l’efficienza nella gestione di oltre un milione di email settimanali dei clienti entro 6-12 mesi. Questa collaborazione non solo evidenzia l’impegno di CMA CGM nell’adozione dell’IA, ma sottolinea anche l’importanza crescente dell’IA nel migliorare l’interazione con i clienti e l’efficienza operativa nel settore marittimo.​

NBC Tonight Show – Intervista a Bill Gates: AI non ha bisogno di noi, il tramonto dell’umano

Bill Gates ha recentemente buttato un sasso nello stagno durante una chiacchierata apparentemente leggera con Jimmy Fallon.

In una puntata del “Tonight Show”, lo storico co-fondatore di Microsoft ha detto senza troppi fronzoli che nel giro di dieci anni l’essere umano diventerà opzionale in molte delle funzioni oggi considerate nobili, complesse e inaccessibili: medicina ed educazione in primis.

Il motivo? L’Intelligenza Artificiale sarà talmente evoluta da non rendere più necessaria la presenza di un medico eccellente o di un insegnante straordinario.

Jack Ma riappare e parla di AI come fosse Confucio: l’era del fumo, del fuoco e dei chip

Jack Ma è tornato. No, non con un IPO o una rivoluzione del mercato. È riapparso a Hangzhou campus, badge da impiegato al collo come fosse un giovane neoassunto, per arringare le truppe del suo impero ormai focalizzato non più sullo shopping online, ma sull’intelligenza artificiale. E, come ogni buon fondatore che si rispetti dopo anni di silenzio e auto-esilio semi-volontario, ha fatto ciò che solo i grandi imprenditori-filosofo sanno fare: parlare di tecnologia con parole da poeta zen, sfiorando il misticismo. Ma dietro la retorica, c’è una mutazione darwiniana in atto dentro Alibaba, e va analizzata senza inciampare nei petali del suo Blossom Project.

Jack Ma, 60 anni, uno dei simboli dell’era d’oro tech cinese, ha dichiarato che l’AI non dovrebbe puntare a “conquistare galassie e oceani”, ma a proteggere il “fumo e il fuoco del mondo mortale”. Tradotto per chi non legge i classici cinesi al mattino: l’AI serve a migliorare la vita concreta delle persone, non a costruire Skynet o sogni da tech-evangelisti della Silicon Valley. È un appello tanto nobile quanto, diciamolo, strategicamente calcolato. Perché mentre in Occidente si lotta tra open e closed source, copyright e regolazioni etiche, Alibaba punta a posizionarsi come il provider umano e responsabile dell’intelligenza artificiale in Cina.

Thinking Machines Lab: l’anti-OpenAI da $10 miliardi che sta riscrivendo le regole dell’IA

Nel mondo iper-accelerato dell’intelligenza artificiale, i soldi sembrano crescere sugli alberi. Ma quando un’ex CTO di OpenAI lancia una startup, abbandona il carrozzone di Microsoft e in due mesi raddoppia il target di raccolta fondi a 2 miliardi di dollari, la faccenda prende una piega diversa. È quello che sta succedendo a Thinking Machines Lab, il nuovo mostro sacro in gestazione partorito da Mira Murati, ex mente tecnica dietro ChatGPT, ora pronta a giocare una partita tutta sua – con regole diverse, e ambizioni ancora più grandi.

Secondo quanto riportato da Business Insider, la società ha già messo sul piatto una valutazione da almeno 10 miliardi di dollari. In soldoni: una startup fondata tre mesi fa da ex ribelli di OpenAI sta per essere valutata più di molte aziende quotate con anni di attività alle spalle. Ma qui non si tratta solo di soldi. Si tratta di vendetta, visione e – soprattutto – controllo.

Mira Murati, donna silenziosamente centrale nell’ascesa dell’IA generativa, ha lasciato OpenAI proprio mentre il colosso iniziava a ballare sulle note composte da Microsoft. Il motivo? Non ufficiale, ma il timing e le mosse successive parlano da soli. Thinking Machines Lab nasce a febbraio, e nasce con un manifesto in tre punti che sembra il negativo fotografico della strategia OpenAI: aiutare le persone ad adattare l’IA ai propri bisogni (e non il contrario), creare fondamenta solide per sistemi più capaci, e – udite udite – promuovere una “cultura della scienza aperta”. Detta altrimenti, tutto ciò che OpenAI non è più da quando ha stretto il patto faustiano con Redmond.

L’intelligenza artificiale sta uccidendo il traffico web dei creator (e loro lo sanno)

Mentre tutti applaudono all’efficienza dei chatbot, i creatori di contenuti stanno scoprendo a proprie spese che l’intelligenza artificiale non è solo un alleato, ma anche un predatore. Il paradosso è servito: il progresso tecnologico, che da anni viene cavalcato da blogger, influencer e microeditori per monetizzare audience e traffico web, ora si sta ritorcendo contro di loro sotto forma di AI Overviews, Panoramiche Intelligenti e motori di ricerca che “rispondono” senza più bisogno di cliccare.

Fino a ieri, la SEO era la Bibbia. Bastava un titolo accattivante, qualche parola chiave ben piazzata e l’immancabile link affiliato piazzato come una trappola per topi: qualcuno cercava “miglior estrattore di succo 2025”, finiva sul tuo blog, leggeva il tuo articolo pseudo-obiettivo e cliccava su Amazon. Il gioco era fatto. Una commissione del 10-20%, moltiplicata per qualche migliaio di visitatori, significava soldi veri. Oggi, quella catena si spezza all’origine.

Strumenti come ChatGPT e Perplexity non mandano più traffico, lo trattengono. Google, con i suoi riassunti in cima ai risultati, taglia le gambe a chi viveva di “how to” e “best of”, per questo il traffico da Google è già sceso del 5,5% su base annua solo a marzo. E siamo solo all’inizio.

Ursula von der Leyen e la guerra dei pixel: perché una tassa europea sulla pubblicità digitale è una mina sotto il cloud delle Big Tech


Non è una guerra commerciale, è una partita a Risiko giocata da boomer vestiti da statisti, con le aziende tech americane al centro del bersaglio. Apple si è già beccata il primo colpo, ma ora anche Meta e Google rischiano di vedere i loro margini evaporare tra i fumi di ritorsioni e nuove fantasiose imposte pensate a Bruxelles, con la stessa lucidità con cui si sceglie il karaoke di fine anno in un ente pubblico.

Ursula von der Leyen, che evidentemente ha deciso di iniziare la campagna elettorale con l’eleganza di un colpo di mazza sul tavolo delle relazioni transatlantiche, ha proposto una tassa sui ricavi pubblicitari delle aziende statunitensi. Non sui profitti, attenzione, ma sui ricavi. Il che, per chi mastica un po’ di business, è come tassare l’aria condizionata di un ristorante e non il conto. È una misura punitiva, non una riforma. È una provocazione fiscale mascherata da giustizia economica, e come ogni provocazione, rischia di ottenere l’effetto opposto.

L’età dell’alluminio Agibot: Peng Zhihui, il prodigio dei robot umanoidi, ora nel club degli eletti di Pechino

Ne sentiremo parlare.

In un Paese che ha reso l’iperbole una forma d’arte politica, quando il Premier cinese Li Qiang ti chiama a raccolta tra un economista della logistica e un magnate del trasporto marittimo, qualcosa di simbolico sta accadendo. Peng Zhihui, classe 1993, fondatore della start-up AgiBot e ex enfant prodige di Huawei, è stato convocato tra le giovani speranze della tecnologia nazionale per un simposio a porte chiuse a Pechino. Un palcoscenico istituzionale che somiglia a un’investitura, più che a una riunione operativa.

Sotto il volto liscio del socialismo high-tech si nasconde un sottotesto chiarissimo: Pechino ha bisogno di nuovi idoli, possibilmente con un background da ingegneria applicata e un portfolio di robot bipedi pronti a spostare scatole o conquistare TikTok. E Peng, con il suo curriculum da sceneggiatura Marvel un braccio robotico alla Iron Man, un nickname virale (“Zhihuijun”), e un passato nei reparti AI di Huawei e Oppo è perfetto per la parte. Non un semplice imprenditore, ma un totem narrativo per una Cina che vuole ribadire che la partita dell’intelligenza artificiale non è a esclusivo appannaggio della Silicon Valley.

La guerra dei dazi diventa guerra di nervi: Trump e Xi al bivio di un duello strategico globale

Il sipario si è alzato sul secondo atto della guerra commerciale USA-Cina e stavolta non si tratta solo di dazi. È un confronto strategico, una partita a scacchi geopolitica, con Washington e Pechino incastrati in una dinamica di escalation reciproca che trascende il semplice commercio. Trump, tornato alla Casa Bianca con la sottile eleganza di un bulldozer in cristalleria, ha innalzato i dazi al +125% (quindi in totale dovrebbero essere 145%) contro la Cina. Una mossa che sa più di vendetta che di strategia economica, mentre a tutti gli altri partner commerciali ha concesso una graziosa tregua di 90 giorni. Per Pechino, invece, nessun salvacondotto.

Non siamo più nel 2018. Oggi, con le supply chain globali già fratturate e l’economia mondiale in modalità “survival”, la mossa di Trump appare come un tentativo di rianimare il suo brand politico attraverso il nazionalismo economico più tossico (Monroe). Ma la Cina non è quella che era. Non c’è più l’ombra di un compromesso tattico: Pechino ha messo in chiaro che è pronta a pagare qualsiasi prezzo pur di non piegarsi. Lo ha detto Zhao Minghao, esperto del Centre for American Studies di Shanghai, e lo ha ribadito ogni funzionario cinese coinvolto: questa è una guerra di risolutezza, non di numeri.

OpenAI dà memoria a ChatGPT: l’AI ti conosce, ti ricorda e ti risponde meglio di tua madre

Era solo questione di tempo prima che l’intelligenza artificiale smettesse di soffrire d’amnesia digitale. Oggi, OpenAI ha annunciato il rollout di un aggiornamento che porta ChatGPT dal ruolo di pappagallo iper-efficiente a quello di compagno digitale capace di ricordare tutta la tua storia con lui. Sì, tutta. Passato remoto, congiuntivo incluso.

Questa nuova “memoria aumentata” è in fase di rilascio per gli utenti paganti del piano Pro, trasformando radicalmente il paradigma dell’interazione uomo-macchina. Fino a ieri, ChatGPT poteva ricordare quello che gli dicevi solo se glielo salvavi manualmente. Oggi, invece, può recuperare il contesto da qualunque conversazione precedente e usarlo per rispondere come se avesse seguito la tua vita digitale in tempo reale. Tipo un assistente personale, ma senza lo stipendio, senza pause caffè, e senza sindacato.

Canva sfida l’impero di Microsoft e Google: l’attacco definitivo parte dal Visual Suite 2.0

Canva ha appena lanciato la bomba nucleare contro l’oligarchia del software aziendale. Mentre Microsoft si aggrappa disperatamente a Teams e Copilot, e Google continua a impilare fogli, slide e documenti in un’interfaccia che sa di decennio scorso, Canva si presenta con un piano tanto semplice quanto ambizioso: fagocitare tutto. Design, produttività, AI generativa, gestione dei team, fogli di calcolo, codice, foto, siti, presentazioni. In una sola parola? Total domination.

La nuova versione di Visual Suite non è solo un update, è una dichiarazione di guerra. L’obiettivo? Trasformare Canva da quello strumento da marketer fighetti e freelance creativi a vera alternativa alle suite collaudate di Microsoft 365, Google Workspace e pure una bella fetta di Adobe Creative Cloud.

Google Next lancia A2A: il protocollo che potrebbe sbloccare l’intelligenza artificiale multi-agente a scala globale

Leggi l’annuncio ufficiale di Google

In un mondo dove l’intelligenza artificiale viene ancora gestita come una collezione di agenti autistici — intelligenti sì, ma ognuno chiuso nel proprio silo tecnologico — arriva A2A, l’Agent-to-Agent Protocol di Google, come una telefonata improvvisa nel silenzio assordante. Lanciato ieri con tanto di benedizione open source, A2A potrebbe rappresentare lo strato mancante che rende finalmente operativa, interoperabile e scalabile l’intelligenza artificiale multi-agente. Non è la solita iniziativa “alpha-only” con puzza di lock-in, ma un ecosistema già supportato da oltre 50 partner, da Salesforce a LangChain, fino a SAP. Quando si muovono questi, forse qualcosa di grosso bolle davvero in pentola.

Il protocollo A2A è, in estrema sintesi, una lingua franca tra agenti AI. Un set di regole e convenzioni che permette a software intelligenti di comunicare, coordinarsi, passarsi lavoro e completare task senza dover riscrivere ogni volta la Torre di Babele del middleware. Un agente riceve un compito, lo passa a un altro che ha le competenze per completarlo, e voilà: niente più API spaghetti, nessun vendor lock-in, zero pareti proprietarie. Il sogno bagnato di chiunque abbia passato gli ultimi cinque anni cercando di orchestrare architetture modulari senza impazzire.

Trump rilancia la guerra fredda del Pacifico: un trilione di dollari, dazi al 125% e una strategia che puzza di guerra commerciale più che di deterrenza

Benvenuti nell’era del trilione di dollari. Donald Trump, tornato alla Casa Bianca come un fantasma che non vuole saperne di restare nel passato, ha promesso – con l’immancabile petto gonfio da comandante in capo – un budget per la difesa da 1.000 miliardi di dollari. Una cifra colossale, mai vista prima, che rappresenta un incremento vertiginoso rispetto agli 892 miliardi appena approvati per il 2024. E mentre a Washington tagliano a colpi d’accetta tutto ciò che non sa di guerra, Trump e il nuovo Segretario alla Difesa Pete Hegseth piazzano il pentolone bollente della deterrenza sul fornello dell’Indo-Pacifico. Il messaggio è chiaro, urlato con il solito megafono mediatico: la Cina è il nemico designato, e bisogna spendere per stare al passo.

Bank of England: Il software AI potrebbe innescare una crisi di mercato per profitto

Il romanticismo che ancora circonda l’intelligenza artificiale – questa creatura metà algoritmo e metà divinità capitalista – si scontra oggi con una delle paure più ataviche della finanza moderna: che la macchina, lungi dall’essere un servo neutro, decida di ribaltare il tavolo. Il grido d’allarme arriva nientemeno che dalla Financial Policy Committee della Bank of England, che in un recente rapporto ha scoperchiato uno scenario tanto plausibile quanto scomodo: i modelli AI autonomi utilizzati nel trading finanziario potrebbero non solo destabilizzare i mercati, ma farlo intenzionalmente, per puro profitto.

C’è qualcosa di profondamente ironico in tutto questo. Abbiamo addestrato queste AI sulle logiche predatorie dei mercati, alimentandole con anni di dati intrisi di avidità, speculazione e arbitraggio sfrenato, e ora siamo sorpresi che queste stesse AI abbiano imparato a massimizzare il caos come leva di guadagno? Non stiamo parlando di semplici errori di calcolo, né di algoritmi impazziti. Stiamo parlando di sistemi sufficientemente avanzati da identificare vulnerabilità strutturali, manipolarle con finezza e far crollare interi mercati con un clic, tutto in nome dell’ottimizzazione dei profitti.

Avatar in aula: quando l’IA diventa l’avvocato (senza dirlo a nessuno)

Certe volte la realtà supera la fantascienza. E altre volte, la supera, la investe, e poi fa retromarcia. Prendete Jerome Dewald, 74 anni, imprenditore seriale e visionario dell’intelligenza artificiale, che ha pensato bene di mandare Jim, un avatar AI “grande, bello e maschio alfa”, a rappresentarlo in tribunale durante un’udienza. Sì, avete letto bene. Un avatar generato da una piattaforma chiamata Tavus, usato per tenere un’arringa legale in un’aula della Corte Suprema dello Stato di New York.

Ora, si potrebbe anche apprezzare l’intento se fosse stato chiaro. Ma Dewald non ha avuto la brillante idea di informare preventivamente la corte che l’uomo in video, con voce baritonale e mascella scolpita, non era un avvocato in carne e ossa, né tanto meno lui. Il dettaglio, a quanto pare, era secondario. Peccato che la giudice Sallie Manzanet-Daniels non abbia esattamente gradito la sorpresa, interrompendo il video dopo la prima frase pronunciata da Jim e chiedendo se quella fosse la parte legale del caso.

Amazon spara in orbita la sfida: Project Kuiper punta 27 satelliti contro Starlink

Nel teatro sempre più affollato dell’internet satellitare, Amazon accende i motori e si prepara a lanciare il suo guanto di sfida contro SpaceX. Mercoledì sera, dal pad di Cape Canaveral, 27 satelliti della costellazione Kuiper prenderanno il volo a bordo di un razzo Atlas V della United Launch Alliance, la joint venture tra Boeing e Lockheed Martin. Non si tratta più di test o prove tecniche di trasmissione: questa è la prima vera infornata operativa, quella che segna il passaggio dal laboratorio all’arena commerciale.

Il battesimo del fuoco segue il volo di due prototipi messi in orbita lo scorso anno, piccoli precursori lanciati per testare le fondamenta della rete Kuiper. Adesso si fa sul serio. I satelliti sono destinati a diventare le prime pedine concrete nella gigantesca scacchiera cosmica dove Amazon ambisce a posizionare oltre 3.200 unità. Obiettivo? Copertura internet globale, low-latency e a banda larga, in una guerra fredda dello spazio che si combatte a colpi di gigabit, orbite basse e frequenze radio.

Grok 3 via Api, l’intelligenza artificiale secondo Musk: cara e pronta a mordere

Elon Musk non ama giocare in difesa. Dopo le cannonate su OpenAI e il suo distacco (tra scontri legali e teatrini su X), ora mette sul tavolo la sua personale versione dell’IA generativa: Grok 3. L’API del modello di punta della sua startup xAI è ufficialmente online, con tanto di listino prezzi – che, neanche a dirlo, è un manifesto ideologico prima ancora che commerciale.

Per chi si fosse perso qualche puntata, Grok è il nome della famiglia di modelli sviluppati da xAI. A detta di Musk, rappresentano “la vera alternativa open alla censura woke”. Al netto delle sparate di marketing, Grok 3 arriva in quattro versioni: il modello base, la versione Mini, e per entrambe l’upgrade con capacità di “reasoning” il che oggi significa poco, visto che anche i modelli dei competitor ormai spacciano per ragionamento ciò che è solo inferenza statistica mascherata da logica.

La Mossa di Trump sull’AI: Carbone o Energia Pulita?

Un capitolo piuttosto inusuale si è appena aggiunto al dibattito sull’energia per l’intelligenza artificiale (AI) negli Stati Uniti. Il giorno prima che diversi leader tecnologici di spicco fossero convocati al Congresso per discutere come ottenere più energia per l’industria dell’AI in forte crescita, il presidente Donald Trump ha preso una decisione audace per affrontare la crisi firmando un ordine esecutivo volto a rilanciare la produzione di carbone. L’ordine, facente parte di un pacchetto di iniziative più ampio pensato per rilanciare l’industria del carbone americana, cerca di rispondere alle crescenti necessità energetiche dei centri di elaborazione dati per l’AI, facendo affidamento su quelle che Trump ha definito le “belle risorse di carbone pulito” degli Stati Uniti.

L’ordine firmato da Trump, che affronta specificamente le esigenze energetiche dell’AI, incarica i Dipartimenti del Commercio, dell’Energia e degli Interni di condurre studi per determinare se le infrastrutture alimentate a carbone possano supportare i centri di dati per l’AI. Con l’AI destinata a diventare una forza onnipresente in tutto, dalla sicurezza nazionale alle attività quotidiane, la questione di come alimentare i vasti e affamati di energia centri di elaborazione dati che sostengono queste tecnologie è diventata centrale. Il problema è innegabile: l’AI richiederà più energia che mai, e l’industria tecnologica è alla ricerca di soluzioni per soddisfare tale domanda.

Quando l’ignoranza istituzionale diventa pedagogia nazionale

Fa quasi tenerezza, se non fosse drammatico. La Segretaria all’Istruzione degli Stati Uniti, Linda McMahon, già nota più per il wrestling che per la pedagogia, ha partecipato a un panel dedicato all’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro. Fin qui nulla di nuovo. Il problema? Ha ripetutamente chiamato “AI” acronimo universalmente noto per “Artificial Intelligence” con un convintissimo “A1”. Sì, come la salsa per bistecche. Uno scivolone lessicale che, se fosse uscito dalla bocca di un comico da stand-up, avrebbe strappato una risata. Ma quando arriva dalla persona che dovrebbe dirigere il futuro educativo di una nazione, il retrogusto è quello dell’angoscia.

Certo, potremmo cavarcela con una battuta: magari pensava che l’“A1” fosse un miglioramento delle scuole di “serie B”. Oppure che fosse una nuova sigla per un programma proteico destinato ai cervelli adolescenti. Ma dietro la gaffe si nasconde qualcosa di ben più serio: l’inquietante incompetenza della classe dirigente rispetto alle tecnologie che stanno ridefinendo l’intera struttura della società.

Adobe punta sull’intelligenza artificiale creativa: Photoshop e Premiere Pro diventano (finalmente) intelligenti

Adobe ha deciso di mandare in pensione il concetto romantico di “editing manuale” e ha fatto coming out con la sua nuova religione: l’agentic AI. Un nome che sa più di buzzword da pitch per venture capitalist che di rivoluzione, ma il succo è chiaro. Photoshop e Premiere Pro stanno per diventare strumenti che non solo eseguono comandi, ma li capiscono, li anticipano e soprattutto – li fanno al posto tuo. Addio alle notti insonni passate a mascherare dettagli pixel per pixel. Benvenuti nell’era del creative agent, dove il mouse serve più per sentirsi creativi che per esserlo davvero.

A spiegare l’ennesima mossa di Adobe nel campo dell’IA è Ely Greenfield, CTO del Digital Media di Adobe, che in un blog pubblicato oggi ha raccontato con toni visionari – e un certo gusto per la retorica futuristica – come funzioneranno questi nuovi agenti. Si parte da Photoshop: una nuova interfaccia galleggiante, chiamata Actions panel, che analizza la tua immagine, ti suggerisce interventi estetici (tipo: “vuoi che sparisca quella comitiva di turisti sullo sfondo?”) e poi se gli dici sì – lo fa. Senza chiederti dove vuoi salvare il file.

Trump fa marcia indietro sui chip Nvidia in Cina: la politica estera ora si decide a cena a Mar a Lago

Donald Trump, il maestro del colpo di teatro e delle trattative condite da bistecche ben cotte a Mar-a-Lago, ha appena riscritto il copione della geopolitica tecnologica globale. Secondo un’esclusiva riportata da NPR, l’ex Presidente e probabile futuro candidato ha deciso di sospendere le nuove restrizioni sui chip AI venduti da Nvidia alla Cina, dopo un tête-à-tête serale con l’AD Jensen Huang, noto più per il suo giubbotto di pelle che per l’amore verso la diplomazia.

La vicenda ha i tratti di un western high-tech, dove le sanzioni USA, ideate per bloccare il progresso dell’IA cinese, vengono messe in pausa non da un consiglio di sicurezza o da un’analisi strategica del Pentagono, ma da una conversazione informale con un CEO. Huang avrebbe promesso a Trump “significativi investimenti” in data center di nuova generazione negli Stati Uniti, ovviamente a condizione di mantenere aperto l’accesso al lucroso mercato cinese. D’altronde, Huang non è nuovo ai giochi di equilibrio geopolitici: Nvidia vende chip avanzatissimi che fanno gola a entrambi i lati del Pacifico.

Google Cloud Next 2025 quando il cloud è più volatile della borsa l’illusione della stabilità

A Las Vegas, sotto i riflettori abbaglianti di un centro congressi troppo freddo per caso, Thomas Kurian, CEO di Google Cloud, ha tenuto il suo sermone da novanta minuti sul futuro dell’IA, il tutto mentre fuori dalla bolla siliconata soffiava un vento economico da tempesta perfetta. Wall Street rimbalzava sull’ultima trovata di Trump in politica tariffaria, e nel frattempo Sundar Pichai, con la calma di un monaco benedettino e la fermezza di un CFO in piena negazione, ci ricordava che Google continuerà a investire 75 miliardi di dollari in spese capitali, recessione o no. E nel backstage, probabilmente, qualcuno aggiornava freneticamente le previsioni finanziarie su un foglio Google Sheets.

Guerra dei Titani: OpenAI contro Elon Musk, un duello legale tra egomania, dollari e intelligenze artificiali

OpenAI ha deciso che non era più tempo di silenzi o PR accomodanti. Mercoledì, ha lanciato la sua controffensiva legale contro Elon Musk, accusandolo apertamente di “una campagna di molestie” sistematica, portata avanti a colpi di post, cause, richieste fasulle e un tentativo farsa di acquisizione, con l’unico scopo neanche troppo velato – di sabotare la transizione dell’ex sua creatura in una macchina da profitti. Il tutto, ovviamente, con Musk nel ruolo di spettatore interessato e potenziale conquistatore.

Il teatro dello scontro è la Corte distrettuale federale della California del Nord, ma la posta in gioco va ben oltre una questione legale: c’è in ballo il futuro della più discussa e influente azienda di AI del pianeta, impegnata in una corsa contro il tempo per chiudere un round di raccolta fondi da 40 miliardi di dollari entro fine anno. E, come sempre in queste faccende, non è questione di morale, ma di potere e controllo.

La guerra dei dazi tecnologici 125%: perché Apple e Nvidia non bastano a salvarci dal disastro annunciato

Un caffè al Bar dei Daini

Nel bel mezzo di un tracollo globale dei mercati, Donald Trump – con la consueta teatralità da venditore di padelle –ha annunciato un aumento vertiginoso delle tariffe sulle importazioni dalla Cina, portandole al 125%. Un colpo secco e clamoroso, mentre concedeva una “pausa” di 90 giorni ai dazi punitivi diretti alla maggior parte delle altre nazioni. Il messaggio è chiaro: il bersaglio ora è unico, si chiama Pechino. Tutti gli altri, per ora, respirano.

A sentirlo parlare, sembra che 75 paesi gli abbiano implorato di fare un accordo. E come al solito, il presidente americano si mette in posa da macho solitario con l’istinto infallibile: “China wants to make a deal… but they don’t quite know how.” Una frase che suona più da psicoanalisi per popoli fieri che da geopolitica. Ma il sottotesto è semplice: Xi Jinping, sei nel mirino, fatti vivo.

La retorica, degna di una campagna elettorale permanente, si traduce in una nuova escalation: dazi cumulativi del 125% contro Pechino, mentre la Cina risponde immediatamente con un +50% su tutte le importazioni americane. Non esattamente il clima ideale per una distensione commerciale, ma in Borsa, si sa, basta poco per riaccendere l’euforia. L’S&P 500 rimbalza fino all’8% dopo quattro sedute da incubo. L’isteria algoritmica vince ancora.

Dietro le quinte, tuttavia, regna l’ambiguità. La pausa concessa agli “altri” resta avvolta nella nebbia. Perché anche l’Unione Europea – che nel frattempo ha imposto ritorsioni – viene inclusa nella moratoria? Mistero. Nessuna risposta chiara, solo l’ennesimo “go with the gut” di Trump. Un approccio che definire artigianale è un eufemismo: “Non puoi fare i conti con la matita, è questione d’istinto.” Una filosofia gestionale da poker texano con le economie globali come posta sul tavolo.

Intanto, i suoi fedelissimi cercano di riscrivere la narrativa: le tariffe non sono una reazione alla caduta dei mercati, ma una strategia pianificata. “Trump ha provocato la Cina a scoprirsi,” dice il Tesoro. Che in pratica è come dire: abbiamo fatto tiltare Pechino e ora il mondo sa chi è il cattivo. Un po’ troppo comodo, forse.

Mentre si aprono nuovi tavoli di trattativa – con Vietnam e Giappone pronti a mandare “deal teams” –la Casa Bianca manda un messaggio al mondo: chi non ha risposto con ritorsioni sarà trattato con clemenza. Ma resta la domanda su quanto durerà la luna di miele. Perché dietro l’apparente trionfalismo si intravede il solito schema trumpiano: creare il caos, attendere il panico, poi offrire la via d’uscita.

Daniel Russel, ex Consiglio per la Sicurezza Nazionale con Obama, fotografa il paradosso: “Il bersaglio è solo la Cina, ma i continui zigzag creano un’incertezza tossica per aziende e governi.” Ecco il problema: l’unilateralismo tattico senza una visione strategica di lungo termine. Pechino, secondo Russel, non cederà. Aspetterà che Trump si spinga troppo oltre, poi agirà. Perché a concedere si rischia di perdere, e Xi non è tipo da perdere la faccia.

La sensazione? Che questa sia solo la prima stagione di una lunga serie. Una fiction politico-commerciale a metà tra House of Cards e Succession, dove l’unica costante è il protagonismo compulsivo di un presidente che confonde la diplomazia con la roulette russa. Con una differenza: qui non si gioca con i gettoni, ma con l’equilibrio dell’economia mondiale.

Nel nome della sovranità commerciale e di un nazionalismo economico che ormai puzza di muffa, l’amministrazione Trump ha appena scatenato l’ennesima bomba atomica sul fragile equilibrio del mercato tecnologico globale. Un colpo da 104% in pieno volto alla Cina, con tariffe che sembrano uscite da un manuale di autodistruzione economica, ha riacceso le fiamme di una guerra commerciale che tutti fingevano dimenticata ma che, a quanto pare, era solo sopita.

Il contraccolpo è immediato, sistemico, e francamente prevedibile. La risposta di Pechino arriva puntuale come un razzo ipersonico: 84% di dazi sui prodotti americani. Benvenuti nel 2025, dove la globalizzazione è un ricordo vintage e la filiera tecnologica globale è diventata un campo minato geopolitico. Wedbush, attraverso la voce – sempre pessimista quanto realista – di Daniel Ives, non ha nemmeno bisogno di analizzare troppo: i tech non forniranno guidance. Nessuno sano di mente si azzarda a proiettare numeri nel caos. Apple inclusa.

Google Docs podcast, vuole che la tua bozza parli da sola, letteralmente

Nel panorama già sovraffollato delle intelligenze artificiali che vogliono “aiutarti” a lavorare meglio, Google ha appena rilanciato con una mossa che mescola tecnologia avanzata e un pizzico di follia da Silicon Valley: podcast generati dall’IA dentro Google Docs. Sì, hai capito bene. Ora, se volevi ascoltare due voci robotiche discutere del tuo report trimestrale prima che tu lo mandi al capo, Google ha deciso che ne avevi bisogno, anche se non lo sapevi.

La novità rientra nel pacchetto di aggiornamenti Gemini per le Workspace apps. Un’ondata di funzionalità AI che promette di rivoluzionare – o complicare ulteriormente – il nostro modo di scrivere, analizzare e presentare contenuti. Tutto, ovviamente, sotto il mantra onnipresente: “con Gemini al centro”.

Google Veo 2, Lyria, Chirp 3 vuole farti girare un film hollywoodiano in due click, ma non sa dirti da dove ha copiato la sceneggiatura

Google ha appena alzato l’asticella dell’illusionismo AI. Con l’ultima evoluzione di Veo 2, il suo modello video generativo, promette che chiunque dallo stagista al regista frustrato potrà produrre contenuti “cinematografici” degni di un trailer Marvel, senza nemmeno sporcare le mani con una telecamera vera. L’update arriva tramite la piattaforma Vertex AI e spalma le novità anche su Imagen 3 per le immagini e su Lyria e Chirp 3 per musica e voce. Ma dietro le luci della ribalta c’è il solito dilemma: chi sta veramente scrivendo questa nuova grammatica visiva e sonora?

Il cuore dell’dell’aggiornamento di Veo 2 pulsa attorno a due concetti presi in prestito da Photoshop ma portati in video: inpainting e outpainting. Il primo cancella elementi indesiderati da una clip — loghi, sfondi fuori luogo, o dettagli che potrebbero ricordarti che la realtà è meno perfetta di un feed Instagram. L’outpainting invece espande il frame, aggiungendo porzioni di video create artificialmente, in modo coerente con la scena. Una specie di Photoshop Motion per video, con la mano invisibile dell’AI che completa lo spazio vuoto come se fosse un assistente di Kubrick.

YouTube con il No Fakes Act vuole fare il poliziotto buono dell’IA, ma chi tiene le chiavi della prigione?

Nel solito balletto bipartisan che unisce i due mondi inconciliabili del Congresso americano — democrazia e spettacolo — i senatori Chris Coons (Democratico del Delaware) e Marsha Blackburn (Repubblicana del Tennessee) rispolverano per la terza volta il loro giocattolino legislativo chiamato NO FAKES Act. Un acronimo tanto ridicolo quanto pretenzioso, che dovrebbe tutelare volti, voci e nomi dei poveri esseri umani — o meglio, delle loro versioni sintetiche generate dall’intelligenza artificiale. Una specie di diritto d’autore applicato alla carne e ossa, o a quel poco che ne resta online.

La novità rispetto alle versioni 2023 e 2024? Questa volta YouTube si è infilata nel party con tanto di vestito buono, appoggiando pubblicamente la proposta. Secondo la piattaforma di Google, il disegno di legge avrebbe finalmente trovato “il modo giusto per bilanciare protezione e innovazione”: tradotto, significa che il potere di segnalare contenuti AI considerati “inappropriati” passa direttamente all’utente coinvolto. L’illusione perfetta della democrazia digitale: sei tu a decidere, certo, ma entro i limiti che stabiliamo noi.

Anthropic lancia il piano Max Plan: Claude diventa l’assistente premium per chi lavora troppo


https://www.anthropic.com/news/max-plan

Certo, puoi continuare a fare miracoli con Claude a 20 dollari al mese, ma solo fino a quando non finisci il fiato. O meglio, i token. Perché quando ti accorgi che l’AI che hai integrato nella tua giornata lavorativa inizia a tossire e a rallentare, allora forse sei diventato quella categoria: il power user. E per te, oggi, c’è un nuovo girone: il Max Plan.

Anthropic lo ha annunciato con la consueta sobrietà californiana, ma il sottotesto è chiarissimo: se usi Claude come se fosse un collega full-time, ora puoi pagarlo come tale. Cento dollari al mese per cinque volte le risorse del piano Pro. Duecento dollari per venti volte tanto. Chiaro, no?

Scott White, il solito volto sorridente della product strategy di Anthropic, lo dice senza troppe circonlocuzioni: “abbiamo creato Max perché ci sono utenti che stanno facendo tutto il loro lavoro dentro Claude. Tutto.” E qui ci si avvicina sempre di più all’assistente personale definitivo, quello che scrive, corregge, programma, sintetizza, progetta e magari, un giorno, vota al posto tuo.

Google svela l’Agent Development Kit ADK: la nuova frontiera nello sviluppo di agenti AI

Nel panorama tecnologico odierno, dominato da intelligenze artificiali sempre più sofisticate, Google ha deciso di alzare ulteriormente l’asticella. Durante il recente Google Cloud NEXT 2025, l’azienda ha presentato l’Agent Development Kit (ADK), un framework open-source destinato a rivoluzionare lo sviluppo e l’implementazione di agenti AI.

Nvidia sotto assedio: corsa cinese da 16 miliardi prima del prossimo ban USA

In questa tragicommedia geopolitica che chiamiamo tech war, l’ultimo atto ha per protagonisti Nvidia, Washington e una Cina che non solo non vuole restare indietro, ma rilancia pesante, e in contanti. Secondo The Information, l’annuncio (o meglio: il sentore) di un possibile divieto USA sui chip H20 di Nvidia sviluppati appositamente per rispettare le restrizioni precedenti e vendibili solo in versione “castrata” al mercato cinese –ha scatenato una valanga di ordini da parte delle big tech cinesi.

Parliamo di 16 miliardi di dollari, e no, non è un refuso.Il paradosso qui è perfettamente americano: nel tentativo di soffocare la capacità di calcolo cinese, la Casa Bianca potrebbe aver generato una domanda isterica anticipata che arricchisce Nvidia ben oltre le sue aspettative trimestrali.

Papa Francesco incontra JD Vance: due visioni inconciliabili sull’etica e il destino dell’occidente

Non è un semplice incontro, ma un vero e proprio scontro culturale celato dietro il velo del protocollo. JD Vance, senatore dell’Ohio, fervente sostenitore di Donald Trump e figura simbolo del conservatorismo high-tech con radici nell’America rurale, sbarca a Roma proprio nel giorno del Venerdì Santo. Non per una visita spirituale, ma per un colloquio con Papa Francesco, il pontefice gesuita che ha fatto dell’accoglienza, della misericordia e di un’ecologia integrale il cuore del suo messaggio. Due visioni opposte. Due ethos inconciliabili. Due strade che guardano a futuri diametralmente opposti.

Rivista.AI aveva già fiutato l’odore della polvere da sparo culturale quando, prima ancora che fosse eletto, analizzava l’ascesa di Vance come sintomo dell’intelligenza artificiale populista. Un uomo che si è fatto da sé, partendo da un’America bianca abbandonata, ripulita e poi reinterpretata nel bestseller Hillbilly Elegy, oggi brandisce la fede come un’arma politica. La sua visione etica? Gerarchia, ordine, valori “tradizionali” restituiti con la grazia di un algoritmo impazzito. Niente inclusività, poco perdono, tanta nostalgia per un passato che non tornerà.

Armi Autonome Sotto la Lente: Un Nuovo Approccio per Valutarne i Rischi a Livello Globale

Società Digitale esplora temi legati alla governance, alle trasformazioni, agli ecosistemi e agli sviluppi della tecnologia digitale, analizzando le loro ripercussioni sulla società. La rivista incoraggia indagini approfondite, valutazioni critiche e raccomandazioni basate sui principi di una solida ricerca accademica, indipendentemente dall’approccio disciplinare adottato. Particolare attenzione è riservata ai contributi che si inseriscono nelle quattro Aree Tematiche principali.

A Risk-Based Regulatory Approach To Autonomous Weapon Systems

Open access Pubblicato: 03 Aprile 2025 di Alexander BlanchardClaudio NovelliLuciano Floridi & Mariarosaria Taddeo

La regolamentazione internazionale dei sistemi d’arma autonomi (AWS) sta emergendo sempre più come un esercizio di gestione del rischio. Tuttavia, un elemento cruciale per far avanzare il dibattito globale è la mancanza di un quadro di riferimento condiviso per valutare i rischi intrinseci a queste tecnologie militari.

Un recente studio propone una struttura innovativa per l’analisi e la regolamentazione dei rischi degli AWS, adattando un modello qualitativo ispirato al Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC). Questa metodologia esamina le complesse interazioni tra fattori chiave di rischio – determinanti, fattori trainanti e tipologie – per stimare l’entità del rischio associato agli AWS e stabilire soglie di tolleranza attraverso una matrice di rischio. Tale matrice integra la probabilità e la gravità degli eventi, arricchita dalla conoscenza di base disponibile.

La ricerca sottolinea che le valutazioni del rischio e i conseguenti livelli di tolleranza non dovrebbero essere determinati unilateralmente, ma attraverso la deliberazione in un forum multistakeholder che coinvolga la comunità internazionale. Tuttavia, gli autori evidenziano la complessità di definire una “comunità globale” ai fini della valutazione del rischio e della legittimazione normativa, un compito particolarmente arduo a livello internazionale.

La resurrezione AI de Il mago di Oz nella cattedrale Sphere digitale di Las Vegas

Il mago di Oz è morto, lunga vita al Mago di Oz. In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale non solo restaura ma reinventa, Google, DeepMind e Magnopus hanno deciso di prendere uno dei film più iconici della storia del cinema e… hackerarlo con classe. L’obiettivo? Trasformarlo in un’esperienza immersiva degna del più lisergico dei viaggiatori del 1939, proiettata su un colossale schermo semi-sferico di 160.000 piedi quadrati nella Sphere di Las Vegas. Per chi ancora crede che l’arte non debba essere toccata, sedetevi comodi: qui siamo ben oltre il restauro digitale. Qui siamo nella resurrezione aumentata.

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